Il presente contributo fornisce un primo commento al nuovo Codice Contratti pubblici emanato con d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36, soffermandosi sull’analisi dei principi generali del Codice e fornendo una panoramica delle novità di dettaglio.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici (d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36) rappresenta una profonda svolta, anche sul piano culturale, nella disciplina della contrattualistica pubblica.
La innovata disciplina del procurement pubblico, infatti, deve esser letta nel contesto di un più ampio processo di riforma dell’organizzazione e dell’azione amministrativa, occasionato dall’esigenza di garantire il raggiungimento degli obiettivi posti dal Next Generation UE, piano di investimenti da circa 750 miliardi, finanziato dall’Unione europea nel 2020 per far fronte alla crisi sociale ed economica derivante dalla pandemia da Covid-19.
Come è noto gli obiettivi individuati dalla Commissione Ue hanno trovato attuazione nel nostro Paese con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, del quale – non a caso – la riforma dei contratti pubblici costituisce una delle direttrici essenziali, in quanto elemento cruciale del progetto di rilancio dell’economia nazionale italiana, già profondamente segnata dalla crisi pandemica, nonché, più di recente, dal conflitto russo-ucraino.
Dagli eventi storici degli ultimi due anni, dal prolungato contesto emergenziale e dalla spinta riformista dell’Unione europea è scaturita l’impellente necessità di assicurare la rapida ed efficace realizzazione degli interventi pubblici attraverso procedure di affidamento e di esecuzione tempestive ed efficienti, gestite da stazioni appaltanti qualificate.
È sulla base di questi presupposti che il legislatore, con legge delega del 21 giugno 2022, n. 78, ha incaricato il Governo di adottare “uno o più decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici, anche al fine di adeguarla al diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, e di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, nonché al fine di evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea e di giungere alla risoluzione delle procedure avviate” (art. 1).
L’esecutivo, avvalendosi della facoltà conferitagli dalla stessa legge-delega, ha demandato al Consiglio di Stato – nell’esercizio della propria funzione consultiva – la redazione dell’articolato normativo. Come emerge dalla “relazione illustrativa” del nuovo Codice dei contratti pubblici, la commissione incaricata della redazione dell’articolato ha voluto porre alla base del nuovo assetto normativo quattro principi: “semplificazione”, “accelerazione”, “digitalizzazione” e “tutela” (dei lavoratori e delle imprese).
In particolare, l’esigenza di semplificazione ha ispirato non solo alcuni istituti, ma – più in generale – l’impostazione generale del Codice dei contratti pubblici e finanche la tecnica normativa.
Si spiega così l’innovativa scelta del legislatore di redigere un Codice “autoesecutivo”, dunque, un corpus di norme che non rinvia ad ulteriori provvedimenti attuativi ma consente agli operatori giuridici di avere sin da subito piena contezza dell’intera disciplina.
Tale scelta è stata attuata in concreto attraverso un innovativo meccanismo di delegificazione che opera attraverso i trentasei “allegati” del Codice. Gli allegati, infatti, costituiscono una fonte regolamentare che sostituisce ogni altra fonte attuativa ad oggi vigente (in particolare gli allegati del Codice del 2016, le 17 Linee guida dell’ANAC ed i regolamenti ancora in vigore, tra cui il d.P.R. n. 207 del 2010, risalente addirittura all’attuazione del Codice del 2006). Sembra, così, destinata a comporsi quella frattura nel sistema delle fonti che la dottrina aveva denunziato in riferimento al d.lgs. n. 50/2016 ed all’ampio rinvio ivi previsto alla decretazione governativa ed ai poteri normativi dell’ANAC.
L’impostazione strutturale del Codice dei contratti pubblici viene poi immediatamente esplicitata nei suoi primi 12 articoli, che enunciano i cosiddetti “principi generali” riguardanti l’intera materia dei contratti pubblici.
Siamo quindi innanzi ad una “codificazione per principi” e anche sotto questo profilo il cambio di prospettiva è evidente ove si rammenti che il Codice del 2006 dedicava ai principi poche e fugaci disposizioni. Secondo quanto riportato nella “relazione illustrativa”, il ricorso ai principi risulta di fondamentale importanza, in quanto assolve alla funzione di rendere intellegibile il disegno armonico, organico e unitario sotteso al Codice dei contratti pubblici, consentendone una migliore comprensione; i principi, inoltre, “quali criteri che costituiscono il fondamento giuridico della disciplina considerata, hanno anche una funzione genetica (nomogenetica) rispetto alle singole norme”, rispondendo ad esigenze di completezza e di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione in disposizioni puntuali.
Ma vi è di più. Il legislatore del 2023 non solo enuncia taluni principi – riconducibili, evidentemente, a distinti interessi pubblici – ma individua una gerarchia tra gli stessi, utile quindi all’interprete nella definizione dell’interesse pubblico in concreto. Il margine di discrezionalità nella ponderazione di interessi risulta, quindi, circoscritto, per lo meno dalle disposizioni che concorrono a gerarchizzare gli interessi ed i principi.
In proposito è significativo che i primi tre articoli siano dedicati ad altrettanti principi diremmo di rango “primario” – art. 1 “principio del risultato”, art. 2 “principio della fiducia”, art. 3 “principio di accesso al mercato” – alla luce dei quali “si interpretano e si applicano” tutte le altre disposizioni (art. 4).
In particolare, secondo l’art. 1, le stazioni appaltanti devono sempre perseguire il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività (nell’ottica dell’accelerazione) e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza. La concorrenza, in particolare, risulta asservita al conseguimento del risultato, se è vero che essa “è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”. In altre parole, si collega il risultato (inteso come fine), alla concorrenza (intesa come metodo), in un’ottica per la quale l’obiettivo prioritario rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività perseguendo un risultato “virtuoso” che accresca la qualità, diminuisca i costi e aumenti la produttività.
Il principio del risultato – è bene evidenziarlo – diviene una sorta di “super-principio”, in quanto assurge a “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto” (art. 1, comma 4).
L’art. 2, nell’introdurre invece il “principio della fiducia”, stabilisce che l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici devono fondarsi sulla fiducia nell’azione amministrativa, in tal modo favorendo e valorizzando l’iniziativa, la discrezionalità e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici. Non manca anche nel nuovo Codice l’attenzione verso una “rete di protezione” nei confronti dei dipendenti pubblici. Si prevede, infatti, che costituisca colpa grave ai fini della responsabilità amministrativa “la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa”. Tale previsione è in linea con una tendenza dell’ordinamento ad introdurre riforme che – riducendo l’area della responsabilità penale ed amministrativa – dovrebbero incentivare condotte attive dei funzionari pubblici, indispensabili in una logica di efficienza amministrativa e di risultato. Anche attraverso il Codice dei contratti pubblici – come già è accaduto con la riforma della responsabilità amministrativa e con la riscrittura dell’art. 323 c.p. in materia di abuso d’ufficio – si intende così superare la cosiddetta “paura della firma” che determina la paralisi dell’azione amministrativa e gli effetti esiziali, da tempo denunciati, della “burocrazia difensiva”.
Il terzo “super-principio” è quello di accesso al mercato, in forza del quale le stazioni appaltanti favoriscono “l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità” (art. 3).
Non è certamente questa la sede per indugiare in un’analisi delle numerose e rilevanti innovazioni recate dal Codice del 2023. È interessante notare, tuttavia, che alcune di queste erano già state anticipate dai decreti “semplificazioni”, nel quadro delle misure urgenti adottate per l’attuazione del PNRR (d.l. 16 luglio 2020, n. 76 e d.l. 31 maggio 2021, n. 77).
Tale regime “transitorio-derogatorio” – che nell’intenzione del legislatore avrebbe dovuto applicarsi dapprima sino al 31 dicembre 2021 e, successivamente, sino al 30 giugno 2023 – ha trovato stabile ingresso nell’ordinamento, almeno in relazione a quelle norme che, introdotte come emergenziali, sono state recepite dal nuovo Codice dei contratti pubblici.
E così, disposizioni concepite per far fronte a situazioni di necessità ed urgenza, peraltro in uno straordinario contesto emergenziale, finiscono per divenire “ordinarie” nel sistema, perdendo quel carattere di eccezionalità che giustificava il sacrificio di interessi e diritti antagonisti.
In tal senso, si pensi ad esempio all’imposizione di tempi contingentati per la conclusione delle procedure (fissati nell’allegato I.3 del nuovo Codice), alla liberalizzazione degli appalti sotto-soglia per i quali è possibile attivare procedure negoziate e affidamenti diretti (artt. 48-55, con tutto ciò che questo comporta in termini di tutela della concorrenza, trasparenza e legalità, come ha evidenziato a più riprese il presidente dell’ANAC), alla liberalizzazione dell’appalto integrato sulla base del progetto di fattibilità tecnico-economica (art. 44), alla tendenziale obbligatorietà del collegio consultivo tecnico con le sue decisioni che possono avere valore di lodo irrituale (art. 215), alla conferma del meccanismo di inversione procedimentale in tutti i settori (art. 107).
Si è inoltre disposta la semplificazione dei livelli progettuali (con la scomparsa del progetto definitivo); è stato eliminato il divieto del subappalto “a cascata” (art. 119), in adeguamento alla normativa ed alla giurisprudenza europea, con la previsione di criteri di valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante, da esercitarsi caso per caso; è stato semplificato il quadro normativo del Partenariato pubblico-privato per rendere più agevole la partecipazione degli investitori istituzionali.
Infine, in tema di digitalizzazione, è stato definito un “ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale” (art. 22) i cui pilastri sono la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (art. 23), il fascicolo virtuale dell’operatore economico (art. 24) e le piattaforme telematiche di approvvigionamento. Di notevole rilevanza anche la digitalizzazione integrale in materia di accesso agli atti (art. 36), in linea con lo svolgimento in modalità telematica delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici.
Siamo quindi innanzi ad una profonda riforma della contrattualistica pubblica, destinata – ed è questo l’aspetto forse maggiormente innovativo e meritevole di essere rimarcato – a produrre effetti immediati ed oggettivamente misurabili nell’ordinamento, secondo la logica del risultato propria del Next generation Eu, del PNRR e, necessariamente, degli interventi che, come il d.lgs. n. 36/2023, ne costituiscono attuazione.