SOMMARIO: Il contributo concerne le polizze abbinate ai contratti di finanziamento e, in particolare, si propone di verificare – anche alla luce della giurisprudenza dell’Arbitro Bancario Finanziario – i criteri per distinguere quelle genuinamente facoltative da quelle presentate come tali ma in realtà necessarie per ottenere la concessione del credito.
ABSTRACT: The essay deals with insurance policies linked to a credit contract and aims to focus on which cases taking out a policy could influence loan authorization.
[*] 1. Il problema
Osservando l’operatività bancaria, è agevole constatare come alla erogazione di mutui e/o finanziamenti si accompagni spesso la sottoscrizione da parte del cliente di una o più polizze assicurative[1].
Talvolta ciò avviene perché così vuole la legge: è ad esempio il caso del (tipo di) finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione), rispetto al quale l’art. 54 d.P.R. n. 180/1950 richiede, quale requisito per il perfezionamento del relativo contratto, anche l’attivazione da parte del soggetto finanziato di una copertura assicurativa contro il rischio di morte e (eventualmente) di perdita del posto di lavoro.
In altre situazioni, è lo stesso cliente a trarre dalla concessione del prestito l’occasione per richiedere una polizza, approfittando del fatto che la banca erogante sia autorizzata a distribuire anche prodotti assicurativi.
E’ vero però che, molto più di frequente, l’impulso alla contestuale stipulazione di un contratto assicurativo promana proprio dal soggetto finanziatore. In tale eventualità – suscettibile di innestarsi, a seconda dei casi, nel quadro di una offerta commerciale separata o “a pacchetto” -, la sottoscrizione anche della polizza potrà atteggiarsi come una variabile del tutto autonoma e indipendente rispetto alla concessione del finanziamento, oppure costituire un elemento condizionante il prestito sotto il profilo dell’an o del quomodo. In quest’ultima ipotesi, ricorrono gli estremi della offerta di un prodotto assicurativo abbinato a un contratto di finanziamento.
Ora, è noto che la distribuzione incrociata di prodotti bancari e assicurativi ha suscitato nel recente passato non poche perplessità, in ragione della attitudine della stessa a dare origine a condotte opportunistiche, in grado di integrare pratiche commerciali scorrette[2], specie allorchè una cospicua parte del costo della polizza sia «retrocessa all’intermediario che, giovandosi del duplice ruolo di mutuante ed intermediario, carica i mutuatari-consumatori di costi che non riflettono quelli altrimenti determinati da una corretta dinamica concorrenziale»[3].
Preme però rilevare che, al di là di tale aspetto, una strategia commerciale di cross-selling
si presta ad assumere rilievo anche sotto il profilo della corretta determinazione del c.d. TAEG: ovvero di quell’indicatore sintetico del costo totale del credito da inserire nel corpo del contratto allorché si tratti di credito al consumo (art. 125-bis t.u.b.) ovvero nel Prospetto informativo europeo standardizzato (art. 120-novies t.u.b.) nel caso di credito immobiliare ai consumatori.
Vero è infatti che, nel prevedere che nel «costo totale del credito» siano inclusi «anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte», gli artt. 120-quinquies, comma 2 e 121, comma 2 t.u.b. impongono di verificare se il prezzo della copertura attivata dal consumatore al momento della sottoscrizione del finanziamento sia o meno da comprendere nella base di calcolo del TAEG[4].
A ciò dovendosi aggiungere che, quanto meno nell’ipotesi di credito al consumo, il mancato conteggio del prezzo di una polizza da considerare (non facoltativa, ma) obbligatoria (in quanto incidente sull’an o sul quomodo del prestito), nel determinare l’erroneità del TAEG indicato nel contratto, si rivela idonea ad innescare la struttura rimediale delineata dall’art. 125-bis, comma 7 t.u.b. che prevede – con effetti all’un tempo caducatori e sostitutivi – l’addebitabilità del solo tasso BOT in luogo delle condizioni economiche originariamente fissate.
2. La non decisività della qualificazione negoziale della polizza come «facoltativa»
E’ da notare come non di rado sia la stessa modulistica (pre)contrattuale a presentare nei termini di «obbligatoria» o «facoltativa» la polizza attivata in uno con la sottoscrizione del finanziamento.
Ora, appare evidente che, nell’ambito di una contrattazione che si avvale di moduli e formulari predisposti unilateralmente dalla banca (artt. 1341-1342 c.c.), l’indicazione negoziale del carattere obbligatorio della copertura non può che segnalare in via univoca l’intento del soggetto finanziatore di subordinare la concessione del prestito alla stipulazione del contratto assicurativo contestualmente proposto.
Per contro, non sembra possibile attribuire all’opposta qualificazione un valore altrettanto dirimente. Vi osta anzitutto la constatazione per la quale la formulazione degli artt. 120-quinquies, comma 2 e 121, comma 2 t.u.b. richiede di accertare la ricorrenza di un elemento – l’eventuale nesso di condizionamento tra la polizza e l’erogazione del finanziamento – apprezzabile sul piano non delle qualificazioni formali, ma della concreta realtà di fatto. Vi osta inoltre – e per la verità ancor di più – il carattere imperativo che deve riconoscersi alla disciplina in materia di TAEG (e alla correlativa formula di calcolo) in ragione vuoi della previsione del rimedio della nullità (con effetti caducatori-sostitutivi) sancito dall’art. 125-bis, comma 7 t.u.b. nell’ipotesi di indicazione scorretta del relativo dato, vuoi della natura degli interessi in gioco. A quest’ultimo proposito, è infatti da rilevare che la segnalazione di un TAEG fedele si rivela funzionale, oltre che all’interesse individuale del cliente a ricevere una informazione esatta, anche a quello più generale relativo alla tutela della concorrenza[5]: essendo evidente che, tenuto conto della natura seriale dei prodotti esame, l’eventuale indicazione di un valore erroneo non potrà che ripercuotersi sull’intera offerta dei finanziamenti dello stesso tipo e quindi assumere una rilevanza (non episodica, ma) sistemica, così alterando il fisiologico svolgimento della «gara competitiva»[6].
D’altro canto, affermare che (al pari di una etichetta in grado di coprire il dato reale) la qualificazione negoziale della polizza in termini di facoltatività sarebbe comunque destinata a prevalere, avendo pur sempre formato oggetto di adesione da parte del soggetto che ha sottoscritto il prestito, equivarrebbe ad ammettere la derogabilità in peius anche dal lato del sovvenuto (in quanto comportante un allentamento dei presidi di garanzia posti a sua tutela) di una normativa che – come già sottolineato – risulta connotata dal tratto della imperatività e quindi dalla immodificabilità se non a vantaggio del cliente (cfr. art. 127, comma 1 t.u.b.)[7].
A ciò dovendosi aggiungere che sul punto i consumatori-mutuatari mostrano di possedere una scarsa reattività, essendo «concentrati soprattutto sulla ricerca e sulle condizioni del mutuo, mentre la soglia di attenzione verso la polizza assicurativa è generalmente bassa»[8]. Sicché l’idea di accontentarsi dell’atto adesivo del cliente – attribuendovi significatività decisiva – finirebbe per riproporre quel paradigma di approccio formalistico che, già in altre situazioni, è stato respinto dal diritto applicato[9].
Non a caso, può stimarsi ormai consolidata l’interpretazione dell’Arbitro Bancario Finanziario secondo cui l’espressa qualificazione come facoltativa della polizza sottoscritta dal consumatore non costituirebbe di per sé elemento da solo sufficiente per considerare quest’ultima tale anche ai sensi e agli effetti dell’art. 121 t.u.b.
3. L’orientamento dell’Arbitro Bancario Finanziario
Le osservazioni appena svolte inducono a porre la questione relativa alla individuazione – in difetto di una espressa qualificazione negoziale in termini di obbligatorietà – degli indici attraverso cui verificare nel concreto se una data polizza collocata dalla banca e attivata dal consumatore congiuntamente alla sottoscrizione del prestito sia o meno da considerare come imposta dal soggetto finanziatore.
Quello evocato costituisce peraltro un tema frequentemente portato all’attenzione dell’Arbitro Bancario Finanziario, tanto da sollecitare, nel giro di pochi anni, svariati interventi del Collegio di Coordinamento che hanno determinato un indirizzo ormai consolidato[10].
Scendendo più nel dettaglio, il suddetto orientamento muove da una duplice premessa: da un lato, l’idea (già riferita) secondo cui la qualificazione negoziale della polizza non si configurebbe come elemento di per sé decisivo (tutt’al più atteggiandosi alla stregua di un mero indizio); dall’altro lato, l’assunto per il quale la formulazione dell’art. 121, comma 2 t.u.b. implicherebbe – quale requisito necessario per ravvisare il carattere della obbligatorietà – la sussistenza di un collegamento genetico e funzionale, ovvero di un rapporto di connessione particolarmente elevato, tale cioè da soddisfare l’interesse del finanziatore a neutralizzare (o comunque gestire) il rischio di mancato rimborso, assicurando la conservazione delle originarie condizioni patrimoniali e finanziarie del debitore.
Ciò posto, sarebbe consentito ravvisare la sussistenza di un simile nesso allorquando la polizza, pur proposta come facoltativa, i) abbia una durata corrispondente a quella del piano di ammortamento del finanziamento; ii) preveda un capitale, in caso di polizza vita, o un indennizzo in caso di polizza danni parametrati al debito residuo, così da garantire l’assicurato contro accadimenti in grado di minarne la capacità patrimoniale – finanziaria e quindi di pregiudicarne la capacità di corrispondere i pagamenti rateali, in linea con il piano di ammortamento del finanziamento già prestabilito.
La significatività degli elementi appena indicati si presenterebbe ancor più pregnante nell’ipotesi in cui contraente e beneficiario della polizza assicurativa fosse lo stesso intermediario finanziatore oppure nel caso in cui a quest’ultimo fosse attribuita una remunerazione ragguardevole per avere collocato la polizza, oppure ancora nell’ipotesi di polizza collettiva stipulata, ai sensi dell’art. 1891 c.c., dalla stessa banca erogatrice del prestito.
Preme tuttavia sottolineare che, sempre ad avviso della giurisprudenza ABF, la presunzione di obbligatorietà traibile dai dati appena riferiti non sarebbe di per sé ancora dirimente (o, meglio, la prova presuntiva non potrebbe ancora considerarsi acquisita), essendo consentito alla banca di superarla (rectius di bloccarne la compiuta formazione), dimostrando alternativamente i) di avere proposto al cliente una comparazione dei costi (e del TAEG), con o senza polizza; ii) di avere offerto ad altri clienti con il medesimo merito creditizio le stesse condizioni di finanziamento, anche in assenza del contratto di assicurazione; iii) che la polizza attivata attribuisce al debitore-assicurato un diritto di recesso dal contratto di assicurazione per tutto il corso del finanziamento senza l’applicazione di costi o di qualsiasi altra modifica delle condizioni del contratto di credito[11].
Mette conto di aggiungere che, per provare il fatto «di avere offerto condizioni simili, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il medesimo merito creditizio», il Collegio di Coordinamento ha testualmente precisato che «è sufficiente la mera dichiarazione dell’intermediario circa l’eguaglianza del merito creditizio degli altri soggetti; è necessario [ma al tempo stesso bastevole] che l’intermediario produca almeno due contratti [comparativi]; i soli cinque parametri e i rispettivi scostamenti dal benchmark da riscontrare al fine di ritenere raggiunta la prova [della significatività dei contratti prodotti] sono: 1.TAN; scostamento marginale 50bp; 2. Durata 25%; 3. Importo: 25%; 4. Periodo di offerta: 3 mesi; 5. Coobligati/altre garanzie: limitata varianza (quest’ultima specificata nel senso che, se il benchmark è senza coobbligati e l’intermeidario ha prodotto due contratti comparativi, almeno uno di questi deve essere anch’esso senza coobbligati».
Relativamente alla prova di «avere proposto al ricorrente una comparazione dei costi (e del TAEG) da cui risulti l’offerta delle stesse condizioni di finanziamento con o senza polizza», va richiamata l’ulteriore puntualizzazione offerta dal Collegio di Coordinamento per la quale «l’avere offerto lo stesso TAN comprova l’offerta delle stesse condizioni senza polizza».
Da ultimo, con riferimento specifico al diritto di recesso, sempre il Collegio di Coordinamento ha ritenuto sufficiente che «il recesso previsto inizialmente sia consentito, previo preavviso ma senza costi e senza incidere sul costo del credito, per ciascuno degli anni successivi sino alla scadenza».
4. Sulla pretesa identità tra polizza obbligatoria e polizza geneticamente e funzionalmente collegata
Apprezzabile nella misura in cui ammette l’esistenza di polizze formalmente facoltative ma sostanzialmente obbligatorie, cionondimeno la soluzione offerta dall’Arbitro Bancario Finanziario suscita, a una valutazione più approfondita, non poche riserve.
In effetti, appare già una forzatura la tesi secondo cui il carattere della «obbligatorietà» implicherebbe un nesso di carattere genetico e funzionale tra la polizza e il prestito sottoscritto dal cliente. A tale riguardo, proprio nella pronuncia del Collegio di Coordinamento ad oggi più recente si legge che «una volta rilevata la contestualità della sottoscrizione tra contratto di finanziamento e contratto assicurativo, l’attenzione va posta sulla presenza o meno di una connessione funzionale fra assicurazione e finanziamento». E questo perché la riscontrata contestualità si presterebbe a dare «luogo a una presunzione iuris tantum di collegamento: presunzione che, tuttavia, può essere vinta dando prova della totale assenza di funzionalità della polizza a garantire la restituzione del finanziamento, e dunque dimostrando che il contratto di finanziamento ha rappresentato soltanto l’occasione per offrire al cliente prodotti assicurativi diversi (ad esempio: polizza furto, polizza spese mediche etc.)»[12].
Ora, non ci può esimere dal notare che le argomentazioni svolte dal Collegio di Coordinamento faticano a convincere. A ben vedere, l’interpretazione in esame appare smentita dallo stesso dato normativo, la lettera degli artt. gli artt. 120-quinquies, comma 2 e 121, comma 2 t.u.b. limitandosi a includere nella base di calcolo del TAEG i premi assicurativi alla sola condizione che l’attivazione della relativa polizza sia tale da incidere sulla erogazione del prestito o sulle condizioni del medesimo.
D’altro canto, se è vero che l’obbligatorietà non è dimostrabile attraverso una prova diretta ma al massimo mediante una prova presuntiva (cfr. art. 2729 c.c.)[13], deve rilevarsi che tra gli elementi suscettibili di assumere valore indiziario in un senso o nell’altro, il dato del collegamento funzionale non appartiene al novero di quelli più significativi e comunque si presenta ben lontano dall’assumere quel valore semantico che gli si vorrebbe attribuire.
Così è da dire per l’ipotesi di offerta a pacchetto. Invero, proprio il modo di presentare, anche sotto l’aspetto della veste documentale, il prodotto quale combinazione di più tasselli preassemblati (rectius unificati a monte in sede di ingegnerizzazione del tipo di finanziamento) appare già di per sé elemento idoneo a offrire, in relazione alla costruzione di una prova presuntiva riguardante l’obbligatorietà della polizza, materiale non solo rilevante[14] ma addirittura concludente, a meno che la banca non fornisca evidenza documentale di avere prospettato al cliente la prospettazione dei costi con o senza polizza: onere questo tutt’altro che diabolico, ove soltanto si consideri che è proprio l’intermediario a predisporre unilateralmente la documentazione precontrattuale e la modulistica contrattuale[15].
I termini della questione non sembrano cambiare anche nel caso di offerta separata. Premesso che, ragionando astrattamente, parrebbe più probabile che dal cliente possa provenire l’impulso ad attivare una copertura funzionalmente connessa piuttosto che decorrelata[16], la verità è che finché si continui a considerare il prestito in una dimensione esclusivamente individua (o meglio monadica), si rivelerà arduo discernere se l’eventuale copertura assicurativa contestualmente accesa dal soggetto finanziato risponda a una decisione autonoma di quest’ultimo oppure a una imposizione della banca. A ben vedere, per impostare correttamente la verifica, occorrerebbe abbandonare la prospettiva dell’atto singolo per riguardare l’operazione di finanziamento come fatto d’impresa per sua natura suscettibile di essere reiterato un numero indeterminato di volte. Una volta allargato in tal modo l’angolo visuale, sarebbe infatti possibile accertare se l’abbinamento della polizza si presenti come un accadimento seriale o meramente occasionale: nel primo caso sembrando ragionevole desumere un indizio nel senso della obbligatorietà sostanziale della copertura, nell’altro in direzione della genuina facoltatività della stessa.
E’ appena il caso di osservare che, accogliendo la soluzione ipotizzata, l’onere di rammostrare le evidenze documentali relative ai finanziamenti del medesimo tipo sottoscritti in una certa unità temporale non potrebbe che ricadere sulla banca, anche in applicazione del principio della vicinanza della prova[17]. Mette piuttosto conto sottolineare che, anche in tale situazione, non sembra azzardato elevare la semplice contestualità quanto meno ad indizio di obbligatorietà: un indizio peraltro in grado di cristallizzarsi e conseguentemente di sorreggere anche da solo la prova (presuntiva) del carattere imposto della polizza, nell’ipotesi in cui dalla vicenda concreta non emergessero in maniera preponderante elementi di segno contrario[18].
Semmai è da aggiungere che l’attuale disciplina del giudizio civile ordinario fatica a trascorrere dall’accertamento del «caso singolo» a quello del «fatto seriale»[19]. Ma anche sotto tale aspetto le cose stanno cambiando nella consapevolezza che l’emersione del c.d. Diritto privato dell’impresa non può che portare con sé un adeguamento delle tecniche processuali. Al di là del potenziamento dei sistemi di public enforcement[20], il pensiero corre naturalmente al trend di progressiva valorizzazione, a livello legislativo, dei procedimenti collettivi instaurabili tramite azioni di classe o azioni inibitorie (cfr. artt. 840 ss. c.p.c.), fino a richiamare l’imminente recezione della Dir. 2020/1828/UE in tema di azioni rappresentative a tutela degli interessi dei consumatori[21].
5. I c.d. indici presuntivi di facoltatività: perplessità di merito
Come già riferito, secondo la giurisprudenza dell’Arbitro Bancario Finanziario, alla banca sarebbe consentito superare la presunzione di obbligatorietà – pur quando evincibile dalla ricorrenza di un nesso genetico-funzionale tra polizza e contratto assicurativo -, fornendo evidenza della sussistenza nella vicenda concreta di almeno una delle (tre) circostanze elencate dal Collegio di Coordinamento come idonea dimostrare la facoltatività della copertura[22].
Ora, dei fatti reputati in grado di assumere una simile rilevanza probatoria risulta effettivamente significativo solo quello concernente la documentazione di avere prospettato al cliente una comparazione dei costi (e del TAEG), con o senza polizza. Invero, in presenza di un’offerta del medesimo prodotto, nella duplice variante solitaria o abbinata a una polizza, con indicazione – anche in forma sintetica – dei rispettivi costi, è da ritenere che sussistano evidenze sufficienti per ritenere acquisita la prova della facoltatività.
Non altrettanto può dirsi con riguardo alla produzione «a titolo esemplificativo» di due contratti suscettibili di fungere da termini comparativi (in quanto sostanzialmente simili – nei limiti precedentemente indicati – a quello oggetto di controversia, sebbene non accompagnati da alcuna copertura assicurativa).
Il peso attribuito a tale circostanza appare invero non tenere nella dovuta considerazione che nell’ambito della contrattazione standardizzata l’accertamento di un determinato comportamento imprenditoriale va compiuto alla luce non del singolo episodio ma della serie. In altri termini, per attribuire una reale pregnanza al dato comparativo, occorrerebbe quanto meno valutare il «rapporto tra il numero complessivo di prodotti omologhi piazzati in un dato arco temporale con e senza polizza»[23].
Anche il riferimento alla sussistenza del diritto di recesso dalla polizza (senza costi aggiuntivi) si rivela ambiguo, specie allorquando – enfatizzando l’inciso «ciascuno degli anni successivi sino alla scadenza» – si voglia ritenere invocabile a tale scopo anche il «diritto di recesso» che l’art. 1899 c.c. riconosce di default nell’ipotesi di contratto di durata superiore ai cinque anni, una volta decorso il primo quinquennio. In effetti, come già osservato in letteratura, l’eventuale facoltà per il cliente di recedere dal contratto di assicurazione – non ab origine – ma negli anni successivi a quello della sua conclusione non implica necessariamente la natura facoltativa della polizza: il relativo premio per i primi sei anni di durata del rapporto prestandosi comunque a incidere sulle condizioni del finanziamento offerte al cliente o sulla stessa erogazione del credito[24].
6. (Segue) Perplessità di metodo
Al di là della (discutibile) scelta delle circostanze che sarebbero contraddistinte da una efficacia segnaletica del carattere facoltativo della polizza, è da rimarcare che la soluzione propugnata dal Collegio di Coordinamento appare per di più incorrere in un errore, per così dire di metodo, nella misura in cui finisce per attribuire l’efficacia probatoria propria di una presunzione legale iuris et de iure[25] ad elementi che, in assenza di una previsione normativa, potrebbero al più essere considerati e soppesati nel processo di formazione di una prova presuntiva.
Invero, non può non colpire come la ricorrenza di anche uno solo degli indici di cui all’elenco precedentemente riferito sia ritenuta circostanza dotata di una concludenza tale da far ritenere acquisita e non più contestabile la prova della facoltatività della copertura abbinata al finanziamento.
Appare tuttavia evidente che, in tal modo, si finisce per trattare come fondanti una presunzione legale fatti e/o circostanze che non dovrebbero salire oltre il rango di semplici indizi[26].
Più precisamente, così ragionando, si viene ad eliminare alla radice quella possibilità di apprezzare e ponderare – e farne, se del caso, oggetto di una valutazione sintetica – tutti i dati significativi offerti dalla vicenda concreta: possibilità che costituisce invece il proprium dell’iter di formazione della prova presuntiva, come peraltro sottolineato dalla stessa Cassazione, allorquando afferma che, nella assunzione di tale tipo di prova, il Giudice è tenuto a svolgere una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire la base per una prova compiuta seppure indiretta[27].
[*] Il contributo è destinato al Liber Amicorum per Aldo Angelo Dolmetta
[1] Il tema è affrontato diffusamente nel volume collettaneo Le assicurazioni abbinate ai finanziamenti a cura di P. Marano e M. Siri, Milano, 2016. In argomento v. altresì D. Galletti, La cross selling di prodotti bancari ed assicurativi dopo le recenti riforme dei mercati finanziari, in Banca impr. Soc., 2007, 365 ss.
[2] A tale riguardo, la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è intervenuta più volte riconoscendo e sanzionando la scorrettezza (per ingannevolezza e/o aggressività) del comportamento di alcuni operatori bancari nella fase di collocamento di prodotti bancari con polizze abbinate: cfr. i provvedimenti nn. 27606 e 27607 del 10 marzo 2019, nonché nn. 28156, 28157, 28158 28159 del 2020. Nel provvedimento 28158, l’AGCM ha ad esempio rilevato che «gli elementi descritti evidenziano politiche di collocamento aggressive, fondate sullo sfruttamento della posizione di potere della Banca, tramite le quali [la stessa] esercita, in ultima istanza, una forte pressione sui consumatori, tale da limitarne notevolmente la caapcità di prendere consapevoli decisioni commerciali, inducendoli ad acquistare polizze in abbinamento a mutui/surroghe in assenza di un processo decisionale libero».
[3] La frase è di M. Siri, La protezione dell’assicurato mutuatario nel codice del consumo, in Le assicurazioni abbinate ai finanzaimenti (nt. 1), 53. Sempre della medesima opera collettanea vd. altresì l’approfondimento di G.G. Peruzzo, L’art. 28 D. Liberalizzazioni e l’abbinamento delle polizze ai mutui, 149 ss.
[4] Per la verità, un problema di inclusione o meno del prezzo della polizza abbinata si pone anche nell’ambito della disciplina dell’usura con riguardo alla determinazione del TEG: ma, almeno secondo la giurisprudenza consolidata dell’Arbitro Bancario Finanziario, pur trattandosi di materia diversa, non viene richiesta per la soluzione una impostazione diversa da quella elaborata con riferimento al TAEG.
[5] Da quest’angolo visuale la disciplina in tema di TAEG rientra pienamente nel c.d. diritto privato regolatorio, ovvero – richiamandosi alla definizione di A. Zoppini, Diritto privato generale, diritto speciale, diritto regolatorio, in Ars Interpretandi, 2021, 39 – in quella parte della normativa, che fuori dal codice civile e di origine comunitaria, corregge l’autonomia privata, rendendola funzionale agli obiettivi della tutela dell’integrità del mercato e che si esplica nei settori regolamentati.
[6] Cfr. ABF, Coll. Napoli, dec. 24 giugno 2022, n. 9808.
[7] Il punto è colto da A. Tina, Polizze formalmente facoltative ma sostanzialmente obbligatorie, in Governance e mercati. Studi in onore di Paolo Montalenti, Torino, 2022, III, 2177.
[8] Così M. Siri, (nt. 3), 53.
[9] Il pensiero corre evidentemente alla riconosciuta possibilità, a livello di diritto applicato, di ravvisare la natura subordinata del rapporto di lavoro indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalle parti; oppure alla attribuzione di una efficacia soltanto indiziaria alla dichiarazione autoreferenziale di operatore qualificato di cui all’art. 31, comma 2 Reg. Consob n. 11522 del 1998.
[10] Cfr. ABF Coll. Coord., 12 settembre 2017, dec. nn. 10617, 10620, 10621; Coll. Coord. 9 gennaio 2018, dec. n. 250; Coll. Coord., 26 luglio 2018, dec. n. 16291; Coll. Coord. 21 marzo 2022, dec. n. 4655.
[11] Così ABF, Coll. Coord., 26 luglio 2018, dec. n. 16291. A tale pronuncia vanno ricondotti anche i successivi incisi virgolettati presenti nel paragrafo.
[12] Entrambi gli incisi virgolettati si leggono in Coll. Coord. 21 marzo 2022, dec. n. 4655.
[13] Uno spunto in tal senso si rinviene in Coll. Coord. 9 gennaio 2018, n. 250. Come scrive S. Patti, Note in tema di presunzioni semplici, in Liber Amicorum per Giuseppe Vettori, Roma, 2022, 3051, «la distinzione tra prova diretta e presunzione semplice si declina sotto il profilo della forma probante soprattutto nel collegamento tra fatti accertati e fatti rilevanti: diretto nel primo caso e indiretto nel secondo, in cui il giudice muove da indizi – i quali comunque devono presentare una certa forza probante e precisamente il suddetto alto grado di credibilità razionale – e perviene alla conclusione a seguito di un ragionamento di tipo probabilistico, che tuttavia non prescinde dalle caratteristiche del caso concreto».
[14] Orientata in tal senso anche Cass. n. 88096, 5 aprile 2017, secondo cui «la contestualità tra credito e assicurazione … si pone, prima di ogni altra cosa, come manifestazione tipica di un’offerta di mercato che si modella sull’articolazione di prodotti predisposti in modo unitario e preassemblati (ovvero a pacchetto per rendere il concetto in termini evocativi)». In direzione analoga, v. Cass. 24 settembre 2018, n. 22458.
[15] Va da sé che la lettura del fatto concreto può offrire ulteriori elementi in grado di incidere sul processo di formazione della prova presuntiva. Più precisamente, al di là del format della modulistica adoperata per la contrattazione, si presta ad assumere una valenza indicativa anche il dato della differenziazione delle condizioni nella concessione del mutuo: in particolare, quello della esistenza di una policy di prioritizzazione per le pratiche di mutuo accompagnate da polizza.
[16] In effetti, se la figura del cliente prudente (che si preoccupa di come rimborsare il mutuo nel caso di sopravvenienza di un sinistro) può avere una sua plausibilità, quella del soggetto che, a corto di liquidità tanto da richiedere un prestito, coglie l’occasione, al momento della sottoscrizione del finanziamento, per attivare di sua esclusiva iniziativa le coperture più disparate, rasenta il caso di scuola.
[17] In effetti, secondo un recente orientamento della Suprema Corte (Cass. 22 aprile 2022, n. 13903), lungi dal contrapporsi alla regola di cui all’art. 2697 c.c., il principio della vicinanza della prova fungerebbe – in difetto di indicazioni normative di segno univoco relativamente alla natura degli stessi – «da criterio ermeneutico che aiuta nella individuazione dei fatti costitutivi rispetto a quelli estintivi, modificativi e impeditivi, introducendo il canone per cui, nel rispetto delle possibili varianti di senso della disposizione attributiva della situazione soggettiva, i primi vanno identificati in quelli più prossimi all’attore e dunque nella sua disponibilità, mentre i secondi tutt’al contrario, coincidono con quelli meno prossimi e quindi più facilmente suffragabili dal convenuto».
[18] La significatività del dato della contestualità potrebbe invero sbiadirsi nel momento in cui risultassero, relativamente al tipo di finanziamento in questione, indici di abbinamento sporadici o comunque modesti.
[19] Come scrive A. Gambaro, Interessi diffusi, interessi collettivi e gli incerti confini tra diritto pubblico e diritto privato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2919, 392, la tradizione ci consegna una costruzione del processo civile come contesa tra interessi individuali. Non a caso, per celebrare l’introduzione di tecniche processuali che, discostandosi dagli schemi collaudati, si propongono di offrire forme di tutela aggregata, vi è chi (cfr. F. Auletta, L’azione rappresentativa come strumento di tutela dei diritti, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1678) parla di «processo regolatorio», in dichiarato parallelismo con la formula «diritto privato regolatorio». Ad ogni buon conto, nell’attuale panorama giurisprudenziale, merita di essere guardata con favore l’ordinanza del 6 maggio 2021 (reperibile sul sito www.ilcaso.it), attraverso la quale il Tribunale di Milano Sez. Imprese ha messo il cliente in condizione di assolvere all’onere probatorio relativo alla permanenza (oltre il periodo considerato dall’Autorità di settore nel provvedimento del 2 maggio 2005 n. 55) di una intesa restrittiva della concorrenza in materia di fideiussioni omnibus, accogliendo l’istanza di esibizione formulata dal medesimo rispetto a una pluralità di banche terze, al fine di acquisire al giudizio i moduli contrattuali utilizzati dalle stesse per regolare le garanzie fideiussorie richieste in vista della concessione di un finanziamento.
[20]Al riguardo, vengono in particolare rilievo i poteri investigativi ed esecutivi di cui al Reg. UE 2017/2394 che l’art. 27, comma 2 Cod. Cons. attribuisce all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. In effetti, l’offerta di contratti di finanziamento abbinati a polizze formalmente facoltative ma sostanzialmente obbligatorie, nel determinare in via seriale l’erronea indicazione del TAEG, si presta ad integrare in sé una pratica commerciale ingannevole, rispetto alla quale la competenza ad intervenire è rimessa in via esclusiva all’AGCM (cfr. art. 27, comma 1-bis Cod. Cons.). Peraltro, se è vero che public enforcement e private enforcement si collocano su piani distinti, è altrettanto vero che l’accertamento compiuto dall’AGCM relativamente alla natura scorretta di una pratica commerciale si presta a dispiegare un effetto fortemente limitativo sulla discrezionalità valutativa del giudice ordinario che sia investito di giudizi civili individuali o collettivi volti ad esperire rimedi risarcitori o di altra natura, operando alla stregua di una presunzione legale iuris tantum, secondo quanto desumibile (non da una specifica disposizione di legge, ma) dalla funzione sistematica assegnata agli strumenti di public enforcement (così Cass. 31 agosto 2021, n. 23655; nonché G. De Cristofaro, Legislazione italiana e contratti dei consumatori nel 2022: l’anno della svolta. Verso un diritto “pubblico” (dei contratti) dei consumatori, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 5 s.). Aspetto, quest’ultimo, destinato ad assumere un impatto ancora maggiore in virtù del disposto dell’art. 3, comma 1, n. 5 della Dir. 2019/2161/UE, che ha previsto che ai consumatori lesi da pratiche commerciali scorrette siano riconosciuti rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno, e se pertinente la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto (sul punto, v. L. Guffanti Pesenti, Pratiche commerciali scorrette e rimedi nuovi. La difficile trasposizione dell’art. 3, co. 1 n) 5, Dir. 2019/2161/UE, in Europa dir. priv., 2021, 636 ss.).
[21] Sul tema delle azioni rappresentative, v. G. De Cristofaro, Azioni rappresentative e tutela degli inteerssi colletivi dei consumatori, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1011 ss.; E. Camilleri, La Dir. 2020/2018/UE sulle azioni rappresentative e il sistema delle prove. La promozione dell’interesse pubblico attraverso la tutela degli interessi collettivi dei consumatori: verso quale modello di enforcement?, in Nuove leggi civ. comm., 2022, 1052 ss.
[22] In tema, con varietà di accenti, v. F. Maimeri, Polizze assicurative abbinate ai finanziamenti, in Corporate e mercati, (nt. 7), III, 2166 s.; nonché F. Quarta, Assicurazione e costo totale del credito. Rilevanza della payment protection insurance nel computo del TAEG, in Banca borsa tit. cred. 2019, I, 17 ss.
[23] Così ABF, Coll. Napoli, (nt. 6).
[24] Così A. Tina, (nt. 7), 2183 s., il quale aggiunge che, per potersi parlare con sicurezza di polizza facoltativa, occorrerà che il cliente possa effettivamente recedere dal contratto di assicurazione senza costi aggiuntivi e senza modifiche alle condizioni del finanziamento, per tutta la durata del contratto.
[25] Le presunzioni legali sono invero di due tipi, iuris et de iure e iuris tantum. Come osserva S. Patti, (nt. 13), 3054, le prime non consentono prova contraria e per questo motivo si avvicinano concettualmente alle finzioni, mentre le seconde l’ammettono e, a ben vedere, hanno la funzione di invertire l’onere della prova.
[26] Si deve sempre a S. Patti, (nt. 13), 3055, la precisazione secondo cui le presunzioni semplici rappresentano un fenomeno diverso e più complesso di quello delle presunzioni legali iuris tantum, poiché il ragionamento del giudice che trae la presunzione non mira a ripartire l’onere della prova ma ha ad oggetto la formazione e la sussistenza della prova, avvicinandosi sensibilmente a quello che il giudice compie per valutare la prova e pervenire al convincimento circa la verità del fatto rilevante per la decisione. Del medesimo Autore vd. altresì, Le prove, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2021, 2° ed., 815 ss.
[27] Così Cass. 11 febbraio 2020, n. 3327.