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Attualità

ESMA razionalizza l’offerta di Fondi ESG

14 Febbraio 2023

Alessandra Patera, Head of Marketing, Institutional Sales, ESG, DeA Capital Alternative Funds Sgr

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza, nell’ottica del gestore, le novità delle Linee guida ESMA in consultazione riguardante la denominazione dei fondi che utilizzano termini ESG o legati alla sostenibilità.


Un nuovo passo in avanti nella regolamentazione della giungla di comportamenti adottati negli ultimi anni dai gestori patrimoniali che ci piace pensare essere ispirati genuinamente dal vento della sostenibilità, ma trainati di fatto da tematiche di marketing.

Il 20 febbraio scade la consultazione avviata dall’ESMA dal titolo “On guidelines on funds’ names using ESG or sustainability related term” (Linee guida sulla denominazione dei fondi che utilizzano termini ESG o legati alla sostenibilità), lanciata lo scorso novembre con la finalità di condividere univocamente i criteri quantitativi per il corretto utilizzo di termini affini all’ESG e alla sostenibilità nella denominazione dei propri prodotti di investimento.

In estrema sintesi, e come ormai noto, l’ESMA stabilisce i criteri da rispettare affinchè l’acronimo ESG o l’utilizzo del termine “sostenibile” o “sostenibilità” nelle denominazione dei fondi di investimento siano effettivamente associati ad un minimo di investimenti inequivocabilmente indentificati. Si tratta in realtà di “minimi” piuttosto considerevoli, se si pensa che:

  • l’utilizzo dell’acronimo ESG comporta un vincolo ad investire almeno l’80% per soddisfare le caratteristiche ambientali e sociali
  • l’utilizzo del termine “sostenibile” o “sostenibilità” comporta, in aggiunta al precedente limite dell’80%, anche l’investimento di almeno il 50% nei cd investimenti sostenibili come definititi dall’art 2 della regolamentazione SFDR

A ciò si aggiungono il rispetto dei criteri di esclusione ed alcune considerazioni aggiuntive per tipiche categorie di fondi.

È un corretto intervento, un passo successivo da tempo auspicato, che segue la classificazione imposta dalla normativa SFDR di primo livello (marzo 2021) con la mera articolazione dei prodotti nei cd art 6, art 8, art 9. Una classificazione, quest’ultima, forse a maglie troppo larghe, che ha spinto la maggioranza dei gestori a classificare una netta prevalenza di prodotti sotto il cappello dell’art 8 (light green), comprendente tutte le iniziative che si pongono l’obiettivo di “promuovere” le caratteristiche ESG e di sostenibilità. Il fatto che si tratti di una categoria piuttosto estesa è stato subito evidente, se si pensa che è arrivata a rappresentare circa la metà del totale dei fondi domiciliati nell’UE, pari a 3,8 trilioni di dollari.

Altrettanto eloquente è stata, nei mesi successivi all’introduzione della SFDR, la conseguente parziale riallocazione di molti di questi prodotti (art 8), tramite una riclassifcazione degli stessi verso la più gestibile classe dei cd fondi art 6, e, all’estremo opposto, verso i cd prodotti art 9 (dark green). Una tendenza quindi che, sotto diverse spinte (razionalizzazione dei processi gestionali interni, limitazioni al greenwashing, sana trasparenza nei confronti dei propri clienti), ha smussato l’onda della “sostenibilità a tutti i costi” del marzo 2021, portandola verso più miti riflessioni.

È in questo contesto che la vigente consultazione ESMA ben si colloca, rappresentando da un lato un ulteriore strumento di indicazione e regola a tutela degli investitori, che, con una più matura consapevolezza delle proprie azioni, ben vogliono comprendere in cosa stanno investendo, dall’altro un’ulteriore spinta alla maggior responsabilizzazione dei gestori nelle pratiche di investimento (diretto o indiretto).

Se è pur vero che nell’ultimi anni le economie hanno sofferto una recessione di fatto a livello globale, portando molti investitori (in buona parte retail) a rivedere le proprie priorità di investimento focalizzandosi sul parametro del “buon caro rendimento” magari proprio a scapito della ricerca della sostenibilità a tutti i costi, dall’altra è aumentata la sensibilità dei gestori nella promozione di prodotti art 9 molto più vicini alle esigenze di asset allocation green dark tipiche di investitori prevalentemente istituzionali. Potremmo dire un processo che allontana le pratiche di greenwashing e riposiziona l’investimento ESG/sostenibile in una nicchia, per quanto dimensionalmente significativa.

Guaradando più da vicino in casa dei gestori, accadono diversi fenomeni, che si declinano differentemente nelle due grandi famiglie dei prodotti liquidi e dei prodotti illiquidi. Nei primi, non v’è dubbio che la tendenza al greewashing sia nettamente più marcata, dettata dalla peculiare gestione del sottostante (indiretto, attivo o passivo), dalla frequente variazione delle masse in gestione (con agevole riassortimento e movimentazione dell’attivo), dal ricorso a strumenti di misurazione e di attestazione della sostenibilità attraverso il ricorso a indici di mercato, facilmente misurabili e confrontabili. Nel caso dei gestori di prodotti illiquidi (diretto o indiretto) con visibiltà e ritorni a medio/lungo termine, l’assetto degli investimenti e la gestione degli attivi è un pacchetto che si confeziona gradualmente, il sottostante resta in portafoglio per un periodo considerevole, la misurazione o la valutazione dell’impronta ESG è ad hoc (se pur nel rispetto dei PAI e degli RTS stabili dalla normativa europea) tramite strumenti spesso tarati sulle peculiarità del singolo investimento.

È evidente che, in entrambi i casi, il gestore che intenda perseguire un percorso di sostenibiltà con corretta denominazione del proprio prodotto, conseguentemente all’adozione dei nuovi criteri ESMA si troverà ad affrontare un nuovo universo investibile, con le limitazioni tipiche dei mercati (e dei prodotti) ai quali intende rivolgersi. E questo è un tema che, su grande scala ed oltreoceano, ha portato alcuni grandi gruppi di rappresentanze, anche politiche, a porsi una domanda sul ruolo di politica industriale (prerogativa tipicamente governativa) che alcuni grandi gestori di fatto applicano alle economie. Limitare l’universo investibile vuol dire orientare grandi masse di risparmio in alcuni settori, a scapito di altri. Riflessione questa non in contrasto con le tematiche globali di Climate Change, tutt’altro, ma con impatti e conseguenze probabilmente un po’ più ampi rispetto alla mera classificazione di un prodotto di investimento, che singolarmente potrebbe significare anche poco.

Altra riflessione a carattere generale, ma che troverebbe più idonea applicazione nel caso dei prodotti di investimento illiquidi, è se i requisiti che in generale ci poniamo per la commercializzazione e gestione di un prodotto sostenibile in senso lato, vengano intesi come necessari e preesistenti al momento dell’investimento o, al contrario, rappresentino un obiettivo a fine corsa: l’azione del gestore a favore della sostenibilità sottende ad un obiettivo di miglioramento di alcune performance alla scadenza di fondi in gestione, un traguardo nel raggiungimento di obiettivi ESG che, in fase iniziale, potrebbero anche apparire zoppicanti. È qui che si manifesterebbe l’azione del gestore a favore della sostenibilità, attraverso la divulgazione di buone prassi, governance e monitoraggio per divulgare e diffondere una nuova impronta del fare impresa. E il coinvolgimento del management team, con piena responsabilizzazione nella gestione di tale percorso, sarebbe assicurato dall’adozione di criteri di remunerazione legati, almeno in parte, alle effettive performance di sostenibilità raggiunte.

Un percorso coerente quindi, quello dell’ESMA, e di sicuro beneficio nella razionalizzazione dell’offerta di investimento in fondi ESG per una più corretta e trasparente lettura dell’azione dei gestori a supporto della sostenibilità.

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