L’azione di ripetizione dell’indebito avanzata dal cliente di un istituto di credito in ragione della pretesa nullità di una clausola contrattuale che preveda la capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici relativi ad un contratto di credito regolato in conto corrente è sottoposta al termine di prescrizione di dieci anni.
Nel caso in cui i versamenti abbiano avuto scopo ripristinatorio della provvista, la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto corrente, nel quale gli interessi asseritamente non dovuti siano stati registrati e non dalla data di annotazione in conto della singola posta riferita agli interessi illegittimamente addebitati.
Infatti, in questo caso ogni versamento non rappresenta un pagamento da cui far decorrere, nel caso in cui sia ritenuto indebito, il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione, in quanto il pagamento che possa dar diritto alla pretesa restitutoria è unicamente quello che rappresenti un prestazione da parte del “solvens” con relativo spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens”.
Di conseguenza, si è affermato che in materia di rapporti bancari, a fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dall’istituto di credito avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista per interessi anatocistici, grava su quest’ultimo la prova della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate, ma il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto.