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Approfondimenti

Verso una disciplina europea delle cripto-attività. Riflessioni a margine della recente proposta della Commissione UE.

15 Ottobre 2020

Filippo Annunziata, Professore di diritto dei mercati finanziari, Università Bocconi; Annunziata & Conso

Di cosa si parla in questo articolo

1. Si aprono le danze

Il legislatore dell’Unione Europea sembra aver superato le proprie esitazioni: i dubbi circa la necessità di regolamentare il mercato delle cripto-attività si stanno inequivocabilmente risolvendo in senso affermativo, e lo strumento di diritto derivato a tal fine prescelto (ossia, un Regolamento) ne testimonia chiaramente la determinazione.

Come già prontamente segnalato da attenti commentatori in questa stessa sede[1], la Commissione europea ha, infatti, pubblicato – in data 24 settembre 2020 – una bozza di Regolamento dedicata ai mercati di cripto-attività (i.e. Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on Markets in Crypto-assets, and amending Directive (EU) 2019/1937) (di seguito, “Proposta MiCAR” o anche “MiCAR”). Alla Proposta MiCAR è collegata una proposta “satellite”, volta ad introdurre alcuni aggiustamenti alle regole esistenti in materia di infrastrutture di mercato (Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on a pilot regime for market infrastructures based on distributed ledger technology– (COM/2020/594 final).

Con la Proposta MiCAR si aprono, quindi, le danze per la discussione finalizzata a raggiungere un accordo politico su questo nuovo provvedimento, che potrebbe condurre l’Unione Europea a dotarsi di proprie regole sul mercato delle cripto-attività, forse anche in anticipo rispetto ad altri sistemi, tra i quali gli Stati Uniti. Soltanto i prossimi mesi ci diranno se, alla fine, si tratterà di un veropunto di svolta. Le cripto-attività stanno in ogni caso diventando un punto centrale della strategia della Commissione: non a caso, nel tentativo di rivitalizzare il progetto Capital Markets Union la Commissione ha pubblicato, quasi contemporaneamente alla bozza di Proposta MiCAR, un nuovo, corposo aggiornamento del relativo programma, connotato da forti accenti posti sull’importanza della digitalizzazione, e sulla creazione di un mercato europeo delle attività digitali.

La Proposta MiCAR trae profitto da numerose relazioni e analisi preliminari, condotte negli ultimi tempi anche sotto l’egida delle ESAs, tra le quali spicca, per la completezza e il rigore anche sistematico, il parere dell’ESMA reso alla Commissione nel gennaio 2019[2]. Proprio sulla scorta di tali analisi, la struttura della Proposta MiCAR si articola intorno a due filoni: da un lato, sono previste regole applicabili alle cripto-attività appartenenti all’universo degli strumenti di pagamento e della moneta elettronica (o comunque dotate di caratteristiche agli stessi riconducibili), ivi inclusi i c.d. stablecoin; dall’altro, il MiCAR intende formulare regole applicabili a tutte le cripto-attività che non rientrino già nell’ambito di applicazione della vigente legislazione europea sui mercati finanziari. In queste note intendiamo concentrarci esclusivamente su questi ultimi tipi di cripto-attività che, come noto, pongono i più delicati problemi di qualificazione e di disciplina.

Nel prosieguo di queste brevi note procederemo, in primo luogo, a fornire una breve disamina della situazione preesistente alla Proposta MiCAR, avendo riguardo alle posizioni espresse, relativamente alle cripto-attività, sia in letteratura, sia nell’esperienza legislativa di alcuni Stati UE ritenuti particolarmente significativi (con un accenno, peraltro inevitabile, anche a Svizzera e USA). In seguito, si procederà alla disamina delle principali disposizioni della Proposta MiCAR, sempre limitatamente alle cripto-attività diverse da quelle riconducibili al mondo della monetica elettronica e dei servizi di pagamento.

2. Alla ricerca di una classificazione delle cripto-attività

Come noto, le cripto-attività possono essere progettate e strutturate in diversi modi, con la conseguenza che le stesse possono comportare l’attribuzione della titolarità di una grande varietà di diritti, relativi ad interessi finanziari o non finanziari. Tale varietà, unitamente all’assenza di una terminologia e di un approccio comune tra operatori, legislatori e Autorità di vigilanza, ne ha da sempre resa particolarmente complessa la categorizzazione[3]. Cionondimeno, nell’oramai fiorente letteratura accademica, e anche nei vari approcci regolatori, le cripto-attività sono pressoché sempre tendenzialmente classificate in tre categorie[4].

Per riprendere concetti ormai ampiamente noti, una prima categoria è quella dei c.d. utility token, le cui caratteristiche sono più o meno concordemente individuate nella presenza, nell’ambito di queste tipologie di cripto-attività, di diritti garantiti sui beni o servizi dell’emittente, e a volte anche diritti di governance nell’emittente, quali il diritto di voto[5]. Sul piano della qualificazione, peraltro, gli utility token non sono solitamente considerati come strumenti o prodotti finanziari in quanto il loro scopo non è tanto quello di essere utilizzati come forma di investimento, e/o di creare flussi di cassa futuri, quanto quello di sfruttare, in maniera funzionale, la tecnologia DLT/blockchain per avere accesso a prodotti o servizi[6]. La seconda categoria di cripto-attività è quella dei c.d. security/financial token, tipicamente connessi a un’attività sottostante e rappresentativi soltanto di una frazione del suo valore complessivo, e non dell’attività stessa (ad es. un’impresa o un immobile). Queste di cripto-attività offrono a chi ne è titolare, diritti sugli utili futuri dell’iniziativa sottostante, e possono spesso essere considerate come veri e propri prodotti finanziari, strumenti finanziari, titoli, ecc., a seconda delle categorie rinvenibili negli ordinamenti di riferimento che, di volta in volta, rilevano. La terza categoria di cripto-attività è quella dei c.d. currency token, notoriamente rappresentata da bitcoin, ma più di recente diversificatasi in numerose cripto-attività, ivi inclusi i c.d. stablecoins e, ovviamente, nell’annunciato progetto, Libra[7]. Siffatte tipologie di cripto-attività rispecchiano tratti tipici del denaro (mezzo di scambio, conservazione di valore, e unità di conto)[8].

Questo approccio, sviluppato attraverso la categorizzazione delle cripto-attività, è riscontrabile non soltanto in dottrina, ma anche in recenti interventi normativi, la maggior parte dei quali, tuttavia, risulta ancora in fase embrionale[9]. In Europa, la Svizzera è stata la prima a definire, già nel febbraio 2018, una guida per il lancio di progetti ICO (‘Initial Coin Offering’), ossia di offerte sul mercato primario dei token. Nel 2020 è stata poi approvata una nuova legge sulla DLT (‘Distributed Ledger Technology’)[10]. In tale contesto, la FINMA – l’Autorità federale svizzera di vigilanza sui mercati finanziari – ha coniato, in qualità di vero precursore, i concetti sui quali si fonda, ancora oggi, la tipica, e già ricordata, ripartizione delle cripto-attività.

Quanto ad altri Paesi, merita menzione l’esperienza maltese, caratterizzata dall’adozione, nel 2018, di una specifica disciplina applicabile alle cripto-attività. Si tratta del primo paese dell’Unione ad aver emanato leggi specifiche riferite alla tecnologia blockchain, alle criptovalute e, più in generale, alla tecnologia DLT[11]. L’ambito di applicazione di tale pacchetto legislativo risulta, tuttavia, limitato in quanto non riguarda molte tipologie di token, tra i quali la moneta elettronica, o gli strumenti finanziari. Un tentativo di seguire un approccio onnicomprensivo è stato adottato dal Liechtenstein con l’emanazione del Token and Trusted Technology Service Provider Act (‘TVTG’), in vigore dal gennaio 2020. Tale provvedimento non si concentra esclusivamente sulle valute virtuali, ma riguarda più precisamente i cc.dd. sistemi tecnologici affidabili (c.d. trustworthy technologies o ‘TT’). Esso affronta molti nodi centrali della disciplina delle cripto-attività: proprietà, possesso, regole di trasferimento dei token, introducendo standard minimi per i fornitori di servizi TT (ad esempio, il generatore di token, l’emittente di token, i fornitori di portafoglio digitale, gli exchangers di criptovalute, ecc.). Per effetto di quanto precede, gli emittenti – indipendentemente dalla natura del token – sono tenuti a registrarsi presso l’Autorità pubblica, nonché a rendere disponibili una serie di informazioni relative all’emissione dei token stessi sul mercato[12].

La classificazione dei token, strutturata seguendo l’approccio inaugurato dalla Svizzera ha ispirato anche scelte recentemente operate in Francia. Già nel 2017 l’Autorité des marchés financiers (‘AMF’) aveva osservato, in un documento di discussione, che i token raramente rientrano nelle categorie di strumenti finanziari di cui all’articolo L. 211-1 del Code Monétaire et Financier, riallacciandosi, nella propria ricostruzione, alla nota tripartizione. Nell’aprile 2019, il Parlamento ha votato per regolamentare l’offerta di token ed ha inserito un nuovo capitolo nel Code Monétaire et Financier, applicabile soltanto al cosiddetto jeton d’usage (i.e. al token non qualificabile come strumento finanziario). Peraltro, a differenza di quanto previsto dal regime varato in Liechtenstein, in Francia gli emittenti sono liberi di decidere se effettuare offerte regolamentate di token, soggette all’approvazione dell’AMF, oppure se procedere senza tale approvazione[13]. Dovrebbe così, in sostanza, essere il mercato a valutare la preferibilità dell’una o dell’altra soluzione.

Anche in Italia si è discusso circa la fattibilità di un sistema di opt-in con riferimento ai token che non si qualificano alla stregua di strumenti o prodotti finanziari (sulla base della specifica nozione, di diritto interno, recata dal TUF). Nel 2019, la Consob ha, a tal fine, avviato un’ampia consultazione, conclusasi con la pubblicazione dei relativi esisti[14]: il documento si occupa, come già detto, di cripto-attività che non possono considerarsi strumenti finanziari (ai sensi della disciplina dell’Unione Europea) o prodotti finanziari (ai sensi della disciplina italiana), ponendo in luce alcuni profili centrali delle fattispecie quali: (i) l’utilizzo di tecnologie innovative; (ii) la negoziabilità dei token sui mercati secondari direttamente collegati alla tecnologia DLT e, (iii) l’utilizzo di tale tecnologia per registrare e mantenere la prova della titolarità dei diritti associati alle cripto-attività in circolazione. In tale contesto, la Consob ha ipotizzato la possibilità di estendere alle piattaforme ICOs le disposizioni italiane in materia di crowdfunding azionario[15]. Le proposte della Consob, tuttavia, saranno probabilmente superate dalla Proposta MiCAR, ma resteranno come contributo di analisi e di riflessioni di notevole rilievo, anche per il loro approccio non puramente tecnico, attento ai profili sistematici.

Negli Stati Uniti, nonostante la centralità di quel sistema per le tematiche di cui si discute, l’approccio è stato sino ad oggi alquanto frammentario. In carenza di un quadro legislativo chiaro, o di indicazioni generali sul piano applicativo delle vigenti regole in materia di securities, gli interventi sono stati numerosi, ma episodici, volti essenzialmente a stabilire se, di volta in volta, una certa cripto-attività potesse rientrare nella nozione di security[16].

Quest’ultima, come noto, si basa di fatto sul c.d. test di Howey, elaborato dalla Corte Suprema nel caso SEC vs. Howey del 1946[17]. Applicando il test di Howey[18], la Securities and Exchange Commission ha avviato procedimenti contro taluni promotori di ICOs, sulla base dell’asserita violazione dell’obbligo di registration dei token ai sensi della disciplina federale in materia[19]. Secondo tale approccio, non solo gli asset-token, ma anche gli utility-token e i token ibridi possono – al ricorrere dei relativi presupposti – essere considerati securities, salva l’applicazione di casi di esenzione.

3. L’importanza delle sedi di negoziazione

L’approccio che si traduce nella suddivisione delle cripto-attività in tre categorie di base, non è solo generalmente accettato, ma è anche ragionevole e sufficientemente comprensibile: in un precedente contributo abbiamo definito tale approccio usando la locuzione ‘bottom-up’[20], in quanto fondato sulla struttura dei token, e sulla loro funzione, per ricondurli, o meno, all’interno di note categorie (denaro, beni, prodotti finanziari, strumenti finanziari, moneta elettronica, ecc.). Seguendo questa metodologia, la disciplina applicabile a prodotti e strumenti finanziari, quantomeno in molte giurisdizioni, è già in grado di fornire una risposta ragionevole alla qualificazione dei token, anche se, a volte, con alcune incertezze. Tale analisi fornisce, inoltre, l’apparenza di essere concettualmente esaustiva, soprattutto per i sistemi nei quali – come ad esempio in Italia – la legge prevede una definizione ampia di “titolo” o “prodotto finanziario”, che segue un’impostazione più ampia rispetto alle categorie tendenzialmente precise e circoscritte proprie della legislazione europea sui mercati dei capitali (come, ad esempio, i “valori mobiliari” o gli “strumenti finanziari” contemplati dalla Direttiva MiFID o dal Regolamento sui prospetti). In questi casi, naturalmente, si amplia il potenziale novero di token che possono ricadere nel perimetro della disciplina finanziaria già esistente[21]. Non è, naturalmente, tutto oro quello che luccica: si veda, ad esempio, il Parere ESMA del 2019 che – nel trarre vantaggio dalle esperienze sviluppate nei Paesi che hanno tentato di inquadrare una possibile definizione e classificazione dei token ICO – fa emergere le difficoltà connesse alla qualificazione delle cripto-attività, derivante dalla circostanza che la stessa nozione di “valori mobiliari” – pur scolpita nel diritto dell’Unione – non è del tutto chiara. Peraltro, già soltanto l’assimilazione delle cripto-attività alle azioni o alle obbligazioni, o ad altri strumenti regolati dal diritto societario degli Stati membri – un compito preliminare imprescindibile – può essere difficile da condurre in base al diritto nazionale. Una volta che tale esercizio si è concluso con esiti postivi, affinché il token possa qualificarsi alla stregua di un “valore mobiliare” in base al diritto UE, esso deve essere “negoziabile”, ma questo elemento non è definito da MiFID II, né da altri provvedimenti, e dunque lascia spazio a interpretazioni divergenti.

Nonostante i citati limiti, l’approccio ‘bottom-up’ è indubbiamente utile, e costituisce il punto di arrivo di una metodologia ampiamente condivisa. Tuttavia, ciò che tale approccio trascura è la dimensione dinamica del fenomeno, cioè quella che riguarda la circolazione, e lo scambio, di token sui mercati secondari. Ricostruire la tassonomia dei token, tenendo conto soltanto della loro funzione “intrinseca”, porta, infatti, ad un risultato spurio.

In proposito, è opportuno osservare che:

(i) come già detto, potrebbe ben esserci una chiara sovrapposizione tra alcuni token e taluni strumenti finanziari: è, questo, il caso dei token rientranti nella nozione UE di ‘valori mobiliari’[22]. Pur con alcune difficoltà, in molti casi non è certo impossibile stabilire se un token possa essere assimilato a un’azione, a un’obbligazione, o a qualcosa di analogo, pur tenendo conto delle differenze riscontrabili tra le legislazioni in materia societaria dei diversi Paesi dell’Unione. Anche se a tratti oscuro, il requisito della negoziabilità può a sua volta essere identificato con sufficiente precisione. Tuttavia, oltre un certo limite non si può andare, e non tutti i token possono essere classificati alla stregua di valori mobiliari secondo le categorie UE: in particolare, gli utility token “puri” non dovrebbero rientrare in alcuna delle categorie contemplate dalle definizioni recate dalla MiFID e/o dal Regolamento Prospetto;

(ii) poiché è piuttosto improbabile che un token sia incluso tra gli ‘strumenti del mercato monetario’ di cui all’Allegato I, Sezione C(2) del d.lgs. n 58/1998, alcuni token potrebbero invece qualificarsi come parti o quote di organismi di investimento collettivo di cui all’Allegato I, Sezione C(3) del d.lgs. n. 58/1998: ciò, in particolare, quando il capitale raccolto attraverso i token è investito in un aggregato di attività sottostanti, gestite secondo i criteri proprio di un OICR come definito, nel diritto UE, dalle direttive cc.dd. UCITS e AIFM[23];

(iii) se un token si qualifica come (mero) strumento di pagamento, chiaramente non è un valore mobiliare, né uno strumento finanziario.

Infine, se un token deve assimilarsi ad un “valore mobiliare” come identificato in MiFID II, in genere rientrerà anche nel regime del prospetto europeo, come recentemente formulato dal Regolamento (UE) 2017/1129 del 14 giugno 2017[24]. La conseguenza sarà che l’offerta di token al pubblico, ad esempio nel contesto di una ICO, richiederà la pubblicazione di un prospetto, là dove un semplice white paper (come ora prevede la Proposta MiCAR) non servirebbe allo stesso scopo, e quindi non sarebbe sufficiente. La qualificazione dei token come quote di OICR comporterebbe l’applicazione delle norme che disciplinano la relativa materia, ivi incluse le regole che ne disciplinano l’offerta ai sensi della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi[25] o, in alternativa, al regime degli OICVM/UCITS[26]. In questo caso, i profili che attengono alle regole dell’offerta si combinano con quelli che riguardano l’esercizio dell’attività (riservata, di gestione collettiva) sottostante.

La questione dibattuta, pertanto, alla fine si riduce a quella di stabilire se i token – che non si qualificano come valori mobiliari, né come quote di organismi di investimento collettivo – possano essere ricondotti a uno qualsiasi degli altri tipi di strumenti finanziari della lista MiFID. Sul punto – ed escludendo gli strumenti del mercato monetario – va tenuta presente la categoria degli strumenti derivati che, ai sensi della MiFID II, possono essere (per semplicità) suddivisi in derivati finanziari e derivati su merci. I derivati finanziari non pongono particolari problemi: se un token deve essere considerato come un valore mobiliare, o come un’unità di un organismo di investimento collettivo, e se viene impiegato come sottostante di un contratto derivato, quest’ultimo sarà ovviamente un derivato ‘finanziario’, come tale regolato da MiFID II. Se, invece, un token non è inquadrabile in queste categorie, esso costituisce un asset in linea di principio non “finanziario” che la MiFID II non regolerebbe, a meno che tale asset non funga da sottostante di un derivato (che, nel caso di specie, sarebbe allora un derivato su merci, secondo le categorie della stessa MiFID II). Orbene, quanto ai derivati su merci, nella MiFID II e nel MiFIR[27], gli stessi sono definiti come “gli strumenti finanziari definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 44, lettera c), dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2014/65/UE, che si riferiscono a una merce o a un sottostante di cui all’allegato I, sezione C, punto 10, della direttiva 2014/65/UE; o all’allegato I, sezione C, punti 5, 6, 7 e 10, della stessa direttiva”[28]. In proposito, è certamente noto che l’approccio della MiFID è nel senso di catturare all’interno del suo ambito di applicazione anche i derivati su merci che presentino talune caratteristiche di “finanziarietà”. L’identificazione di siffatti elementi di ‘finanziarietà’ costituisce una delle questioni più complesse dell’intera materia dei servizi e delle attività di investimento: un vero e proprio crocevia, con delicati equilibri, tra regolamentazione delle attività finanziarie, e disciplina dell’economia reale[29], che qui non è opportuno analizzare.

Ai nostri fini è sufficiente osservare quanto segue: se taluni token possono essere ricompresi nelle categorie di base degli strumenti finanziari secondo MiFID II, allora gli stessi saranno sottoposti alle disposizioni ed ai requisiti ivi previsti, nonché alle normative UE sui prospetti informativi (o, eventualmente, ai requisiti AIFMD-UCITS se devono essere considerati come quote di organismi di investimento collettivo del risparmio). Qualora, di contro, i token non siano riconducibili a quelle categorie di base, gli stessi potrebbero – eventualmente – qualificarsi come derivati su merci, secondo le definizioni recate da MiFID II: ciò sarebbe il caso di token che mostrino di avere una componente derivativa (analisi, in vero complessa, ma comunque da condursi caso per caso), e che presentino gli elementi di finanziarietà di cui alla medesima MiFID II. Tra tali elementi spicca quello della negoziazione dello strumento in una sede di negoziazione regolamentata ai sensi della medesima MiFID II: in tal caso (che, già oggi, riguarda moltissimi token, scambiati su piattaforme non regolamentate in tutto e per tutto simili a veri e propri sistemi multilaterali di negoziazione), anche se, alla scadenza, il contratto non è regolato in denaro, o in via differenziale, esso si qualifica alla stregua di un derivato finanziario e, dunque, di strumento finanziario[30].

Tale approccio, che abbiamo definito (nel contributo già citato) di tipo ‘top-down’ muove dalla tassonomia dei token, ma la integra guardando al fenomeno delle sedi di negoziazione: la sua conseguenza è che, da un lato, taluni utility token sarebbero già oggi da ritenersi assoggettati al regime MiFID; dall’altro, la sede su cui il token viene scambiato dovrebbe qualificarsi come sede di negoziazione soggetta al regime MiFID (cioè come RM, MTF o OTF, a seconda dei casi)[31]. Ai fini del Regolamento sul prospetto, invece, avendo riguardo alle regole UE, tale token non sarebbe disciplinato, mentre potrebbe ricadere nella nozione (di diritto interno) di prodotto finanziario, quale recata dal TUF.

La questione della potenziale qualificazione dei token alla stregua di derivati finanziari è, allo stato attuale del dibattito, sostanzialmente aperta, e vi è un significativo livello di incertezza: ciò risulta anche dall’indagine condotta tra le autorità di vigilanza degli Stati membri nel contesto dell’Advice ESMA del 2019. Tuttavia, l’impressione che si ricava dalle analisi finora svolte è che questo profilo non sia sufficientemente approfondito. Il fatto che la Proposta MiCAR si mostri fondamentalmente indifferente a questo dibattito, e si arrenda addirittura prima, di fronte al compito di individuare chiaramente quali token rientrerebbero nel suo ambito di applicazione, appare, allo stato, una non trascurabile lacuna, alla quale è auspicabile che venga posto rimedio nel prosieguo dell’iter legislativo.

4. L’approccio della proposta MiCAR

Nella bozza MiCAR, è evidente l’influenza dell’ampio dibattito sopra sinteticamente riassunto sulla qualificazione delle cripto-attività: il Considerando (9) del Regolamento, infatti, riproduce la tripartizione tra le cripto-attività che risulta dal c.d. approccio ‘bottom up’, prevedendo poi: (i) una definizione ampia e generale di cripto-attività, formulata in linea con i suggerimenti del Financial Action Task Force (Considerando 8)[32]; (ii) una definizione specifica di asset-referenced e di e-money token; e (iii) una definizione specifica di utility token[33].

La definizione generale di cripto-attività, contenuta nell’art. 3 della Proposta MiCAR risulta essenzialmente strumentale all’obiettivo di individuare l’ambito di applicazione generale del Regolamento proposto, le cui regole sono poi strutturate secondo due diverse linee: da un lato, quelle applicabili ai token asset-referenced” e “e-money”; dall’altro, quelle applicabili a tutti gli altri token. Si tratta di una definizione interessante, e certamente utile, anche per la sua applicabilità in altri ambiti (a partire da quelli di qualificazione dei token sul piano civilistico, del diritto concorsuale, del diritto internazionale privato, ecc.): tuttavia, essa non fornisce indicazioni in merito al possibile inquadramento dei token in una categoria particolare. Queste vanno, invece, ricavate da altre previsioni del testo che, come ricordato, definisce in positivo i token asset-referenced” e “e-money”.

Quanto alla definizione di utility token, essa appare puramente descrittiva e non consente di valutare il rilievo che possano assumere eventuali elementi di finanziarietà degli stessi, e ciò al fine di comprendere se si tratti di asset che possano già oggi rientrare nel perimetro della legislazione finanziaria vigente. Peraltro, è anche una definizione priva di una sua specifica disciplina, posto che la Proposta MiCA si applicherebbe non soltanto ad essi, ma ad ogni token che non sia già assoggettato alle regole vigenti del mercato finanziario.

Con riferimento ai token diversi dagli asset-referenced e e-money, il testo formula regole articolate, applicabili alla loro offerta e alla circolazione. Si tratta di regole che hanno un’origine non difficile da identificare, in quanto riflettono: (i) pratiche di mercato consolidate ed esistenti, oppure (ii) l’adattamento alle cripto-attività di regole settoriali, già esistenti e contenute nella legislazione UE sui mercati dei capitali (fondamentalmente, Regolamento MiFID, Prospetto, e Market Abuse). Per quanto riguarda le pratiche di mercato – e limitando queste note agli argomenti più rilevanti contenuti nella bozza di Regolamento – nello stesso si consolida la prassi che ha portato alla pubblicazione di un white paper nell’ambito delle offerte di token. Lo stesso concetto di white paper può essere visto, peraltro, come una trasformazione genetica del prospetto informativo (vero e proprio archetipo delle regole del mercato mobiliare nell’Unione): il testo della proposta adotta però sul punto un approccio molto liberale, là dove il white paper non sarebbe soggetto ad alcun controllo o approvazione da parte dell’Autorità di vigilanza. L’Autorità conserva, tuttavia, il potere di intervenire una volta che l’offerta è stata effettuata, svolgendo dunque le proprie tipiche funzioni dopo la pubblicazione del documento e l’avvio dell’operazione. La proposta di Regolamento giustifica questo approccio con la necessità di evitare di imporre un onere eccessivo in capo alle Pubbliche Autorità: si tratta, ad avviso di chi scrive, di una giustificazione debole, giacché la mera applicazione di strumenti di vigilanza ex post non sembra realmente sufficiente a garantire adeguati livelli di integrità e fiducia nel mercato. Vi è, inoltre, da chiedersi se – stante la specificità di questi nuovi prodotti e mercati e la loro connotazione squisitamente tecnologica – non si debbano anche immaginare poteri nuovi o diversi da quelli tradizionali, in capo alle Autorità di vigilanza: un profilo sul quale la bozza di Regolamento è, però, silente. L’impressione che va emergendo è, infatti, che, a fronte di questi nuovi fenomeni, il c.d. principio di neutralità tecnologica, da sempre declamato nell’ambito dell’approccio alla regolazione dei fenomeni Fintech non debba essere, se non proprio rivisto, quantomeno adattato.

Se i requisiti che la proposta MiCAR applica ai white paper sono chiaramente il risultato di una prassi di mercato, quelli relativi ai fornitori di servizi e alle piattaforme di trading in cripto-attività sono invece il risultato dell’estensione a questi mercati e prodotti di soluzioni profondamente radicate nei testi fondanti la legislazione europea sui mercati dei capitali. Senza entrare troppo nei dettagli, la Proposta MiCAR richiede che coloro che intendono operare come fornitori di servizi nel mercato delle cripto-attività: (i) siano autorizzati da un’Autorità competente; (ii) debbano possedere requisiti che rispecchino quelli richiesti alle entità finanziarie già ricondotte nei vari silos delle regole dell’Unione (imprese di investimento, gestori collettivi, banche, ecc.); (iii) debbano strutturarsi ed operare al fine garantire adeguati livelli di protezione degli investitori secondo standard già largamente diffusi nella legislazione dell’Unione. A questo proposito, la proposta è un nuovo, chiaro esempio di quanto sia forte l’influenza degli standard normativi tratti dalla direttiva MiFID, in uno con la capacità di influenzare la struttura delle norme applicabili nei diversi settori. La proposta MiCAR estende, infatti, ai fornitori di servizi in cripto-attività fondamentali regole di condotta della MiFID, come quelle sull’informazione, sui conflitti di interesse, sull’adeguatezza. Anche gli emittenti di cripto-attività sono soggetti ad alcune di queste disposizioni.

Un altro ambito della proposta MiCAR, dove si intravvede chiaramente il trapianto di regole concepite e applicabili in altri contesti della legislazione finanziaria dell’Unione Europea, è quello degli abusi di mercato: la proposta di regolamento contiene disposizioni volte a proibire e prevenire l’insider trading e la manipolazione dei mercati, riprese direttamente dalle corrispondenti previsioni del Regolamento sugli abusi di mercato (Regolamento n. 596/2014), comprese quelle che si applicano a particolari tipologie di strumenti finanziari, (come le quote di emissione) per le quali l’attenzione non è focalizzata tanto sugli eventi o sulle informazioni riguardanti l’emittente, quanto sulle posizioni dei partecipanti al mercato: un caso, questo, che nel mondo delle cripto-attività effettivamente decentralizzate potrebbe presentarsi di frequente.

Tanto premesso, e considerando il notevole sforzo che emerge dalla Proposta MiCAR, non è agevole comprendere la ragione per la quale il testo non assuma una posizione chiara sul campo di applicazione della nuova disciplina, con particolare riguardo ai token diversi dai token “e-money” e “asset-referenced”. I token che non rientrano nella definizione che la Proposta MiCAR fornisce per questi ultimi rimangono, in vero, controversi per quanto riguarda la loro qualificazione e il regime a cui sono soggetti. Tre disposizioni della proposta sono sufficienti al fine di chiarire quest’ultima affermazione:

(i) secondo l’art. 2, par. 2, il Regolamento si applica ai token che non rientrano nel campo di applicazione della vigente legislazione finanziaria dell’Unione Europea. L’oggetto del Regolamento viene dunque identificato in senso negativo;

(ii) secondo l’art. 6, la nota di sintesi del white paper deve contenere un’avvertenza che il white paper non costituisce un prospetto ai sensi del Regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, o un altro documento di offerta ai sensi del diritto dell’Unione o nazionale;

(iii) di contro, ai sensi dell’art. 30 della proposta MiCAR, gli emittenti di tokenasset-referenced” nell’Unione Europea, o che chiedono l’ammissione del gettone alla negoziazione su una piattaforma di negoziazione per le cripto-attività devono richiedere un’autorizzazione specifica e fornire all’Autorità di vigilanza “un parere legale che l’attività proposta non rientra nell’ambito di applicazione di altre normative in materia di servizi finanziari, come quelle specificate all’articolo 2, paragrafo 2”.

Queste tre disposizioni, se lette in combinato disposto, indicano chiaramente che la Proposta MiCAR non è in grado, o non intende – almeno nella formulazione attuale – fornire una chiara definizione delle varie cripto-attività rientranti nel suo ambito di applicazione. In questo senso, la definizione di utility token fornita all’art. 3 della Proposta MiCAR non è sufficiente, in quanto non idonea a chiarire il confine tra siffatti token e i prodotti di investimento, e, peraltro, disallineata rispetto al campo di applicazione della Proposta MiCAR, che riguarda una categoria ben più ampia di token..

In sostanza, secondo l’attuale versione della Proposta MiCAR, a meno che una cripto-attività non rientri chiaramente nelle definizioni di “e-money token” o token asset-referenced”, resta, di volta in volta, da chiedersi se essa rientri nella definizione, quantomeno, di valori mobiliari, di quote di organismi di investimento collettivo o, eventualmente, (seguendo l’approccio top-down) di derivati, ecc. Considerato che, come si è avuto modo di mostrare, l’identificazione precisa dei tratti di ciascuna di queste categorie solleva – già di per sé – poche questioni interpretative, la bozza del Proposta MiCAR è ben lungi dall’essere conclusiva, ed in grado di fornire certezza giuridica.

Anche considerando i tokene-money” e “asset-referenced”, peraltro, la soluzione proposta non è del tutto soddisfacente: la qualificazione dell’attività è, infatti, troppo sbilanciata sul ruolo che rivestirebbe il parere legale, chiamato a confermare che l’attività non rientra nell’ambito della legislazione finanziaria esistente. Peraltro, è forse opportuno che i requisiti del parere legale, e del soggetto che lo fornisce, vengano meglio specificati, ad esempio per quanto attiene la gestione e i presidi a fronte di eventuali conflitti di interessi. In ogni caso, la sussistenza del parere legale non dovrebbe esonerare le Autorità di vigilanza dall’obbligo di svolgere efficacemente la loro indagine sulla natura del token, e ciò al fine di accertare se l’attività prevista debba essere autorizzata ai sensi di altre regole del diritto dell’Unione, o del diritto nazionale. Nella sua formulazione attuale, il riferimento al parere legale rischia, in vero, di comportare un improprio trasferimento di competenze al settore privato, accrescendo i rischi di riqualificazione dei fenomeni, con conseguenze particolarmente gravi là dove il superamento dei confini delle attività riservate potrebbe comportare violazioni penalmente rilevanti ai sensi del diritto nazionale. Inoltre, ci si può chiedere perché non sia necessario un simile parere legale in relazione al rilascio di token diversi: questi ultimi, infatti, possono essere immessi sul mercato senza previa verifica o autorizzazione da parte delle Autorità di Vigilanza.

Se la Proposta MiCAR è senza dubbio un primo passo significativo ed interessante da parte delle istituzioni dell’Unione Europea verso una compiuta disciplina delle cripto-attività, va osservato che ogni tentativo di questo tipo deve inevitabilmente affrontare il problema della chiara collocazione delle cripto-attività all’interno o all’esterno del quadro della legislazione finanziaria dell’Unione Europea oggi vigente (in particolare, per le attività diverse dagli “e-money token” “asset-referenced”, dalle regole MiFID e dalle regole del Prospetto). Tale questione non può essere risolta semplicemente tracciando l’ambito ‘negativo’ di applicazione della disciplina, come previsto dal Proposta MiCAR all’art. 2, par. 2.

Le definizioni negative, così come l’identificazione dell’ambito di applicazione della legislazione – facendo semplicemente riferimento a ciò che “non rientra” in altri settori delle regole esistenti – non sono, infatti, sufficienti. Un esempio di quanto complesso e confuso possa essere tale approccio è fornito dalla Direttiva AIFM del 2011, che ne identifica l’ambito di applicazione facendo riferimento a tutti gli organismi di investimento collettivo che non rientrano nel campo di applicazione della preesistente Direttiva UCITS: una soluzione che, all’epoca, ebbe l’apparente vantaggio della semplicità, ma che ha innescato una serie di complesse questioni interpretative in molti Paesi UE. Inoltre, il compito di far rispettare la corretta disciplina di mercato e la trasparenza non può essere lasciato quasi interamente ad interventi ex-post: le autorità di vigilanza sono watchdog fondamentali, e rispondono all’esigenza di prevenire i fallimenti del mercato.

5. Alcune riflessioni

In conclusione, pare essenziale procedere nel senso di un migliore coordinamento tra il Proposta MiCAR e la legislazione dell’Unione Europea sui mercati dei capitali. Considerando che i mercati delle cripto-attività hanno forti peculiarità, che vanno tenute in considerazione e non trascurate, un migliore coordinamento potrebbe essere raggiunto operando in due direzioni: da un lato, la Proposta MiCAR dovrebbe chiarire il suo ambito di applicazione, affrontando il compito di fornire una chiara identificazione in positivo di quali token rientrerebbero nel suo ambito di applicazione. Anche se questo compito può apparire difficile e impegnativo, è necessario evitare confusione e scappatoie. Lasciare questo esercizio al settore privato (ad esempio, affidandosi ad un parere legale a sostegno della qualificazione di un bene criptato) non risolverebbe la questione, e aggraverebbe piuttosto il rischio di dar luogo a conflitti di interesse. Dall’altro lato, un’alternativa potrebbe essere ridimensionare la Proposta MiCAR, ed includere tutte le cripto-attività che non sono “e-money token” “asset-referenced” nell’ormai avviata revisione della direttiva MiFID II, sottoponendoli a regimi differenziati, da elaborare applicando con attenzione proporzionalità, e regime delle esenzioni: un’opzione valutata anche dall’ESMA nel suo parere del 2019 alla Commissione. Se il timore è di non trovare un accordo politico su di un’impostazione più precisa con riguardo a questi fondamentali profili, forse è meglio prolungare il periodo di riflessione, ed aspettare ad aprire le danze.

 


[1] Si tratta di due contributi che si segnalano per completezza e tempestività: V. P. Carrière, Crypto-assets: le proposte di regolamentazione della Commissione UE. Opportunità e sfide per il mercato italiano, Diritto bancario, Approfondimenti, Ottobre 2020; R. Lener, L. Furnari, Cripto-attività: prime riflessioni sulla proposta della commissione europea. Nasce una nuova disciplina dei servizi finanziari “crittografati?, Diritto bancario. Approfondimenti, Ottobre 2020.

[2] ESMA, Advice on ICOS and Crypto-assets, January 2019.

[3] Cfr., P. Hacker, C. Thomale, Crypto-Securities Regulation: ICOs, Token Sales and Cryptocurrencies under EU Financial Law, European Company and Financial Law Review, 2018, 645.

[4] Cfr., P. Maume, M. Fromberger, Regulations of Initial Coin Offerings: Reconciling U.S. and E.U. Securities Laws, Chicago Journal of International Law 19 (2019), 548, 558 e ss.; P. Hacker, C. Thomale (nota 3), 652 e ss.; I. M. Barsan, Legal Challenges of Initial Coin Offerings, Revue Trimestrielle de Droit Financier 2017, 54, 62, che identifica solo due categorie di token (“currency like” e “security like” token). Si veda anche, la distinzione fra “app token” e “protocol token” proposta da J. Rohr, A. Wright, Blockchain- Based Token Sales, Initial Coin Offerings, and the Democratization of Public Capital Markets, Hastings Law Journal 70 (2019), 463, 469 e ss.

[5] Cfr., T. Bourveau, E. T. De George, A. Ellahie, D. Macciocchi, Initial Coin Offerings: Early Evidence on the Role of Disclosure in the Unregulated Crypto Market, (2018), p. 12, disponible al seguente link:https://www.marshall.usc.edu/sites/default/files/2019-03/thomas_bourveau_icos.pdf, 18.

[6] P. Hacker, C. Thomale(nota 3), 673 et seqq; L. Klöhn, N. Parhofer, D. Resas, Initial coin offerings (ICOs), Zeitschrift für Bankrecht und Bankwirtschaft 2018, 89, 102 e ss. In uncontributo recente, alcuni Autori hanno adottato un approccio fondato su di un’ampia nozione di valori mobiliari e strumenti finanziari, che porta ad includervi la pressoché totalità dei token emessi nel contesto di ICOs: D. Boreiko, G. Ferrarini, P. Giudici, Blockchain Startups and Prospectus Regulation, European Business Organization Law Review 2019, 665, 672 e ss.

[7] Cfr., D. A. Zetzsche, R. P. Buckley, D. W. Arner, Regulating LIBRA: the Tranformative Potential of Facebook’s Cryptocurreny and Possible Regulatory Responses, (2019), European Banking Institute Working Paper Series 2019/44, disponibile al seguente link: http://ssrn.com/abstract=3414401. Per un’ampia analisi delle principali caratteristiche degli stablecoin, si veda M. Dell’Erba, Stablecoins in cryptoeconomics. From Initial Coin Offerings (ICOs) to Central Bank Digital Currencies (CBDs), NYU Journal of Legislation & Public Policy.

[8] B. Geva,Cryptocurrencies and the Evolution of Banking, Money, and Payments, in Chris Brummer (ed.), Cryptoassets: Legal, Regulatory, and Monetary Perspectives, 2019 p. 12 e ss.

[9] AA.VV., Global Cryptoassets Regulatory Landscape Study, (2019), University of Cambridge Faculty of Law Research Paper No. 23/2019, 36 -38, disponible al seguente link: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3379219.

[10] https://www.admin.ch/gov/en/start/documentation/media-releases.msg-id-77252.html.

[11] Cfr. http://www.ccmalta.com/news/malta-Blockchain-crypto-legislation.

[12] Per una traduzione in inglese del provvedimento v. https://impuls-liechtenstein.li/wp-content/uploads/2019/11/950.6_04.11.2019_TVTG-english-final-version.pdf.

[13] Per ulteriori dettagli, si veda B. François, Les nouveaux modes de sollicitation des investisseurs, Revue des Sociétés 2019, 630, 637 e ss.; AMF, Initial Coin Offering (ICO) (16 December 2019), disponibile al seguente link: https://www.amf-france.org/en_US/Acteurs-et-produits/Societes-cotees-et-operations-financieres/Offres-au-public-de-jetons-ICO. I criteri per determinare se un jeton è uno strumento finanziario rimangono, in ogni caso, poco chiari.

[14] Consob, Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività. Documento per la Discussione, (19 March 2019), disponibile al seguente link: http://www.consob.it/documents/46180/46181/doc_disc_20190319.pdf/64251cef-d363-4442-9685-e9ff665323cf. I risultati sono stati pubblicati in data 2 Gennaio 2020 e sono disponibili al seguente link: http://www.consob.it/documents/46180/46181/ICOs_rapp_fin_20200102.pdf/70466207-edb2-4b0f-ac35-dd8449a4baf1.

[15] In proposito, P. Carrière, op. cit., p. 11.

[16] Cfr., W. Mougayar, While We Wait for Laws, We Need Better Interpretations of Existing Regulation, (Coin- Desk, 4 January 2020), https://www.coindesk.com/while-we-wait-for-laws-we-need-better-interpretations-of-existing-regulation.

[17] Cfr., SEC v. Howey Co., 328 U.S. 293 (1946) (“Howey”). Si veda anche SEC v. Edwards, 540 U.S. 389 (2004);United Housing Found, Inc. v. Forman, 421 U.S. 837 (1975) (“Forman”); Tcherepnin v. Knight, 389 U.S. 332 (1967) (“Tcherepnin”); SEC v. C. M. Joiner Leasing Corp., 320 U.S. 344 (1943) (“Joiner”).

[18] In estrema sintesi, secondo tale test, un token, per poter essere qualificato alla stregua di una forma di investimento, che richiede la registrazione ai sensi della US Securities Law, deve soddisfare taluni requisiti e comportare: (i) l’effettuazione di un investimento di denaro; (ii) la ragionevole attesa di profitti derivanti dall’investimento; (iii) l’impiego del capitale in un’iniziativa comune; e (iv) il fatto che i profitti provengano dagli sforzi posti in essere dal promotore dell’iniziativa, o da una terza parte. Per un’analisi dettagliata, si veda J. C. Coffee, H. A. Sale, Securities Regulation – Cases and Materials, 12th ed., 2012, p. 247-269. Per una comparazione tra Stati Uniti e Unione Europea si veda P. Maume, M. Fromberger, Regulations of Initial Coin Offerings: Reconciling U.S. and E.U. Securities Laws, Chicago Journal of International Law 19 (2019), 572 e ss.; T. Maas, Initial Coin Offerings: When Are Tokens Securities in the EU and US? (2019), disponibile al seguente link: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3337514; M. Mendelson, From Initial Coin Offerings to Security Tokens: A U.S. Federal Securities Law Analysis , Stanford Technology Law Review 22 (2019), 52. Per un inquadramento approfondito e recente del sistema statunitense, D. T. Stabile, K.A. Prior, A. M. Hinjes, Digital Assets and Blockchain Technology, Edward Elgar, 2020.

[19] Ad esempio, nel dicembre del 2017, la SEC avviato un procedimento nei confronti di PlexCorps, Dominic LaCroix e Sabrina Paradis-Royer per non aver rispettato gli obblighi di registrazione del titolo nel contesta di una ICO (SEC Complaint CV 17-7007). La SEC ha anche agito nei confronti Munchee Inc., sempre nel contesto di una ICO (SEC Release No. 33- 10445). Con questi due interventi, la SEC ha confermato l’intenzione, già precedentemente manifestata nel c.d. DAO Report, di seguire un approccio rigoroso nell’applicazione della securities legislation.

[20] Ci sia consentito il rinvio a F. Annunziata, Speak, If You Can: What Are You?. An Alternative Approach to the Qualification of Tokens and Initial Coin Offerings, in ECFR, vol. 17, n. 2, 2020.

[21] Un approccio simile è stato elaborato anche nell’Advice alla Commissione europea, pubblicato dall’ESMA nel gennaio.

[22] L’Allegato I, Sezione C, punto 1, MiFID II. Art. 4, par. 1(44), MiFID II, fornisce la seguente definizione di “valori mobiliari”: per “valori mobiliari” si intendono quelle classi di valori che sono negoziabili sul mercato dei capitali, ad eccezione degli strumenti di pagamento, come ad esempio: a) azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, società di persone o altri enti e certificati di deposito relativi ad azioni; b) obbligazioni o altre forme di debito cartolarizzato, compresi i certificati di deposito relativi a tali titoli; c) qualsiasi altro titolo che dia il diritto di acquisire o vendere tali valori mobiliari o che dia luogo a un regolamento in contanti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure. Chiaramente, in questa definizione, il riferimento ad un giudizio di “equivalenza”, o anche ad “altre forme” di titoli consente, a seconda del punto di vista dell’interprete, e del sistema giuridico dello Stato Membro di volta in volta rilevante, una ricostruzione più o meno ampia della categoria.

[23] Per ulteriori approfondimenti in tal senso, si veda l’Advice dell’ESMA del gennaio 2019, dove questa opzione è effettivamente presa in considerazione per alcuni dei token analizzati.

[24] Il Regolamento sul Prospetto Informativo si applica ai “titoli”“: in base all’art. 2 del Regolamento si tratta di “valori mobiliari come definiti al punto (44) dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2014/65/UE, ad eccezione degli strumenti del mercato monetario come definiti al punto (17) dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2014/65/UE, aventi una scadenza inferiore a 12 mesi”. Pertanto, vi è chiaramente una sovrapposizione tra MiFID II e il Regolamento sul prospetto per un token che rientra nella categoria dei “valori mobiliary”. Per un approfondimento su questo profilo v. P. Maume, Initial Coin offerings and EU Prospectus Disclosure, European Business Law Review, 2020, 31, 185 ss.

[25] Direttiva 2011/61/UE dell’8 giugno 2011 sui gestori di fondi di investimento alternativi.

[26] Direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009 e succ. modd.

[27] Regolamento (EU) 600/2014 del 15 maggio 2014.

[28] Art. 2, para. 1 (30), Regolamento MiFIR.

[29] Sulla base di un’evoluzione che, dal primo approccio della MiFID I, si è consolidata nella MiFID II, la natura finanziaria dei derivati su merci si basa su alcuni elementi fondamentali:

(i) la nozione di “beni”“, che include, di fatto, qualsiasi attività, attività, parametro, indice, diritto, variabile, ecc. applicati come sottostante di uno strumento derivato e che, dunque, ben appare idonea a includere qualsiasi tipo di token;

(ii) la nozione estremamente ampia di “strumento derivato”, che comprende non solo i derivati più standard e, in qualche modo, “tipici” (quali futures, opzioni, swap, ecc.), ma anche qualsiasi struttura, contratto, strumento simile a uno qualsiasi di questi ultimi;

(iii) il fatto che – in alternativa – il derivato è regolato (o può essere regolato su opzione delle parti, a seconda dei casi), in contanti, e/o il fatto che il derivato è negoziato in una sede di negoziazione riconosciuta ai sensi della MiFID II. Si veda su questi profili A. Sciarrone Alibrandi, E. Grossule, Commodity Derivatives, in D. Busch, G. Ferrarini (a cura di), Regulation of the EU Financial Markets: MiFID II and MiFIR, Oxford University Press, 2017, 439 ss.

[30] Resta sempre ferma l’applicazione di regimi nazionali più ampi, come accade in Italia relativamente alla nozione di “prodotto finanziario”, utilizzata nel contesto della disciplina delle offerte al pubblico.

[31] Anche nell’Advice dell’ESMA del gennaio 2019, alcuni dei token analizzati sembrano avere caratteristiche tali da essere potenzialmente assimilabili agli strumenti derivati, sebbene, su questo punto, le posizioni espresse dalle Autorità di vigilanza appaiano alquanto incerte, e in parte divergenti (cfr., in particolare, i paragrafi 76-89).

[32] Art. 3, par. 1, lett. b): “ ‘crypto-asset’ means a digital representation of value or rights, which may be transferred and stored electronically, using distributed ledger or similar technology”.

[33] Art. 3, par. 1, lett. g): “ ‘utility token’ means a type of crypto-assets which are intended to provide access digitally to an application, services or resources available on a distributed ledger and that are accepted only by the issuer of that token to grant access to such application, services or resources available”.

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