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Crypto-assets: le proposte di regolamentazione della Commissione UE. Opportunità e sfide per il mercato italiano

5 Ottobre 2020

Paolo Carrière, CBA Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Background e inquadramento; 2. Delimitazione dell’analisi; 3. Il quadro complessivo dell’intervento regolatorio; 4. Alcuni interessanti spunti definitori; 5. Oggetto, ambito di intervento e approccio regolatorio della Proposta MICA; 5.1. L’opzione regolatoria adottata in relazione all’emissione degli Utility Tokens; 5.2. Le differenze con l’approccio regolatorio adottato dalla Consob; 5.3. L’opzione regolatoria in relazione all’emissione di Stablecoins; 5.4. L’opzione regolatoria in relazione ai Service Providers; 6. Oggetto, ambito di intervento e approccio regolatorio della Proposta “Pilot Regime”. Una sfida per il mercato (e il legislatore) italiano?

 

1. Background e inquadramento

In data 24 settembre scorso la Commissione europea ha varato un ambizioso “pacchetto per la finanza digitale”, articolato su più fronti: i) la definizione degli orizzonti strategici per la “finanza digitale” e per i “pagamenti al dettaglio”; ii) una (prima) proposta di regolamentazione a livello europeo delle “cripto-attività”; iii) la definizione di proposte legislative aventi ad oggetto la c.d. “la resilienza digitale”. L’iniziativa si basa sulla consapevolezza che “un mercato unico digitale innovativo per i finanziamenti creerà benefici per i cittadini europei e sarà fondamentale per la ripresa economica dell’Europa, offrendo prodotti finanziari migliori per i consumatori e aprendo nuovi canali di finanziamento per le imprese”[1]; essa deve inquadrarsi nel Piano d’Azione del 2018[2] e muove dai lavori del Parlamento europeo e dai contributi delle autorità europee di vigilanza. Peraltro, i lavori sono stati accompagnati da una ampia consultazione che ha avuto luogo nella primavera del 2020.

2. Delimitazione dell’analisi

La presente nota si limiterà a considerare in particolare il solo profilo sub ii) e quindi la proposta di una prima regolamentazione europea delle “cripto-attività”[3] in quanto tali, analizzandola nelle sue opzioni di fondo e contenuti di massima, collocandola poi una prospettiva “comparativa” rispetto a quello che risulta l’orientamento – per certi versi pionieristico – adottato a livello domestico dalla Consob nel recente passato.

Come si ricorderà, col “Rapporto finale” pubblicato il 2 gennaio 2020 (di seguito, il “Rapporto”), la Consob, fornendo riscontro alle questioni emerse dell’ampia consultazione pubblica chiusasi il 5 giugno 2019, confermava sostanzialmente l’impianto regolamentare adottato nel suo “Documento per la discussione” del 19 marzo 2019 (di seguito, il “Documento”) avente ad oggetto “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività[4].

Si era dunque delineato un quadro sufficientemente chiaro di quello che sarebbe stato l’approccio regolamentare adottato nel nostro ordinamento per questo fenomeno dell’innovazione finanziaria; approccio che risultava per molti versi alquanto diverso da quello adottato recentemente ad es. in Francia[5].

Deve ricordarsi come, nell’approccio regolamentare adottato dalla Consob le esigenze di regolazione muovevano, essenzialmente, da una particolarità normativa domestica che prevede – a fianco della nozioni eurounitarie di “strumenti finanziari” e di “prodotti di investimento” – una più ampia nozione di “prodotti finanziari”[6], nell’ambito della quale possono talora essere ricompresi anche gli utility tokens; e questa infatti è stata la strada utilmente adottata da Consob per consentire una prima linea di difesa del mercato domestico e degli investitori italiani rispetto ad iniziative che altrimenti sarebbero sfuggite ad ogni controllo.

Alla luce del quadro normativo europeo che va delineandosi con gli interventi normativi in fieri qui oggetto di primo commento, rimane dunque da capire se e quale spazio residuo potrà ritagliarsi la disciplina domestica che è stata sinora oggetto di elaborazione nei citati orientamenti Consob (a cui avrebbe dovuto seguire la normativa regolamentare, di primo e di secondo livello, di sua implementazione); essendo infatti la scelta della Commissione UE caduta sullo strumento normativo del “regolamento”, questo dovrà ritenersi – una volta approvato dopo i passaggi col Parlamento Europeo e col Consiglio – direttamente applicabile, non richiedendo a tal fine normativa nazionale di implementazione e scavalcando anzi ogni eventuale disciplina domestica degli Stati Membri che disciplini gli stessi fenomeni. Da questo punto di vista non appare dunque facile ipotizzare un apparato normativo domestico che – seppur esplicitamente volto a disapplicare la particolare disciplina dei “prodotti finanziari” – dovrebbe comunque applicarsi al medesimo sottostante fenomeno (gli utility tokens) adottando, peraltro, come ora vedremo, soluzioni regolatorie alquanto diverse.

Venendo, dunque, all’ambito dell’intervento della Commissione europea avente ad oggetto specificatamente le “cripto-attività”, esso risulta articolato su due diversi e connessi interventi normativi: in particolare, dunque: a) la prima compiuta proposta di regolamentazione a livello europeo delle “cripto-attività” (o meglio, come vedremo, di alcune tipologie di quelle) con la Proposal for a regulation of the european parliament and of the council on Markets in Crypto-assets, and amending Directive (EU) 2019/1937, (COM(2020) 593 final-2020/0265(COD), (“MICA”), accompagnata da un Commission Staff Working Document Impact Assessment (SWD/2020/380 final) e; b) una collegata Proposal for a REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on a pilot regime for market infrastructures based on distributed ledger technology – (COM/2020/594 final), (“Pilot Regime”), accompagnata a sua volta da un Commission Staff Working Document Impact Assessment (SWD/2020/201 final).

Complementare poi a tali interventi normativi si pone poi; c) la Proposal For A Directive Of The European Parliament And Of The Council Amending Directives 2006/43/EC, 2009/65/EC, 2009/138/EU, 2011/61/EU, EU/2013/36, 2014/65/EU, (EU) 2015/2366 and EU/2016/2341– (COM/2020/596 final) che interviene a modificare la vigente normativa finanziaria europea in molteplici ambiti, al fine di coordinarla con le numerose novità di cui al suddetto “pacchetto per la finanza digitale”; per quel che più riguarda il nostro ambito di indagine in questa sede rileva in particolare il primo paragrafo dell’art. 6 finalizzato a chiarire il trattamento giuridico delle cripto-attività, modificando la definizione di “strumento finanziario” di cui alla Direttiva 2014/65/EU, al fine di chiarire che per tali devono oggi intendersi anche quelli emessi tramite utilizzo di tecnologie DLT. A tal fine si prevede che “in Article 4(1), point 15 is replaced by the following: ‘financial instrument’ means those instruments specified in Section C of Annex I, including such instruments issued by means of distributed ledger technology”.

3. Il quadro complessivo dell’intervento regolatorio

L’intervento in esame muove dalle risultanze che emergevano dall’ Advice elaborato dall’ESMA[7] ad inizi del 2019 che si era focalizzato sulle problematiche di (possibile/eventuale) applicazione della disciplina dei servizi di investimento, per quei token che fossero qualificabili o descrivibili come “strumenti finanziari”/”prodotti di investimento” (e definiti ormai nella prevalente letteratura specialistica e regolamentare come “security-like/investment-type token/asset token”, sinteticamente“security tokens”); in tale sede, l’ESMA si era limitata a suggerire ai regolatori nazionali, senza peraltro proporre univoche scelte normative, l’opportunità di valutare una regolamentazione solo per quei token che, invece, non potessero qualificarsi come tali (v. in particolare par. 8 ESMA Advice 2019), attesa la difficoltà di concepire oggi un’opera di adeguamento della disciplina avente ad oggetto i tradizionali “strumenti finanziari” alla loro versione crypto (security tokens), a maggior ragione fuori da qualsiasi contesto armonizzato europeo.

In tal senso, allora occorre subito osservare come l’intervento normativo proposto si articoli sui due citati ben distinti ambiti:

1. L’ambito di intervento della Proposta MICA, risulta infatti subito circoscritto alle sole cripto-attività diverse da strumenti finanziari,ad esclusione quindidi tutte le cripto-attività che fossero descrivibili e/o qualificabili e/o assimilabili come/a “strumenti finanziari” ai sensi MIFID, e, quindi, qualificabili come security tokens; in sostanza l’ambito di intervento è limitato a quelli che nella tassonomia ormai invalsa sono detti utility tokens o ai c.d. payment-like o monetary tokens; in particolare, con riguardo a quest’ultima categoria si fa riferimento alla nozione di “Stablecoins”, comprensiva a sua volta delle due sub-categorie di “asset-referenced tokens” e “e-money tokens”. Tale stesso approccio è in linea con l’orientamento elaborato da Consob; appare infatti chiaro che a queste fattispecie (e, in particolare, agli Utility Tokens) anch’essa si riferisse quando nel “Rapporto finale” la Consob chiariva di adottare una impostazione definitoria che fosse idonea “a tipizzare le cripto-attività diverse da strumenti finanziari, quale autonoma categoria…” (evidenza aggiunta) e similmente già nel Documento si evidenziava come quello intrapreso risultasse essere “un esercizio definitorio che viene condotto al di fuori del perimetro degli strumenti finanziari e dei prodotti di investimento (PRIIP, PRIP e IBIP), disegnato dal legislatore UE”.

2. Viceversa, l’ambito della Proposta Pilot Regime è proprio quello delle cripto-attività che risultino descrivibili e/o qualificabili e/o assimilabili come/a “strumenti finanziari” ai sensi MIFID, e, quindi, qualificabili come security tokens; in virtù di tale assimilazione o qualificazione, dunque, già oggi potrebbe risultare conseguentemente applicabile molta della disciplina che si applica agli strumenti finanziari (disciplina di varia natura: da quella dei servizi di investimento a quella del prospetto; da quella della market abuse, a quella dello short selling, etc.). Preso atto di ciò – e pur adeguandosi[8] il novero degli strumenti finanziari, come visto, anche a “such instruments issued by means of distributed ledger technology” – in base all’opzione di intervento prescelta, non si procede (ancora) ad una attività di “adeguamento” disciplinare di tutta quella complessa e articolata normativa, al nuovo fenomeno tecnologico; un tale intervento ritenendosi oggi assai complesso e comunque prematuro. La scelta regolatoria adottata è pertanto quella di prevede un “regime pilota” (o “sandbox”) di sperimentazione temporalmente limitato, al fine di poter dunque procedere in un secondo momento a quell’opera di adeguamento sulla base delle esperienze che saranno così maturate.

4. Alcuni interessanti spunti definitori

Appaiono utilmente confermate, nell’art. 3 della Proposta MICA, una serie di definizioni che devono ritenersi dunque ormai consolidate nell’impostazione analitica del fenomeno.

In primisoccorre soffermarsi su quella centrale di “cripto-attività” che individua dunque la categoria generale nell’art. 3, 1. (1) in questi termini: crypto-asset” means a digital representation of value or rights which may be transferred and stored electronically, using distributed ledger technology or similar technology; tenendo ferma tale definizione generale, sarà poi nell’art. 2.2 della Proposta che, in via negativa, si escluderanno dal suo perimetro di applicazione, inter alia, quelle cripto attività che fossero qualificabili come “strumenti finanziari” (così come, moneta elettronica, depositi, depositi strutturati o cartolarizzazione), delimitando quindi la sua applicazione, come detto sopra al precedente punto 3.1., essenzialmente a Utility Tokens e Stablecoins.

Da questo punto di vista – alla luce del circoscritto e specifico ambito di intervento dell’approccio regolatorio adottato dalla Consob nel Documento, limitato, come visto essenzialmente agli utility tokens che potrebbero qualificarsi come “prodotti finanziari”– deve dunque confermarsi come l’utilizzo della definizione di “cripto-attività” per circoscrivere l’ambito specifico di quell’intervento regolatorio rischiasse di apparire fuorviante, nel momento in cui tale termine risulta appunto essere la traduzione letterale in italiano del termine “crypto-asset”: termine ormai invalso a livello internazionale per identificare, appunto in via generale, l’intero fenomeno dei token (nelle sue varie articolazioni: payment token, utility token e security token) e non solo quel suo più circoscritto sotto-insieme (costituito da utility token)che dovrebbe essere invece oggetto esclusivo della prospettata regolazione domestica a cui quella definizione è funzionale[9];

Quanto al contenuto della definizione adottata dalla Consob (quale ritraibile dal Rapporto finale), essa è ricostruibile sostanzialmente in questi termini: le “attività diverse dagli strumenti finanziari di cui all’art. 1 comma 2 TUF e da prodotti di investimento di cui al comma 1, lettere w-bis.1, w-bis.2 e w-bis.3, consistenti nella rappresentazione digitale di diritti connessi a investimenti in progetti imprenditoriali, emesse, conservate e trasferite mediante tecnologie basate su registri distribuiti, nonché negoziate o destinate a essere negoziate in uno o più sistemi di scambi”. Pur risultando ora, tale definizione, più precisa e meno ambigua di quella inizialmente prevista nel Documento – essendosi omesse espressioni ambigue, seppur a-tecnicamente utilizzate, quali quelle di “finanziamento” (di progetti imprenditoriali)[10] – la Consob, oltre all’elemento della sottostante tecnologia DLT, in termini sostanzialmente equivalenti alla definizione MICA, conferma però la centralità nel suo approccio regolatorio di due altri elementi invece totalmente estranei in quella: (i) la riferibilità ad un sottostante “progetto imprenditoriale” e; (ii) la negoziabilità o destinazione alla negoziazione.

Quanto al primo elemento sub (i), oltre a non risultare del tutto coerente con il profilo strutturale e funzionale degli utility tokens, esso vale inoltre ad escludere dal campo, per esplicita scelta regolatoria della Consob “le operazioni di mera tokenizzazione di diritti connessi con il trasferimento di beni mobili o immobili o parti di essi (es. diritti connessi con la proprietà di opere d’arte, immobili, …)”[11]. Tale scelta è consapevolmente giustificata dalla volontà di evitare che queste tipologie di tokens, “nella misura in cui non sono ancorate a progetti imprenditoriali concreti e non comportino, quindi, la promessa di un bene/servizio da realizzare, possono prestarsi a comportamenti opportunistici, tesi a raccogliere risparmio in assenza del quadro di tutele tipico garantito dalle vigenti norme di diritto societario, fallimentare e dei mercati finanziari, con riferimento all’attività di impresa, che consentono la più agevole verificabilità della sussistenza dell’attività sottostante”.

Quanto all’elemento sub (ii), il tratto della “negoziabilità o destinazione alla negoziazione” delle cripto-attività, nel Rapporto veniva confermato dalla Consob come elemento definitorio centrale alle istanze regolatorie da essa perseguite, prefiggendosi così essa “lo scopo di offrire tutela ai soggetti che acquistano i token anche con l’intento di ottenere un provento riveniente dalla rivendita degli stessi su una piattaforma di negoziazione/scambio.” Come abbiamo avuto modo di segnalare, questo elemento – non accolto infatti nella definizione MICA – rischiava di determinare un significativo ridimensionamento della platea di ICOs che, nell’approccio Consob, potevano ambire ad accedere al safe harbour, atteso che ad oggi tale elemento non può dirsi tipico e qualificante della fattispecie degli utility tokens[12]; né la Consob ha ritenuto di aderire alla soluzione che era stata prefigurata in sede di consultazione di imporre il ricorso a piattaforme di negoziazione/scambio autorizzate – al fine di potersi avvalere, in base all’opt-in, del safe harbour disegnato nell’ordinamento per le “cripto-attività” – solo in tanto in quanto sia effettivamente osservabile o prevista una negoziazione di tali tokens e non, viceversa, qualora non sia previsto alcun regime di “negoziabilità” per itokensdaemettersi.

Con particolare riguardo poi alla definizione di “Utility Token”, questo viene descritto nella MICA come “a type of crypto-asset which is intended to provide digital access to a good or service, available on DLT, and is only accepted by the issuer of that token”; definizione che, nella sua sinteticità – che pur appare in linea con la definizione oggi invalsa nella tassonomia specialistica – sottende però una delicata problematica concettuale; quella del ricorso, vieppiù crescente, a ICO che hanno ad oggetto a questa categoria di tokens, quale “terza via” (a fianco del tradizionale ricorso a strumenti finanziari, rectius, valori mobiliari, di equity o debito) per il finanziamento di progetti imprenditoriali, spesso proprio con l’obiettivo di sottrarsi all’ assai più articolata e impattante disciplina che sarebbe applicabile ove tali tokens fossero invece qualificabili come security tokens; nella sostanza, per modalità ed entità di utilizzo, in relazione a tali (spesso solo “sedicenti” utility tokens) paiono sfumare impercettibilmente le differenze tra i due fenomeni, con conseguente inquinamento delle diverse istanze regolatorie a cui essi dovrebbero rispettivamente dar adito. Problematica assai delicata su cui non possiamo in questa sede soffermarci, rimandando altrove per una più compiuta sua impostazione[13].

5. Oggetto, ambito di intervento e approccio regolatorio della Proposta MICA

La regolamentazione proposta in relazione a quelli che abbiamo visto essere essenzialmente Utility Tokens e Stablecoins, ha, in via generale, come suo specifico ambito di applicazione l’“emissione” di, e la prestazione di servizi connessi a, tali tipologie di Tokens, da parte di qualsiasi soggetto nel territorio dell’Unione; in questi ambiti, in particolare, la regolamentazione in esame si propone di disciplinare:

  • I requisiti di trasparenza e pubblicità in relazione all’emissione e ammissione alla negoziazione dei relativi Tokens qui considerati;
  • Il regime autorizzativo e di vigilanza sui (i) prestatori di servizi e (ii) sugli emittenti si Stablecoins, (non anche, quindi, degli altri tokens interessati, i.e. essenzialmente Utility Tokens);
  • I requisiti operativi, organizzativi e di governance in relazione agli emittenti degli Stablecoins (anche qui, si osservi, non anche in relazione agli altri tokens interessati, i.e. essenzialmente Utility Tokens) e ai Prestatori di Servizi.
  • La disciplina di protezione dei consumatori in relazione all’emissione, negoziazione e custodia dei crypto-assets;
  •  misure volte a prevenire fenomeni di market abuse e ad assicurare l’integrità dei mercati in cui vengono negoziati i crypto-assets.

5.1. L’opzione regolatoria adottata in relazione all’emissione degli Utility Tokens

Possiamo allora subito osservare come in relazione all’emissione[14] di Utility Tokens, la disciplina prefigurata (nel Titolo II) abbia essenzialmente come suo obiettivo quello della trasparenza informativa (disclosure) incentrandosi sui presìdi informativi da adottarsi in sede di offerta e di marketing; sono poi previsti requisiti minimali in capo all’emittente (o a chiunque richieda l’ammissione alle negoziazioni su una piattaforma di negoziazione): essenzialmente solo quello di essere una “legal entity”[15] e di attenersi ad alcune norme comportamentali (regole generali di correttezza, professionalità, prevenzione dei conflitti di interesse, parità di trattamento); non quindi un regime autorizzativo preventivo, né un regime di vigilanza continuativo. Tutto ruota attorno alla pubblicazione di un white paper che abbia certi contenuti specificatamente indicati, da notificare preventivamente all’autorità nazionale preposta, oltreché al rispetto di regole da seguire in sede di offerta, e di comunicazioni di marketing e di documentazione pubblicitaria e promozionale.

In relazione dunque all’emissione di Utility la soluzione regolatoria prefigurata a livello europeo risulta, dunque, concentrata esclusivamente sui profili informativi e sollecitatori, prevedendo per le offerte (sotto forma di ICOs), una disciplina meramente informativa che neppure prevede l’ottenimento di un “visto”[16] preventivo da parte dell’autorità di vigilanza preposta. Da questo punto di vista il modello regolatorio adottato pare pienamente rispettoso del, e coerente col, modello operativo e tecnico oggi tipico di ogni ICOs, ed essenzialmente della sua natura disintermediata che vede una attività di offerta/collocamento[17] inestricabilmente e contestualmente svolta ad opera dell’“emittente” in via diretta, (tendenzialmente) senza l’intervento di alcun altro soggetto. E in tal senso, infatti, il perno della regolazione prefigurata dalla Proposta in relazione alla fase di offerta è qui solo l’“issuer”.

Da questo punto di vista, il punto che pare più “debole” in tale approccio europeo attiene, a nostro avviso, all’assenza di qualsiasi verifica o istruttoria preventiva con riguardo al profilo della affidabilità tecnologica dell’infrastruttura adottata dall’emittente (protocolli, standard tecnici; algoritmi; modelli di consensus; etc.). E ciò a maggior ragione nell’assenza, ad oggi, di alcun grado di standardizzazione e interoperabilità della tecnologia DLT che possa guidare nella valutazione del grado di affidabilità tecnologica e di cyber-resilienza dell’infrastruttura di volta in volta adottata (aspetto questo su cui riposa ogni aspettativa di certezza, stabilità, affidabilità e legalità delle transazioni che hanno ad oggetto i tokens emessi), mostrandosi dunque qui una non irrilevante lacuna rispetto alle finalità di tutela dei consumatori e investitori[18]; poteva qui forse prefigurarsi un modello di intervento regolatorio (se non diretto) volto (almeno) ad imporre il ricorso ad accreditati “sponsors tecnologici”[19] (figura che avrebbe allora potuto essere ricompresa tra i Servicer Providers autorizzati a cui imporre il ricorso da parte dell’issuer), a cui affidare una funzione di validazione/certificazione dei protocolli tecnologici adottati, sulla base degli standard di settore e delle best practices via via osservabili sul mercato.

5.2. Le differenze con l’approccio regolatorio adottato dalla Consob

La scelta regolatoria che è stata operata dalla Consob appare, almeno a prima vista, alquanto diversa e – perlomeno a prima vista – più “invasiva”, intervenendo essa direttamente sul processo operativo e tecnologico – il modus operandi – tipico delle ICOs, imponendosi il ricorso obbligato ad una serie di nuovi “operatori”, il che in qualche modo tende a pregiudicare il carattere eminentemente disintermediato di quella modalità tecnica di raccolta di capitali. E infatti, la possibilità per gli operatori di “rifugiarsi” nelsafe harbour così disegnato, beneficiando del regime di “deroga” e sottraendosi conseguentemente e automaticamente alla disciplina dei “prodotti finanziari” che altrimenti potrebbe spesso risultare applicabile[20], risulta(va?) condizionata alla circostanza – rimessa alla libera determinazione degli operatori (opt-in) – che “siano impiegate piattaforme dedicate e vigilate dalla Consob rispondenti ai requisiti di seguito tratteggiati”; dalla complessiva analisi del Documento quale confermata nel Rapporto finale, la Consob intende riferirsi qui ad un “doppio binario”, costituito dal ricorso a piattaforme di “offerta” autorizzate e, al contempo, a piattaforme di “negoziazione” ovvero “sistemi di scambio” autorizzati[21] a cui si faccia ricorso “in stretto collegamento con le offerte (in fase di primario) che sono state condotte per il tramite di piattaforme dedicate e regolamentate”.

Tale scelta, come detto, non risulta pienamente rispettosa del modus operandi oggi tipico di ogni ICOs, laddove – in base al loro peculiare modello operativo e tecnologico – appare infatti come le due fasi della “creazione/collocamento” e dell’“offerta” risultino normalmente coincidenti oggettivamente e soggettivamente; e tuttavia, la scelta di affidare a soggetti distinti quelle fasi del processo non può neppure ritenersi del tutto estranea (anche se non certo, oggi, tipica) del fenomeno, come rilevato anche da ESMA quando segnala come “some digital platforms have specialised in the promotion of ICOs[22]; trattasi sostanzialmente di attività promozionale e commerciale dell’offerta che, evidentemente, non può prescindere da o sostituirsi ai meccanismi di “creazione/collocamento” dei token in fase di emissione primaria.

Ciò detto, è allora solo in relazione a questo particolare approccio regolatorio che deve intendersi la scelta della Consob – ribadita nel “Rapporto finale” – di riferirsi al modello del crowdfunding[23] e alla regolamentazione di esso – giovandosi dunque della relativa curva di esperienza normativa, che pur dovrebbe però esser opportunamente adeguata alla ben diversa sottostante realtà – per innestare sui gestori di quelle piattaforme (purnon riservando ad essi la nuova operatività) la nuove istanze di regolazione dell’incipiente fenomeno[24] ( in primis quella di validazione tecnologica delle infrastrutture DLT adottare)

Dicevamo in apertura a questo paragrafo come le differenze di approccio segnalate emergano perlomeno “a prima vista”. In effetti potrebbe osservarsi, a seguito di una più ponderata riflessione, come la soluzione regolatoria prefigurata dalla Consob di un controllo “indiretto”, per delega, facente espressamente perno su una nuova tipologia di operatori specializzati, appositamente regolamentata (le piattaforme di offerta e quelle di negoziazione/scambio), potrebbe apparire solo apparentemente più “macchinosa” e più “invasiva”, ovvero meno rispettosa del carattere disintermediato del fenomeno. Attesa infatti la marcata tecnicità del fenomeno si imporrà (seppur solo nei fatti e, per alcuni dei servizi, in via solo eventuale) il ricorso – da parte di qualunque “issuer” intenzionato a progettare ed effettuare una ICOs – ad operatori specializzati: i Service Providers appunto, sottoposti invece essi, anche nella Proposta MICA, ad un articolato e pervasivo regime autorizzativo e di vigilanza[25].

Su un altro importante profilo “filosofico” di approccio occorre soffermarsi; l’intero impianto della Proposta essendo, come, detto, limitato al profilo della completezza e correttezza informativa della documentazione richiesta, non si estende in alcun modo al suo contenuto (neppure tecnologico, come visto) e, tanto meno, al “merito” del sottostante progetto (imprenditoriale).

Anche da questo punto di vista la scelta operata in Italia appare per certi versi diversa; pur evidenziandosi come anche per la Consob, il focus dovesse ritenersi quello della “trasparenza informativa” che ruota attorno al c.d. White Paper (di natura preventiva, periodica e straordinaria[26]), il “Rapporto finale” chiariva infatti bene come rispondesse ad una chiara e consapevole opzione regolatoria quella di voler affidare “in capo ai gestori delle piattaforme la verifica degli adempimenti legati alle verifiche della validità delle operazioni proposte, anche in considerazione della tipologia degli investitori cui le offerte si rivolgono. Tali tipi di verifiche potranno essere dettagliate con misure di secondo livello[27]. Da questo punto di vista la scelta operata dal Regolatore italiano seppur pienamente giustificata dalle sottese esigenze di tutela degli investitori, sembra davvero difficile da “normare”, parendo davvero arduo da ipotizzare un ruolo di valutazione/validazione del contenuto imprenditoriale dei progetti sottostanti alle ICOs – il loro “merito” – se non altro per la molteplicità dei contenuti e dei modelli di business che essi possono assumere, per contenuti e fasi di sviluppo, nell’impossibilità quindi di loro standardizzazione e traduzione in “rating”, modelli valutativi, o anche solo descrittivi, significativi e comparabili.

5.3. L’opzione regolatoria in relazione all’emissione di Stablecoins

Ben diverso appare il regime disegnato in relazione all’emissione (o ammissione alla negoziazione) di Stablecoins (e cioè, Asset-Referenced Tokens nel Titolo III o Electronic Money Tokens nel Titolo IV) nell’Unione; qui è infatti disegnato un vero e proprio (e articolato) regime autorizzativo, sottoposto alla preventiva valutazione dell’autorità competente nello Stato Membro, oltre ad un dettagliato regime di vigilanza di tipo continuativo. Rigidi e dettagliati requisiti operativi, organizzativi, prudenziali e di governance sono poi previsti, (in maniera poi ancor più importante per i c.d. “significant asset-referenced tokens” ovvero, “significant e-money tokens”) così come una procedura autorizzativa per operazioni di acquisizione che avessero ad oggetto degli “emittenti”.

5.4. L’opzione regolatoria in relazione aiService Providers

La disciplina dei Crypto asset Service Providers[28], (nel titolo V) è anch’essa improntata ad un articolato regime autorizzativo. La prestazione di tali servizi nel territorio dell’Unione è infatti, in base alla Proposta, riservata solo a entità (legal persons) che abbiano la sede (registered office) in uno Stato Membro e che siano state a ciò autorizzate dall’autorità competente secondo i criteri “territoriali” indicati, tra cui in particolare quello del “single point of contact”; l’autorizzazione così ottenuta opererà con il consueto meccanismo del “passaporto europeo” e consentirà dunque di operare in tutti gli Stati Membri o in libera prestazione di servizi, ovvero tramite insediamento di succursale, prevedendosi che la prestazione di servizi cross-border non debba richiedere comunque la necessità di avere una presenza fisica nello Stato ospite; all’ ESMA sarà affidata la tenuta di un Registro dei prestatori di servizi autorizzati. Vengono poi previsti articolati e dettagliati (i) obblighi comportamentali generali di correttezza, onestà e professionalità; (ii) requisiti prudenziali; (iii) presìdi organizzativi e informativi; (iv) regole di prevenzione e gestione dei conflitti di interessi; (v) regole sull’esternalizzazione di funzioni e; (vi) sulla gestione dei reclami. I singoli servizi sono poi disciplinati con un pacchetto di norme ad hoc sostanzialmente ritagliato mutatis mutandis su quello applicabile ad analoghi “servizi di investimento” (negoziazione, raccolta ordini, esecuzione ordini, collocamento, consulenza etc.). Particolare attenzione viene riservata all’attività di “custodia” (“safekeeping”, “custody and administration) ) dei tokens e dei fondi di pertinenza della clientela, tale costituendo il momento più critico del processo, quello che sin qui è parso – nella casistica internazionale – il più esposto al rischio di condotte truffaldine a danno degli investitori[29]. Da questo punto di vista la soluzione regolatoria a livello europea appare pienamente in linea con quella che era stata delineata dalla Consob nel Rapporto.

6. Oggetto, ambito di intervento e approccio regolatorio della Proposta “Pilot Regime”. Una sfida per il mercato (e il legislatore) italiano?

Come anticipato, il secondo ambito di intervento, risulta quello dei tokens che risultino qualificabili alla stregua di financial instruments e, quindi, come tali, sottratti all’ambito di applicazione della Proposta MICA; trattasi in sostanza di quella tipologia ditokens riconducibili alla categoria dei Security Tokens. Ad essi come, detto, potrebbe già doversi applicare la vasta disciplina applicabile agli “strumenti finanziari” (e che va dalla disciplina del Prospetto, a quella dei servizi di investimento MIFID, a quella del market abuse, dello short selling etc.); e tuttavia la concreta applicazione di quel corpo di normativa richiederebbe una delicatissima opera di suo adeguamento/adattamento alle rilevanti specificità tecnologiche sottese a, e qualificanti il, fenomeno in questione, il quale infatti non pare il più delle volte potersi adattare sic et simpliciter a quella normativa. Nell’attesa di una tale più ponderata, ambiziosa e impegnativa opera di adeguamento/adattamento del corpo normativo che regolamenta oggi nei suoi vari profili i “tradizionali” strumenti finanziari, l’opzione regolatoria qui adottata dalla Commissione europea è stata, come anticipato, quella di prevedere un “regime pilota” che possa proprio fungere da “palestra” (o “sandbox”) per mettere meglio a fuoco le specifiche problematiche che si porranno nell’esercizio di quella operazione di adeguamento/adattamento, dando poi indicazioni su quelli che potranno essere i preferibili interventi di regolazione.

La Proposta ha quindi ad oggetto un primo quadro regolatorio applicabile alle infrastrutture di mercato (in particolare, multilateral trading facilities e securities settlement systems che utilizzino la tecnologia DLT) che abbianoad oggetto “DLT transferable securities (con ciò intendendosi valori mobiliari, rientranti nel significato di cui all’art. 4(1)(44) (a) e (b) della Direttiva 2014/65/EU e che risultino emessi, registrati, trasferiti o conservati – issued, recorded, transferred and stored – adottando la tecnologia DLT[30]). Per esse viene conseguentemente previsto un apposito regime di deroga temporanea a molteplici aspetti della disciplina vigente (che potrebbe altrimenti doversi applicare per effetto della loro qualificabilità come “strumenti finanziari”).

Omettendo i questa sede di ripercorrere oltre i contenuti altamente tecnici della Proposta, appare piuttosto utile soffermarsi ad accennare a quello che appare subito un delicato tema concettuale da smarcare in via preliminare al fine di collocare nella giusta prospettiva l’intervento in questione. Esso assume infatti come suo sottostante e implicito presupposto l’esistenza di tokens che siano qualificabili come strumenti finanziari (o meglio, per quello che è oggi il limitato ambito della Proposta, “valori mobiliari”, “transferable securities”) e che, come visto, risultino “emessi, registrati, trasferi(ti/bili), custoditi” (“issued, recorded, transferred and stored”) utilizzando la tecnologia DLT. L’assunzione di un tale presupposto implica però la soluzione di non facili tematiche che dal diritto finanziario finiscono inevitabilmente per scolorire in quello societario e civilistico (in particolare della disciplina dei titoli di credito) – ad oggi, rimesse, tendenzialmente in ogni ordinamento, al quadro normativo primario – al fine di verificare se e in che limiti sia oggi effettivamente financo ipotizzabile e ammissibile, in quell’ordinamento di riferimento, l’emissione (oltreché la rappresentazione, circolazione, legittimazione e detenzione) di valori mobiliari che ricorrano ad una tale nuova tecnica DLT[31]. In assenza di una disciplina legislativa ad hoc che consenta il ricorso a quella nuova tecnologia con un sufficiente grado di standardizzazione e interoperabilità, garantendo quindi livelli minimi di affidabilità, legalità, stabilità e cyber-resilienza, diventa oggi davvero problematico financo concepire l’esistenza di un “cripto-valore mobiliare” che possa dirsi veramente tale. Potrà più spesso parlarsi di tokenized securities (riconducibili allora al novero dei derivati e, in quanto tali, pur sempre “strumenti finanziari”) ma difficilmente di veri e propri security tokens (e quindi veri “cripto-valori mobiliari”)[32], con tutto ciò che ne consegue; in primis, nello specifico, l’inapplicabilità del Pilot Regime.

La sfida. Da quanto sopra consegue che, allora, un ruolo centrale – in vista di una competitiva applicazione anche nel mercato italiano della fase di sperimentazione e di quella successiva di sviluppo di questo nuovo fenomeno della realtà Fintech che è destinata a plasmare radicalmente nel prossimo futuro, inter alia, i modelli dibusiness di finanziamento dell’attività d’impresa – assumerà l’approntamento anche da noi di una legislazione primaria[33] che consenta agli operatori di compiere il citato passaggio tecnico e concettuale da (al più) meri tokenized securities a veri e propri security tokens. Ad una tale normativa dovrà essere pertanto affidata l’individuazione – in assenza ad oggi di una disciplina armonizzata europea – degli standard tecnologici (minimi) DLT capaci di garantire legalità e affidabilità (a tutela della “fede pubblica”) nelle modalità di emissione, rappresentazione, circolazione e legittimazione di cripto-valori mobiliari[34]. Un intervento legislativo da intendersi e interpretarsi in linea di continuità con quanto avvenne nel passaggio dal modello cartolare a quello scritturale (dematerializzazione), in tendenziale continuità, mutatis mutandis, con la tradizionale concettuologia dei titoli di credito, o meglio, con le esigenza di tutela giuridica che essa sottende, dovendosi esso calare in una nuova dimensione regolatoria non più avente come suo campo di applicazione transazioni “tra pari” ma, anche qui inevitabilmente, con soggetti (“intermediari”?) professionali autorizzati alla emissione e gestione dei nuovi “titoli di credito”[35]. Da questo punto di vista, come anticipato, l’assenza nella Proposta europea di alcuna regolamentazione (diretta o indiretta) di natura “sostanziale” degli “emittenti” e/o della fase di “emissione” – se non altro nei contenuti tecnologici sottostanti; il “cuore” del fenomeno! – appare il vero punto debole dell’approccio regolatorio qui commentato, rischiando esso di rivelarsi del tutto velleitario rispetto alla tutela degli interessi a cui è finalizzato, davanti alla possibile/probabile proliferazione incontrollata di una “babele” di modelli di business, di protocolli e di standard tecnologici – più o meno affidabili o cyber-resilienti – a cui potrà assistersi nell’esecuzione delle ICO e nell’emissione dei tokens sul mercato. Come detto, tale (certo non facile) compito pare dunque (per ora) affidato all’iniziativa più o meno sagace, consapevole e tempestiva dei singoli legislatori nazionali degli Stati Membri.

 


[1] Così nella dichiarazione del Vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis.

[2] Commissione Europea, FinTech Action plan: for a more competitive and innovative European financial sector, marzo 2018, in https://ec.europa.eu/info/publications/180308-action-plan-fintech_en.

[3] Rinviando per un inquadramento generale del fenomeno a F. Annunziata, Speak, If You Can: What Are You? An Alternative Approach to the Qualification of Tokens and Initial Coin Offerings, in Bocconi Legal Studies Research Paper No. 2636561, Febbraio 2019; P. CARRIÈRE, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, in Rivista di Diritto Bancario, n. 2/2019.

[4] Per approfondimenti sul Documento, si rinvia A. Sciarrone Alibrandi, Offerte iniziali e scambi di cripto-attività: il nuovo approccio regolatorio della Consob, in Diritto Bancario online, 4 aprile 2019; M. Nicotra, Il regime giuridico delle ICOs. Analisi comparata e prospettive regolatorie italiane, in Diritto Bancario online, Aprile 2019; P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, in Diritto Bancario online, maggio 2019 e ID., TheItalianRegulatoryApproachtoCrypto-AssetsandtheUtilityTokensICOs,luglio2019.BAFFICAREFINCentreResearchPaperNo.2019-113,inSSRN:https://ssrn.com/abstract=3414937.

[5] Per un’analisi comparatistica dei due approcci v. P. CARRIERE, Le offerte iniziali (ICOs) di cripto-attività (tokens): Italia-Francia, due approcci regolatori a confronto, in Diritto bancario, 15 gennaio 2020; A. BERRUTO, La nuova disciplina francese dei crypto-asset: un imperfetto tentativo regolatorio,inDiritto bancario, 11 febbraio 2020.

[6] In particolare, deve qui allora ricordarsi come per effetto della possibile qualificazione di un token come “prodotto finanziario” – a parte l’eventuale applicabilità della disciplina del prospetto ove non ricorrano specifiche ipotesi di esenzione – conseguirà la necessitàdi avvalersi obbligatoriamente di soggetti abilitati tenuti al rispetto di specifici standard comportamentali (ex combinato disposto dell’art. 32 TUF con l’art. 127 Regolamento Intermediari), tutte le volte in cui la loro “promozione e collocamento” avvenga (i) anche a clienti non professionali; e (ii) con modalità che configurano l’impiego di “mezzi di comunicazione a distanza”. Entrambe condizioni che nella ricorrenza di una ICO risulteranno sempre (e inevitabilmente) soddisfatte.

[7] ESMA Advice- Initial Coin Offrings and Crypto-Assets, 9 gennaio 2019, che fa seguito al più generale precedente intervento The Distributed Ledger Technology Applied to Securities Markets, febbraio 2017, in https://www.esma.europa.eu/system/files_force/library/dlt_report_-_esma50-1121423017-285.pdf, sul quale, per un primo commento, vedasi F. Annunziata, Distributed Ledger Technology e mercato finanziario: le prime posizioni dell’ESMA, in M.T. Paracampo (a cura di), FinTech, Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, 2017 p. 229 s.

[8] Per effetto come visto sopra dellaProposal For A Directive Of The European Parliament And Of The Council Amending Directives 2006/43/EC, 2009/65/EC, 2009/138/EU, 2011/61/EU, EU/2013/36, 2014/65/EU, (EU) 2015/2366 and EU/2016/2341– (COM/2020/596 final).

[9] Posto che il tema è meramente “nominalistico”, il rischio è però quello di generare fraintendimenti e ambiguità nella lettura e comprensione dell’apparato regolamentare italiano, specie da parte di osservatori e interlocutori stranieri e/o comunque non avvezzi al quadro normativo domestico, nei suoi presupposti e nelle sue implicazioni. Meglio sarebbe garantire una “comparabilità” e “compatibilità” terminologica tra categorie concettuali omogenee, riservando dunque il termine “cripto-attività” al fenomeno genericamente inteso dei crypto-asset (e comprensivo, dunque, anche dei security token, esclusi invece dall’ambito di intervento della categoria che si intendeva regolare) e prevedendosi una diversa locuzione disambiguante per quella parte di esso che è oggetto di specifica considerazione e disciplina Per una possibile locuzione analiticamente pregnante e lessicalmente “disambiguante” nello specifico ambito di intervento adottato da Consob rinvio a . P. CARRIÈRE, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op.cit., par. 40.

[10] Foriera di ambigue confusioni concettuali con la categoria dei “valori mobiliari” come tali piuttosto riconducibili allora alla fattispecie dei security tokens, esclusa dall’ambito della regolazione (cfr. P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob,op.cit.,parr.31e32.).

[11] Così, infatti, Cft. Rapporto, par. 2.3 a pag. 4. Peraltro tale tipologia di tokens dovrebbe spesso già ritenersi di per sé esclusa dall’ambito regolatorio in questione per effetto della sua assimilabilità a “strumenti finanziari”, in specie di tipo “derivato” e, quindi, come tali riconducibili alla fattispecie dei security tokens (rectius, commodity tokens).

[12] E’ interessante notare come nell’Impact Assessment della Proposta MICA venga infatti sottolineato come “like payment and investment tokens, some utility tokens can be traded on secondary markets” (…) “this, however, presupposes that the utility token is technically enabled for trading at issuance and that there is also enough demand (liquidity) for utility tokens to be traded. This may not be the case where utility tokens are conceived to function within in a single data ecosystem, only” (par. 1.2.1.) Cfr. Anche ESMA Advice, dove, pur con riferimento generalizzato al fenomeno dei token, può leggersi: “Crypto-assets may be traded or exchanged for fiat currencies or other crypto-assets after issuance on specialised trading platforms. Estimates suggest that there are more than 200 trading platforms operating globally, although a handful concentrate most of the flows. The largest platforms are currently located outside of the EU, in Asia or in the United States. Only between a fourth and a third of those crypto-assets issued through ICOs are being traded.” (evidenza aggiunta). Nell’Annex 1 può poi leggersi come, con riferimento al caso di utility token ivi analizzato (case 5), la maggioranza dei regolatori abbia ritenuto non presente il tratto della “negoziabilità” (v. p. 6, par. 20). Si veda inoltre il Report SMSG 2018, dove può leggersi come “If the asset token gives right to an entitlement in kind, without giving the holder decision power, and the asset token is not transferable, these tokens share much characteristics with prepaid assets. The SMSG is of the opinion that they currently do not fall under the scope of application of financial regulation and the SMSG sees no need for those asset tokens to be covered in the future” (evidenza aggiunta). Anche in dottrina si sottolinea infine (forse troppo drasticamente) come gli “utility tokens/consumer tokens sono gettoni digitali non negoziabili (pur essendo talvolta trasferibili) che offrono unicamente diritti amministrativi o licenze d’uso, quali l’accesso a una piattaforma, a una facility, a un network di persone, a schemi di “fidelizzazione” (evidenza aggiunta); così, A. Caponera e C. Gola, Aspetti economici e regolamentari delle “cripto-attività”, in Questioni di Economia e Finanza, Banca d’Italia, Marzo 2019 n. 484, p 11 (e prima a p. 6).

[13] P. CARRIERE, Il fenomeno delle cripto-attività (crypto-assets) in una prospettiva societaria, inBanca Impresa Società, reperibile in versione“early access” all’indirizzo: https://www.rivisteweb.it/issn/1120-9453.

[14] Concetto nel quale, come da definizione, deve ritenersi inclusa l’ammissione alle negoziazioni su piattaforme.

[15] La Consob si è mostrata invece più flessibile nel momento in cui riconosceva come gli “emittenti “ possono spesso ben essere oltre a società, anche “persone fisiche o networks di sviluppatori di prodotti[15] (…) “potendo trattarsi di progetti in uno stato embrionale così come di attività in uno stato di maggiore avanzamento, che possono essere portate avanti tanto da network di sviluppatori (come tipicamente avviene nell’ecosistema Fintech) quanto da imprese che assumono una tradizionale forma societaria[15].Cft. Rapporto, par. 3.3 a pag. 9 e par. 2.3 a pag. 4. La scelta di non imporre requisiti di “insediamento territoriale” in uno Stato Membro, in capo all’emittente appare pienamente rispettosa della intrinseca e specifica natura del fenomeno, massimamente ispirato ad una filosofia di globalizzazione, decentralizzazione e disintermediazione, venendo altrimenti esclusa qualunque possibilità di offrire tokens a soggetti investitori residenti nella UE, per tutte quelle ICO che fossero progettate/e create/collocate all’/dall’esterno dei suoi confini e/o da soggetti esteri privi di stabilimento all’interno di essa. Diversa è la scelta adottata in Francia, laddove l’accesso al mercato francese in qualità di émetteur des jetons è limitato alle sole società “établie ou immatriculée en France”, scelta che sottende la necessità di poter godere di strumenti di enforcement ma forse anche l’opzione di voler riservare l’accesso al mercato domestico solo a quelle ICO che appaiano meritevoli in base a valutazioni di politica industriale nazionale.

[16] Come invece previsto, ad es., nella disciplina francese.

[17] Sebbene, si osservi, nella Proposta si ricostruisca il contenuto di quella che può essere una distinta e connessa attività di placement, costituente in tal senso uno dei “servizi” regolati.

[18] Peraltro la problematica pare ben presente al legislatore europeo: cfr. Il considerando n. 4 della Proposta Pilot Regime, dove può leggersi come “regulatory gaps exist due to legal, technological and operational specificities related to the use of DLT and crypto-assets that qualify as financial instruments. For instance, there are no transparency, reliability and safety requirements imposed on the protocols and smart contracts underpinning crypto-assets that qualify as financial instruments. The underlying technology could also pose some novel forms of cyber risks that are not appropriately addressed by existing rules”.

[19] Per l’approfondimento di queste opzioni, cfr.; P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op.cit., par. 71.

[20] Come si evince dalla nutrita elaborazione svolta sin qui dalla Consob quale illustrata in P. Carrière, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari”; tra tradizione e innovazione, op. cit.

[21] In particolare, “un sistema di scambio di cripto-attività iscritto nel registro tenuto dalla Consob ovvero in un sistema di scambio di cripto-attività avente sede in un Paese diverso dall’Italia purché sia sottoposto ad un regime di regolamentazione e vigilanza che abbia caratteristiche che si pongono in linea con quanto previsto dalla normativa italiana e purché, in relazione al sistema di scambi medesimo, la Consob abbia stipulato un apposito accordo di cooperazione con la corrispondente Autorità estera competente”. Cfr.Rapporto, par. 3.2 a pag. 8.

[22] Cfr. ESMA nell’Advice 2019 (par. 34). Si osservi pero, a tal riguardo, come nella Proposta MICA, non sia affatto prevista la presenza di piattaforme di offerta tra i Service Providers; solo il “placing” viene previsto come un possibile autonomo servizio, distinto quindi dall’emissione e definite nel “considerando” (15) della Proposta MICA come “the marketing of newly-issued crypto-assets or of crypto-assets that are already issued but that are not admitted to trading on a trading platform for crypto-assets, to specified purchasers and which does not involve an offer to the public or an offer to existing holders of the issuer’s crypto-assets”;

[23] Sulle cui più recenti evoluzioni anche in prospettiva può rinviarsi alle considerazioni svolte da M. De Mari, Equity crowdfunding, PMI non quotate e mercati secondari: una lacuna da colmare?, in Diritto Bancario online, 4 febbraio 2019.

[24] Ma l’accostamento tra i due fenomeni deve arrestarsi qui; dal carattere necessariamente disintermediato, decentralizzato e globalizzato che qualifica la peculiare operatività delle piattaforme di “creazione/collocamento” di tokens, non può applicarsi al fenomeno qui indagato un approccio analitico tipico di un “modello intermediario” – quale risulta invece quello “classicamente” adottato nell’ordinamento domestico per regolare il fenomeno del crowdfunding – nel quale le piattaforme intervengono essenzialmente a intermediare tra “emittenti” e “sottoscrittori”, gestendo la fase distributiva. Modello intermediario che non pare dunque in alcun modo applicabile al caso delle piattaforme di “emissione” (creazione) di utility tokens, ove, tipicamente, i confini tra “collocatore” ed “emittente” sfumano impercettibilmente, caratterizzandosi esso proprio per la marcata disintermediazione che comporta rispetto ai consueti modelli di “collocamento”/”raccolta e trasmissione ordini”. Per considerazioni analoghe nell’ordinamento statunitense, si veda J. Rohr e A. Wright, Blockchain-Based Token Sales, Initial Coin Offerings, and the Democratization of Public Capital Markets, in Hastings Law Journal, febbraio 2019, p.511.

[25] Anche se, come detto alla nota 22, tra questi non è previsto quello delle piattaforme di offerta, ma solo del “placing” nel significato ivi indicato; le istanze di controllo e validazione della sottostante infrastruttura tecnologica DLT potrebbero forse veicolate attraverso il ricorso (necessario) ai Servicer Providers che prestino i servizi di custodia (c.d. e-wallet) dei tokens una volta emessi (custody and administration of crypto-assets).

[26] Cfr. Rapporto, par.3.3, p. 9.

[27] Così Rapporto, par.3.3, p. 10.

[28] Dove crypto-asset servicemeans any of the services and activities listed below relating to any crypto-asset:

(a)the custody and administration of crypto-assets on behalf of third parties;

(b)the operation of a trading platform for crypto-assets;

(c)the exchange of crypto-assets for fiat currency that is legal tender;

(d)the exchange of crypto-assets for other crypto-assets;

(e)the execution of orders for crypto-assets on behalf of third parties;

(f)placing of crypto-assets;

(g)the reception and transmission of orders for crypto-assets on behalf of third parties

(h)providing advice on crypto-assets”.

[29] Rinvio per approfondimenti a P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op.cit., parr. 82 ss.

[30] Il progetta pilota è poi limitato, in questa fase iniziale, a strumenti non liquidi che rispondano a questi parametri quantitativi: “Only DLT transferable securities that meet the following conditions may be admitted to trading on a DLT MTF and recorded on a distributed ledger by a CSD operating a DLT securities settlement system

(a) shares, the issuer of which has a market capitalisation or a tentative market capitalisation of less than EUR 200 million; or

(b) convertible bonds, covered bonds, corporate bonds, other public bonds and other bonds, with an issuance size of less than EUR 500 million”.

[31] Non potendosi approfondire ulteriormente in questa sede una tale impegnativa tematica concettuale, rimando a P. CARRIERE, Il fenomeno delle cripto-attività (crypto-assets) in una prospettiva societaria, inBanca Impresa Società, reperibile in versione“early access” all’indirizzo: https://www.rivisteweb.it/issn/1120-9453

[32] Sul significato di tale distinzione lessicale e concettuale e sulle conseguenze che ne derivano rinvio a P. CARRIERE, op. ult. cit., 11.

[33] Così come già avvenuto in Francia con la Loi Pacte e con la correlata normativa di sua implementazione.

[34] In tal senso iniziano oggi a vedersi sul mercato alcune prime, innovative e pionieristiche esperienze che potranno utilmente fungere da battistrada nella direzione indicata. Cfr. Azioni e quote di società italiane per la prima volta su Blockchain, in Diritto 24, 21 settembre 2020.

[35] Per una chiara illustrazione di questa evoluzione, v. M. LIBERTINI, I titoli di credito nella dottrina giuscommercialistica italiana, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 3/2017, ove, inter alia, può leggersi icasticamente l’affermazione di come “Anche il problema della libertà di emissione è ormai disciplinato, nel senso che si tratta di una “libertà” riservata ai soggetti legittimati per legge all’emissione di strumenti finanziari negoziabili ed inquadrata nella regolazione amministrativa del fenomeno”(p.10).

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