L’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti riguardo all’esenzione della remunerazione derivante da partecipazioni aventi i requisiti per l’applicazione del regime della Direttiva “madre-figlia”, con Risposta n. 256/2023.
In particolare, con l’istanza di interpello oggetto della risposta, l’Istante ha posto due quesiti correlati all’interpretazione dei commi 3-bis, lett. b) e 3-ter dell’articolo 89 del TUIR, con specifico riguardo alla “remunerazione” della partecipazione al “capitale sociale“, sotto forma di c.d. azioni privilegiate, detenuta da Alfa (quale socio e soggetto IRES residente in Italia) nella subsidiary Beta, per cui ricorrono i requisiti della Direttiva madre-figlia.
Il primo quesito interpretativo chiede di sapere se, alla luce di quanto disposto dall’articolo 89, comma 3-bis, lett. b) del TUIR, per vedersi riconosciuta l’esenzione al 95% delle “remunerazioni della partecipazione al capitale“, sia ancora necessaria la verifica del cd. “doppio equity”, ossia la verifica della “totale correlazione ai risultati economici” e della “totale indeducibilità” nella determinazione del reddito estero della società emittente.
Ai sensi dell’articolo 89, comma 3, del TUIR, gli utili e le remunerazioni provenienti dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d) e dalle remunerazioni derivanti da contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), del TUIR stipulati con tali soggetti, se diversi da quelli residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, possono beneficiare dell’esclusione prevista dall’articolo 89, comma 2, del TUIR alla condizione che dette remunerazioni siano totalmente indeducibili dal reddito imponibile dello Stato estero di residenza dell’emittente o della controparte contrattuale.
L’articolo 89, comma 3, subordina, infatti, l’esenzione delle remunerazioni alla condizione prevista dall’articolo 44, comma 2, lett. a), ultimo periodo, nella parte in cui prevede che “Le partecipazioni al capitale o al patrimonio, nonché i titoli e gli strumenti finanziari di cui al periodo precedente emessi da società ed enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), si considerano similari alle azioni a condizione che la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito nello Stato estero di residenza del soggetto emittente…”.
L’Agenzia delle Entrate ha fornito delle precisazioni riguardo all’assimilazione alle azioni di partecipazioni e strumenti finanziari emessi da soggetti non residenti.
Affinché tali strumenti finanziari possano essere assimilati alle azioni, devono presentare le seguenti caratteristiche: la relativa remunerazione deve essere costituita esclusivamente da utili e tale remunerazione deve essere totalmente indeducibile dal reddito della società emittente secondo le regole proprie vigenti nel Paese estero di residenza.
Inoltre, la totale correlazione e la totale indeducibilità devono sussistere sia ai fini dell’assimilazione alle azioni degli strumenti finanziari esteri sia ai fini dell’assimilazione delle azioni estere ossia delle vere e proprie partecipazioni al capitale o al patrimonio di società estere.
La partecipazione ai risultati economici deve essere effettiva e non è sufficiente che la remunerazione sia soltanto parametrata agli utili della società né tantomeno che sia collegata esclusivamente a parametri finanziari.
Per quanto riguarda la nozione di “totale correlazione ai risultati economici“, la relazione governativa al decreto legislativo n. 344 del 2003 chiarisce che “l’indeducibilità non è estesa ai proventi per i quali la connessione con i risultati economici dell’impresa riguardi unicamente l’andamento, ma non il quantum, della corresponsione dei proventi e/o del rimborso ai sottoscrittori”.
Per i soggetti percettori assoggettati all’IRES, l’esclusione al 95% prevista dal precedente comma 2, dell’articolo 89, si applica anche “b) alle remunerazioni delle partecipazioni al capitale o al patrimonio e a quelle dei titoli e degli strumenti finanziari di cui all’articolo 44, provenienti dai soggetti che hanno i requisiti individuati nel comma 3-ter del presente articolo, limitatamente al 95 per cento della quota di esse non deducibile nella determinazione del reddito del soggetto erogante”.
In passato, nei casi di remunerazioni “miste”, ossia composte solo in parte da utili, il soggetto percettore residente non poteva beneficiare dell’esenzione sulla parte effettivamente rappresentata da utili, determinando un fenomeno di doppia imposizione sulla parte di remunerazione non deducibile.
Tuttavia, questo trattamento non è stato ritenuto conforme alla direttiva n. 2014/86/UE del Consiglio, recante modifica della direttiva n. 2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, con conseguente apertura a carico dell’Italia di una specifica procedura di infrazione (n. 2016/0106).