Il presente contributo analizza lo strumento del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, disciplinato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, soffermandosi sulle caratteristiche, punti di forza e di debolezza, anche alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali in materia.
Inquadramento normativo
Al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, che per brevità chiameremo anche PRO, è dedicato il Capo I bis del Titolo IV del CCII (più precisamente gli artt. 64 bis, ter e quater). è uno strumento di regolazione della crisi che consente al debitore di proporre a tutti i creditori, suddivisi necessariamente in classi[1], un piano di pagamento svincolato dalle disposizioni civilistiche concernenti la responsabilità patrimoniale del debitore, il concorso dei creditori e il rispetto delle cause di prelazione. L’omologazione del piano è subordinata all’approvazione dello stesso, a maggioranza, da parte di tutte le classi.
Il PRO ha notevoli affinità con il concordato preventivo (alla cui disciplina peraltro si rinvengono continui rimandi), dal quale si differenzia per la possibilità di derogare agli articoli 2740 (Responsabilità patrimoniale) e 2741 (Concorso dei creditori e cause di prelazione) del c.c.
Altra peculiarità del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, allorché assuma veste meramente liquidatoria, è quella dell’assenza del vincolo di effettuare alcun riparto minino a favore dei creditori chirografari e di apportare risorse aggiuntive, a differenza del concordato preventivo con analogo scopo, per il quale sono richiesti un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10% l’attivo disponibile e una soddisfazione dei creditori chirografari e dei privilegiati degradati pari almeno al 20% del loro ammontare complessivo. Si evidenzia peraltro che il PRO non è considerato dalla specifica normativa penalistica e pertanto non costituisce fonte di reati specifici.
Lo strumento è riservato ai soli imprenditori commerciali, esclusi i minori, in stato di crisi o di insolvenza.
Le principali caratteristiche del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione
La principale peculiarità dell’istituto è costituita, come accennato, dalla possibilità di derogare, in sede di pagamento dei creditori, agli articoli 2740 e 2741 c.c. La deroga al primo dei due articoli, che pone il principio della responsabilità patrimoniale, consente, in teoria (salvo un miglior trattamento, da misurare in concreto, ricavabile dal creditore in sede liquidatoria), al debitore di trattenere per se’, anche in un contesto meramente liquidatorio, parte delle risorse prodotte dal piano, distribuendo ai creditori solo la porzione residua, pur in assenza di una loro completa soddisfazione; la deroga al secondo permette al debitore una piena discrezionalità nella distribuzione del valore generato dal piano, prescindendo sia dal rispetto della proporzionalità tra creditori di medesimo grado (c.d. par condicio) che dall’ordine delle cause legittime di prelazione.
L’ampia libertà del debitore, nella distribuzione dei pagamenti, trova l’unico limite – esplicito – del trattamento riservato ai crediti dei lavoratori dipendenti, da soddisfarsi integralmente entro 30 giorni dall’omologazione; altro limite – questo implicito e di natura generale, ad efficacia indiretta – risiede nella necessità che la soddisfazione del creditore non debba essere inferiore rispetto a quanto da questi ricavabile dalla liquidazione giudiziale (detto limite si concretizza nella eventuale eccezione, per tale motivo, del creditore dissenziente in sede di opposizione all’omologa).
La maggiore flessibilità in sede di predisposizione del piano è bilanciata dalla maggiore rigidità nella determinazione della maggioranza necessaria alla sua approvazione; è coerente con questa ricostruzione la sostanziale limitazione del controllo del tribunale (a seguito della presentazione della domanda di accesso alla procedura) all’omogeneità con cui le classi dei creditori sono state costituite, onde evitare che la suddivisione sia finalizzata all’ottenimento di maggioranze addomesticate.
Il meccanismo di calcolo della maggioranza è il seguente. La proposta si intende approvata se in ciascuna classe è, alternativamente, raggiunta la maggioranza:
- dei crediti ammessi al voto; oppure, in difetto,
- dei 2/3 dei crediti dei creditori votanti, i quali devono essere titolari di almeno 1/2 dei crediti complessivi della classe[2].
I creditori con diritto di prelazione (pegno, ipoteca, privilegio) non votano qualora vengano osservate entrambe le condizioni che seguono:
- risultino integralmente soddisfatti in denaro entro 180 giorni dall’omologa (il termine si riduce a 30 giorni per i creditori con privilegio generale per crediti da lavoro);
- la garanzia reale (che assiste i crediti ipotecari o pignoratizi) resti ferma fino alla liquidazione di detti beni, funzionale al pagamento dei creditori garantiti;
in assenza anche di una sola delle condizioni, i creditori prelatizi votano per l’intero credito. Nell’ipotesi di pagamento parziale (anche entro 180 giorni), questi creditori vengono inseriti in due classi (una per la parte di credito pagata, l’altra per il credito declassato a chirografario) e votano per entrambe.
Ulteriore elemento che può indurre un debitore, fiducioso di poter ottenere il voto favorevole della maggioranza di tutte le classi, a proporre questo strumento, è la possibilità, in ogni momento (quindi, non solo in ipotesi di -inaspettata- bocciatura del piano), di modificare la domanda e formulare una proposta di concordato.
Inoltre, “dalla data della presentazione della domanda e fino all’omologazione, l’imprenditore conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell’impresa, [quest’ultima sotto il controllo del commissario giudiziale] … gestisce l’impresa nel prevalente interesse dei creditori”; l’imprenditore deve informare “… preventivamente il commissario, per iscritto, del compimento di atti di straordinaria amministrazione nonché’ dell’esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto al piano di ristrutturazione”.
Il regime introdotto dal piano di ristrutturazione soggetto a omologazione è pertanto di spossessamento attenuato dell’imprenditore: costui conserva indiscutibilmente la gestione ordinaria, mentre l’esecuzione sia di atti di straordinaria amministrazione che di pagamenti incoerenti rispetto al piano (in quanto non contemplati) deve essere preventivamente comunicata, per iscritto, al commissario giudiziale.
Questi, se valuta l’atto come potenzialmente pregiudizievole per i creditori o privo di coerenza rispetto al piano, lo segnala all’imprenditore e all’eventuale organo di controllo societario, ma non potrà né impedirlo, né renderlo inefficace.
Qualora l’atto sia comunque compiuto, il commissario ne informa immediatamente il tribunale, che, a seguito di una breve istruttoria, può revocare la concessione del termine (in ipotesi di domanda con riserva di successivo deposito della documentazione) o può revocare il decreto di apertura della procedura.
Le norme dettate in tema di concordato preventivo applicabili al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione
Per la disciplina del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione si fa ampio riferimento, in forza di espliciti richiami normativi, a quella sostanziale e procedurale del Concordato Preventivo.
In particolare è da ritenere che il piano possa contemplare la continuità aziendale, attesi i numerosi richiami effettuati dalle norme (v. fra gli altri art. 84 c. 8 a contrario e 87, c. 1, lett. f) in termini) a tale ipotesi, e, come già anticipato, possa altresì rivestire natura liquidatoria o prevedere la cessione aziendale; la domanda di ammissione allo strumento può anche essere formulata ai sensi dell’art. 44, pertanto con riserva di depositare la documentazione nel termine che verrà fissato dal tribunale; il debitore può decidere di richiedere le misure cautelari e protettive previste dall’art. 54, che contiene espresso riferimento anche al PRO.
Di rilievo il richiamo dell’art. 46, commi 4 e 5, da cui consegue: la prededucibilità dei “crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore”; l’inefficacia dei diritti di prelazione acquisiti dai creditori; l’inefficacia, rispetto ai creditori anteriori, delle ipoteche giudiziali iscritte nei 90 giorni precedenti l’iscrizione della domanda di omologazione nel registro delle imprese.
A far data dal deposito della domanda di omologazione, nessuna formalità è opponibile ai creditori.
I creditori pignoratizi o ipotecari godono, in tema di interessi, dei benefici previsti dagli art. 2788 e 2855; il deposito della domanda di omologa determina la infruttuosità dei crediti chirografari.
Il debitore, con la domanda di accesso allo strumento (anche con riserva di deposito della documentazione), può chiedere con ricorso al tribunale, in ipotesi di continuazione dell’attività aziendale (ancorchè finalizzata alla liquidazione), l’autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili, comunque funzionali alla miglior soddisfazione dei creditori. Analoga richiesta può essere contemplata dal piano, risultando autorizzata dalla sentenza di omologa.
Il PRO è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione della domanda di accesso, ed ha efficacia (salvo patto contrario) verso i soci illimitatamente responsabili.
I creditori conservano ogni diritto nei confronti di coobbligati, fidejussori e obbligati in via di regresso.
Il “punto debole”
Il punto debole del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione è la mancata estensione ad esso, da parte del legislatore, della cosiddetta transazione fiscale, un istituto che permette al contribuente di transigere con l’Amministrazione Finanziaria; questa transazione, che si pone quale “sotto-procedura” accessoria ad una procedura principale, può avvenire invece nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo (artt. 63 e 88 CCII).
L’istituto in argomento si interseca con il principio della “indisponibilità dell’obbligazione tributaria”, in relazione alla quale l’Amministrazione Finanziaria può muoversi, con una discrezionalità limitata, in situazioni e per finalità espressamente individuate da norme di legge, al fine di conseguire la migliore soddisfazione possibile del credito erariale nelle situazioni di crisi.
La misura della riduzione/dilazione, eventualmente accordata, dipenderà dalla manifesta inesigibilità del credito erariale determinata dall’effettivo livello della crisi del debitore, tenendo conto delle possibili alternative, la principale delle quali è costituita dalla liquidazione dell’impresa.
La soluzione adottata dal CCII agli artt. 63 e 88, conferma la natura vincolata dell’esame effettuato dalla Amministrazione Finanziaria sulla convenienza della transazione fiscale; inoltre il Tribunale, con il meccanismo del c.d. cram down, può omologare l’accordo o il concordato preventivo anche in assenza di adesione da parte dell’Amministrazione Finanziaria, qualora questa sia decisiva al fine del raggiungimento delle maggioranze richieste e conveniente (negli accordi di ristrutturazione) o almeno non deteriore (in ipotesi di concordato) rispetto all’alternativa liquidatoria.
In assenza pertanto di espressa previsione, nell’ambito del PRO, di un’ipotesi di transazione fiscale, non solo viene meno uno strumento quale il cram down, atto a sopperire all’eventuale inerzia dell’Amministrazione Finanziaria, ma è addirittura lecito dubitare circa la concreta possibilità per quest’ultima di aderire ad una proposta che non contempli il pagamento integrale dei crediti fiscali e contributivi.
In conclusione, il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione presenta delle caratteristiche che potrebbero renderlo, dal punto di vista dell’imprenditore in crisi, che ritenga di poter ottenere il consenso di tutte le classi dei creditori, un percorso più agevole rispetto al concordato preventivo, ma sconta le difficoltà di interlocuzione con l’Amministrazione Finanziaria, cosa che potrebbe diventare condizionante allorquando la mole dei debiti fiscali e tributari sia molto significativa. Bisognerà pertanto verificarne l’applicabilità concreta, caso per caso, avuto in particolare riguardo alla composizione quali-quantitativa del ceto creditorio. Sul punto, come vedremo in appresso, qualche apertura da parte della giurisprudenza vi è già stato e deve essere visto, a nostro avviso, con favore.
Le prime pronunce giurisprudenziali sul piano di ristrutturazione soggetto a omologazione
Nel corso del 2023 sono state emesse due interessanti pronunce: una del Tribunale di Udine del 9 marzo 2023 e una del Tribunale di Vicenza del 25 febbraio 2023.
La fattispecie esaminata dal giudice vicentino era assai semplice: l’attivo era composto soltanto da un immobile, oltre che da liquidità, e la proposta di soddisfacimento dei creditori era sostenuta da un’offerta irrevocabile d’acquisto dell’immobile. Anche la composizione del “ceto” creditorio era, sia da un punto di vista numerico che qualitativo, molto “snella” essendo assenti i crediti privilegiati generali e presenti come creditori soltanto le banche, con crediti ipotecari e chirografari (questi ultimi sia originariamente chirografari, sia degradati al chirografo per la parte non coperta dal valore di realizzo dell’immobile)
Proprio questa composizione dei creditori, per così dire “snella”, ha ingenerato nella dottrina l’interrogativo se non sarebbe stato più agevole risolvere la crisi utilizzando lo strumento degli accordi di ristrutturazione. Sul punto occorre precisare che la ricorrente aveva già stipulato tali accordi (omologati dal Tribunale) ma questi erano rimasti parzialmente inadempiuti.
Da qui la decisione del creditore ipotecario di primo grado di chiederne la risoluzione e l’apertura della liquidazione giudiziale e, di conseguenza, la decisione dell’imprenditore di attivarsi per il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, al fine di evitare la liquidazione giudiziale.
La contrarietà del creditore ipotecario di primo grado veniva superata attraverso la previsione del suo pagamento (integrale) con conseguente perdita del diritto di voto.
Anche la seconda fattispecie in ordine di tempo (Trib. Udine) si presenta relativamente semplice quanto alla composizione del “ceto” creditorio: l’ammissione al piano di ristrutturazione soggetto a omologazione giungeva al termine di una fase “prenotativa” breve (poche settimane), per la pendenza di due istanze di liquidazione giudiziale, di cui una presentata dall’Agenzia dell’Entrate con la conseguente impossibilità per l’imprenditore di giungere alla stipulazione di un accordo in primis con l’Erario e poi con gli altri creditori bancari).
Il Tribunale di Udine, nell’ammettere la ricorrente al PRO, ha svolto alcune considerazioni interessanti, la più significativa delle quali, per quanto si diceva sopra, attiene alla stralciabilità del debito erariale e contributivo, in quanto “le norme del CCII dedicate al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione non contengono alcuna disciplina specifica in materia di crediti tributari e contributivi, ma ciò non può escludere la possibilità per il debitore di proporre un pagamento parziale o dilazionato di tali crediti, mediante l’inserimento in apposite classi, stante la prevista necessità di unanime consenso delle stesse”. .
Pertanto, la mancata previsione legislativa della Transazione Fiscale nell’ambito del PRO non è intesa dal Tribunale di Udine quale elemento ostativo, in quanto potrebbe essere ovviata dall’eventuale adesione -volontaria- dell’Amministrazione Finanziaria alla proposta.
……ma serviva davvero una nuova procedura?
Da più parti, in dottrina, si è affermato che, malgrado i numerosi vantaggi del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, risulta difficile poter affermare che l’introduzione di una nuova “procedura di crisi”, a metà tra gli Accordi di Ristrutturazione e il Concordato preventivo, risulti effettivamente coerente con l’obiettivo di semplificazione del quadro normativo.
Certamente, per quanto si è detto sopra, questo nuovo istituto è innovativo laddove introduce nel nostro ordinamento la possibilità di sovvertire principi sino ad ora considerati fondamentali, quali la par condicio creditorum e il rispetto delle cause legittime di prelazione.
Sul punto, se è vero che gli effetti di tale “violazione” sono, in parte, mitigati dal fatto che comunque l’omologazione del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione è condizionata dalle verifica che il credito del creditore opponente risulti soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale (limitando in questo modo una distribuzione dell’attivo arbitraria) è anche vero che , qualora risulti che la proposta del PRO offre una soddisfazione inferiore a quella ricavabile in sede di liquidazione giudiziale il Tribunale non può, in presenza di una opposizione da parte del creditore dissenziente, omologare il PRO, sebbene approvato da tutte le classi.
Ne deriva però una sorta di incoerenza posto che, in tal modo, da una parte il Codice lascia piena libertà all’imprenditore di offrire ai creditori prelatizi livelli di soddisfazione sganciati dal valore del bene oggetto della prelazione e, dall’altro, vincola il debitore a prevedere una soddisfazione dei creditori prelatizi non inferiore al valore di liquidazione dei beni gravati dalla prelazione.
[1] Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. r), per “classe di creditori” si intende l’insieme di creditori che hanno posizione giuridica e interessi economici omogenei.
[2] L’applicazione di tale meccanismo consente di fatto l’approvazione della proposta anche solamente con il voto favorevole di 1/3 dei crediti complessivi.