Il presente contributo analizza in chiave comparativa le opzioni di scelta per lo strumento ristrutturativo di gestione dello stato di crisi dell’impresa nell’attuale sistema concorsuale.
Oggi, diversamente dal passato, ad un’impresa in stato di crisi è offerta un’ampia gamma di opzioni per affrontare ed auspicabilmente risolvere il proprio stato di crisi.
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (“CCII”) prevede una dotazione di nove strumenti: la composizione negoziata (artt. 12 e ss.); il concordato semplificato, in caso di non esito positivo della composizione negoziata (art. 25 sexies); gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (art. 56); gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 57); gli accordi di ristrutturazione agevolati (art. 60); gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61); la convenzione di moratoria (art. 62); il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (art. 64 bis); il concordato preventivo nelle sue diverse formulazioni (artt. 84 e ss.).
Ampiezza non significa però certezza del risultato, anzi e semmai l’esatto opposto, perché proprio l’elevato numero di strumenti rischia di creare incertezze e può anche non consentire soluzioni che siano fattibili, giuridicamente ed economicamente.
Il tema della scelta dello strumento ristrutturativo diventa quindi centrale nel nuovo scenario concorsuale e le regole introdotte dal CCII impongono un’attenta riflessione.
La riflessione, oggi più che mai, non è semplice perché il CCII, più di ogni altra riforma, ha fatto registrare un elevato, forse eccessivo, livello di divisività interpretativa tra chi ne è forte difensore e chi, al contrario, ne è forte detrattore.
Ma, l’impresa in crisi non ha bisogno di interpretazioni, ma di soluzioni ed è quindi a queste che, con approccio pragmatico, occorre avere riguardo.
Partiamo da due dati generali.
Il primo è che il CCI, diversamente dalla legge fallimentare, predilige la prevenzione dello stato di crisi e l’adozione di strumenti ristrutturativi c.d. “minori”, relegando la liquidazione giudiziale, ad opzione ultima e residuale; ma quest’impostazione si scontra, in quella che può ritenersi una vera e propria asimmetria temporale, con un mercato che esprime imprese le quali, lungi dall’essere in semplice stato di crisi, si trovano in uno stato di insolvenza, spesso irreversibile. Tutto questo spesso celato o, meglio, non ancora pienamente “esploso” in dipendenza del fatto che queste imprese hanno beneficiato della c.d. finanza Covid o di altre misure emergenziali messe a disposizione dal legislatore durante il periodo pandemico. L’evidenziata asimmetria rappresenta la prima, vera difficoltà operativa, dovendosi utilizzare strumenti pensati per situazioni di crisi finanziaria a beneficio di imprese insolventi. Tuttavia, l’insolvenza, se non definitivamente ed irrimediabilmente irreversibile, non può e deve costituire ostacolo alla ristrutturazione, naturalmente alla condizione che l’impresa sia ancora in grado di condurre la propria azienda quanto meno in equilibrio finanziario.
Il secondo è che il CCII ha completamente modificato l’approccio alla ristrutturazione, passandosi da un’impostazione (quella della legge fallimentare) in cui si avviava un processo con impiego del tempo futuro (spesso pari a non meno di sei mesi) per elaborare una proposta ad un’impostazione (quella del CCII) che impone di avviare un processo con le idee – per così dire – chiare, sapendo di avere a disposizione un tempo molto più limitato rispetto al passato e di non poter più beneficiare di un sistema di automatic stay in ragione del nuovo sistema di misure protettive, soggetti a valutazione di merito di concessione ed a termine di durata.
Ed è rispetto a queste idee chiare che occorre ora soffermare l’attenzione, considerandosi che esse muovono, nel nuovo impianto normativo, lungo quattro direttrici.
La prima direttrice volta a comprendere quale sia il livello di ripagamento che una società sia in grado di esprimere nell’alternativa della liquidazione giudiziale, tale intendendosi non solo il valore di liquidazione degli attivi aziendali, ma anche il possibile ricavato di azioni di responsabilità e di azioni revocatorie / recuperatorie. Questo valore sarà il parametro di riferimento da rappresentare ai creditori come punto di caduta sulla base del quale valutare l’alternativa della proposta ristrutturativa.
La seconda direttrice volta a verificare, attraverso un piano di cassa a dodici mesi, che l’impresa, assumendo di non pagare le obbligazioni maturate alla data di riferimento, sia in grado di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni correnti e non disperda risorse in danno dei creditori cui viene rivolta la proposta di ristrutturazione, verificando l’opportunità di accedere a forme di finanziamento del circolante che, pur ad un maggior costo rispetto a quello ordinario bancario, consentano di invertire il ciclo tempo di pagamento fornitura / tempo di incasso dal cliente.
La terza direttrice volta a mappare la debitoria alla data di riferimento, con una sua immediata classificazione tra creditori, quali fornitori, banche (con distinzione tra garantite e non garantite), erario e previdenza, verificandone il numero da coinvolgere sulla base di un lista da costruire per importo di esposizione (dalla maggiore alla minore).
La quarta direttrice volta ad elaborare una concreta proposta ristrutturativa da presentare al ceto creditorio; proposta che, ai sensi dell’art. 17, comma 7, CCII, dovrà contenere una “soluzione adeguata per il superamento delle condizioni di cui all’articolo 12, comma 1 […]”. Prendendo come punto di riferimento questo concetto, la proposta dell’imprenditore dovrà essere strutturata ed articolata, equilibrando i sacrifici richiesti a ciascuna parte coinvolta, vale a dire la proporzione tra grado di esposizione al rischio ed utilità derivanti dalla continuità aziendale dell’impresa. Tutto ciò vale, in modo particolare, se l’impresa in stato di crisi decida di accedere alla composizione negoziata della crisi. La scelta del legislatore è stata, infatti, quella di mettere a disposizione delle parti alcune soluzioni “standardizzate” di cui all’art. 23 CCII su cui troverà applicazione la vera e propria proposta formulata al ceto creditorio. Sul punto e ad esempio, come chiarito nel Protocollo di Conduzione, il ruolo dell’Esperto si svilupperà, tra l’altro, nello “stimolare la formulazione” di una o più proposte, rappresentando “l’esigenza che [le proposte stesse] assicurino l’equilibrio tra i sacrifici richiesti alle singole parti, in modo quanto più possibile proporzionato al grado di esposizione al rischio di ciascuna di esse e alle utilità loro derivanti dalla continuità aziendale dell’impresa”.
Quanto precede porta a ritenere che la proposta debba essere concreta e fattibile, garantendo quell’equilibrio – più volte richiamato dal legislatore – tra gli interessi delle parti coinvolte indipendentemente dalla percentuale di stralcio che si chieda ai creditori di accettare.
Di qui, la possibilità d’affermare che tanto più l’imprenditore si attenga ad una sorta di protocollo di condotta ispirata al principio di lealtà, tanto maggiori saranno le probabilità di accoglimento di una proposta. In altri e più concreti termini, l’imprenditore dovrà elaborare una proposta che, indipendentemente dalla sua accettazione da parte dei creditori interessati, risulti giuridicamente ed economicamente fattibile, attribuendo a ciascun interessato un’utilità specifica che ragionevolmente non potrebbe essere riconosciuta nell’alternativa concorsuale applicabile.
In altre e più semplici parole, non importa la scelta del contenitore ristrutturativo, ma del contenuto ristrutturativo, dispiegando il CCII un’oggettiva efficacia educativa e mirando, del tutto correttamente, a prevenire accessi abusivi a strumenti prenotativi con richiesta di misure protettive.
Educazione e non abusività sono le due fondamentali linee guida che, in ogni fase del processo ristrutturativo disegnato dal CCII, dovranno condurre alla scelta di uno dei molteplici strumenti oggi disponibili, giacché a partire dalla conferma delle misure protettive in poi sarà possibile proseguire il percorso e beneficiare del supporto del Tribunale solo se si dimostrerà di avere le idee chiare.
L’avvio di un processo ristrutturativo con le idee chiare sarà tanto più agevole quanto più l’imprenditore, già nel corso del normale svolgimento dell’attività, avrà gestito la propria attività caratteristica con una corretta pianificazione della stessa e con un costante controllo sull’andamento aziendale, istituendo adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, capaci di garantire un certo output informativo (di tipo consuntivo ma anche previsionale) strumentale all’emersione tempestiva di segnali di probabilità di crisi, che dovranno essere prontamente processati dal management (o dall’imprenditore) per l’adozione delle opportune iniziative.
In questo consiste la vera efficacia educativa del CCII ed un effettivo valore aggiunto che impone un cambio di passo o, meglio, di pensiero ristrutturativo.
Questo cambio di passo impone poi di gestire il processo, profittando di una sequenzialità di fasi che consentano di combinare i differenti strumenti e di conseguire, nell’interesse dei creditori, il migliore risultato di ripagamento rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale.
Il sistema fasico può vedere l’avvio del percorso con la composizione negoziata, nella consapevolezza che questa non è uno strumento, ma un procedimento che dischiude accesso ad uno degli strumenti elencati in premessa, ed alla condizione che essa venga avviata non quale surrogato dell’oggi abrogato concordato riservato di cui all’art. 161, comma 6, l. fall.
La composizione negoziata è efficacemente e non abusivamente incardinata se, alla data della sua apertura, l’impresa in crisi disponga di un progetto ristrutturativo c.d. “minimo”, impieghi il tempo del negoziato con il supporto dell’esperto per migliorare questo progetto e valuti ex ante la possibilità di una conversione in concordato semplificato.
Un esempio concreto può essere di supporto.
Se un’impresa immobiliare dispone di una manifestazione di interesse per l’acquisto del suo principale asset ad un valore inferiore a quello di perizia, ma sufficiente ad offrire un ripagamento (se pur minimo) a tutti i creditori, allora essa ben potrà avviare la composizione, dichiarare che impiegherà il periodo protetto per cercare offerte migliorative, dimostrare che l’eventuale insuccesso della ricerca non pregiudicherà la fattibilità dell’operazione se accettata dai creditori, rappresentare attraverso quali strumenti, anche implicanti un cram down, sarà possibile perfezionare l’operazione ristrutturativa e così comprovare che la mancata accettazione non pregiudicherà i presupposti di accesso ad un concordato semplificato.
Un’ultima, ma molto importante, considerazione merita d’essere fatta.
I citati tratti dell’asimmetria temporale, della divisività interpretativa, della variabilità geometrica degli strumenti, dell’efficacia educativa del nuovo impianto e della strutturazione a fasi del percorso ristrutturativo non hanno modificato un elemento di fondo.
Il tentativo di ristrutturazione non deve mai condurre all’accanimento e, soprattutto, non deve mai far perdere di vista il fatto che un buon fallimento (anzi, una buona liquidazione giudiziale) è assai meglio di una brutta ristrutturazione, anche considerata la possibilità d’impiegare il concordato fallimentare non solo come mezzo di chiusura della procedura, ma come strumento di investimento a beneficio di fondi, domestici ed internazionali.