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Approfondimenti

Esenzione IVA dei servizi di consulenza ai gestori di fondi di investimento alternativi

16 Febbraio 2021

Stefano Massarotto e Andrea Porro, Facchini Rossi Michelutti Studio Legale Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

La risposta dell’Agenzia delle entrate del 29 dicembre 2020, n. 628, fornisce, riguardo alla disciplina IVA applicabile ai servizi resi in outsourcing nei confronti dei gestori di fondi di investimento alternativi (quali i fondi di direct lending, gli hedge funds, i fondi di private equity, e via discorrendo), una importante conferma circa la possibilità di avvalersi, per tali soggetti, del regime di esenzione di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. del 26 ottobre 1972, n. 633[1].

La presa di posizione risulta particolarmente interessante in quanto, per la prima volta, il regime di esenzione di cui si discute è stato espressamente oggetto di un’interpretazione ufficiale dell’Amministrazione finanziaria italiana con riferimento al caso di un soggetto autorizzato alla gestione di fondi di investimento alternativi (“FIA”) ai sensi della Direttiva 2011/61/UE dell’8 giugno 2011 (cd. Direttiva AIFM). Come si vedrà, l’Agenzia delle entrate ha precisato quali sono le condizioni al ricorrere delle quali, anche nel caso dei FIA (analogamente a quanto avviene nel caso degli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari disciplinati dalla Direttiva 2009/65/CE del 13 luglio 2009, cd. Direttiva UCITS[2]), risulti possibile avvalersi del predetto regime di esenzione da IVA.

2. Il regime di esenzione da IVA per i servizi di gestione di fondi comuni di investimento

Il regime di esenzione previsto ai fini IVA per i servizi di gestione di fondi comuni di investimento dal citato art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. n. 633/1972 – che costituisce il recepimento, nel nostro ordinamento, della fattispecie esentativa originariamente introdotta nell’art. 13, parte B, lettera d), punto 6) della Direttiva 77/388/CE del 17 maggio 1977 (“Sesta Direttiva”) e, successivamente, trasfusa all’interno dell’art. 135, comma 1, lettera g), della 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (“Direttiva IVA”) oggi in vigore – si rende come noto applicabile alle prestazioni di servizi che presentino congiuntamente due requisiti, vale a dire (i) l’inquadrabilità delle prestazioni (sotto il profilo “oggettivo”) come servizi di “gestione” nonché (ii) la riconducibilità dei destinatari delle stesse (sotto il profilo “soggettivo”) nel novero dei fondi comuni d’investimento contemplati dalla norma di esenzione.

Sotto questo secondo profilo (soggettivo), la Corte di Giustizia delle comunità europee si è in passato occupata di esaminare la platea di organismi di investimento collettivo destinatari del regime di esenzione, soffermandosi sul dettato normativo comunitario che – sin dalla sua originaria introduzione nel sopra citato art. 13, parte B, lett. d), punto 6, della Sesta Direttiva e, successivamente, anche a seguito della “rifusione” all’interno dell’art. 135, paragrafo 1, lettera g), della Direttiva IVA attualmente in vigore – ha sempre fatto riferimento ai “fondi comuni d’investimento quali sono definiti dagli Stati membri”.

Tale potere definitorio demandato agli Stati membri, rimasto come detto immutato nel tempo, costituisce un retaggio del panorama regolamentare in essere alla data di entrata in vigore della menzionata Sesta Direttiva, allorché a livello comunitario non era ancora intervenuta alcuna armonizzazione della disciplina applicabile agli organismi di investimento collettivo del risparmio. Come osservato dalla Corte di Giustizia, detto potere definitorio è venuto progressivamente a ridursi, dapprima con l’emanazione della Direttiva OICVM (che ha introdotto una forma di regolamentazione a livello unitario riservata ai soli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari) e, successivamente, con la Direttiva AIFM (mediante cui sono state definite talune disposizioni comuni in materia di autorizzazione e vigilanza dei gestori dei FIA, vale a dire i cd. GEFIA).

In passato, la Corte di Giustizia ha, a più riprese, ribadito i seguenti due princìpi:

  1. si qualificano come “fondi comuni di investimento” ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. g) della Direttiva IVA, i fondi che costituiscono OICVM ai sensi della menzionata Direttiva UCITS[3];
  2. i fondi che non si qualificano come OICVM in base alla predetta Direttiva possono ciononostante qualificarsi per l’applicazione del regime di esenzione, qualora mostrino caratteristiche identiche rispetto a quelle di un OICVM e pongano in essere le stesse operazioni ovvero se, per lo meno, presentino caratteristiche sufficientemente comparabili per risultare in concorrenza rispetto a un tale soggetto[4].

3. I dubbi in merito all’applicabilità del regime di esenzione nel caso dei FIA

A seguito dell’emanazione della Direttiva AIFM è sorta la questione di comprendere se i FIA gestiti da soggetti rientranti nell’ambito di applicazione della stessa potessero o meno – tenuto conto dei cennati princìpi formulati dalla Corte di Giustizia – rientrare nel novero dei “fondi comuni di investimento” ai fini dell’applicazione del regime di esenzione previsto dalla normativa comunitaria.

In questo scenario, il Comitato IVA[5], nel Working Paper n° 936 del 9 novembre 2017 e nelle successive Guidelines resulting from the 109th Meeting of 1 December 2017[6], ha espresso “a larga maggioranza” (non all’unanimità) il principio secondo cui affinché un FIA possa considerarsi avente caratteristiche comparabili a quelle di un OICVM e, di conseguenza, qualificarsi come “fondo comune di investimento” ai sensi della Direttiva IVA, le seguenti condizioni dovrebbero congiuntamente essere soddisfatte:

  1. il fondo deve rappresentare una forma di investimento collettivo;
  2. il fondo deve operare in base al principio della condivisione del rischio;
  3. il ritorno sull’investimento deve dipendere dalla performance degli investimenti e gli investitori devono sopportare il rischio connesso con il fondo;
  4. il fondo deve risultare soggetto alla supervisione dello Stato;
  5. il fondo dev’essere soggetto alle stesse condizioni di competizione e rivolgersi alla stessa cerchia di investitori di un OICVM.

Secondo il parere di chi scrive, l’ultima condizione richiamata dal Comitato IVA, sopra elencata alla lettera e), potrebbe condurre nei fatti ad escludere – nonostante un teorico margine di valutazione “caso per caso” riconosciuto agli operatori – che un FIA possa avvalersi del regime di esenzione da IVA[7]. Ciò in quanto, come è noto, i FIA perseguono politiche di investimento e si rivolgono di regola ad una platea di investitori professionali ben diversi rispetto ai soggetti retail che effettuano operazioni di investimento in fondi regolamentati ai sensi della Direttiva OICVM. Nella misura in cui, infatti, un FIA non si rivolga alla medesima cerchia di investitori di un’OICVM (ad esempio, tenuto conto delle peculiarità del portafoglio di investimenti ovvero delle condizioni richieste agli investitori per la partecipazione al fondo), secondo l’orientamento indicato dal Comitato IVA lo stesso non potrebbe qualificarsi come “fondo comune di investimento” ai fini dell’esenzione da IVA in parola.

L’orientamento proposto (non all’unanimità) dal Comitato IVA appare in contrasto rispetto alle conclusioni a cui, in passato, è giunta la Corte di Giustizia, in una sentenza che, tra l’altro, è stata valorizzata anche dall’Amministrazione finanziaria italiana nella risposta oggetto qui in commento (cfr. sentenza C-595/13 del 9 dicembre 2015, Fiscale Eenheid), in cui i giudici comunitari hanno valutato – positivamente – l’applicazione del regime di esenzione con riferimento al caso di organismi di investimento collettivo alternativi (di tipo immobiliare), destinati a investitori istituzionali.

In quest’ambito, ci si limita a evidenziare come la Corte di Giustizia – sebbene non pronunciandosi in relazione al caso di un fondo gestito da soggetti rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva AIFM (trattandosi invero di una fattispecie risalente a data anteriore l’entrata in vigore della stessa) ma, pur sempre, in relazione ad organismi di investimento collettivo non rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva OICVM (trattandosi di società di investimento immobiliare di diritto olandese, in cui era raccolto il capitale di più investitori professionali) – abbia proceduto a declinare l’esame di “comparabilità” rilevante ai fini del riconoscimento della spettanza del regime di esenzione senza richiedere la verifica di sussistenza della condizione di cui alla lettera e) indicata dal Comitato IVA concernente la platea degli investitori (vale a dire, la destinazione del fondo ad una clientela retail).

I giudici comunitari hanno infatti evidenziato che il regime di esenzione di cui si discute richiede che l’organismo di investimento sia oggetto di vigilanza statale specifica (cfr. punto 40) e che il rinvio operato dalla normativa comunitaria alla definizione di “fondi comuni d’investimento” contenuta nell’ordinamento interno di ciascuno Stato membro stava, in origine, a significare che – anteriormente all’emanazione della Direttiva OICVM – l’esenzione da IVA era riservata agli organismi oggetto di vigilanza statale specifica. In seguito all’introduzione della Direttiva OICVM, mediante cui è stata definita una prima disciplina uniforme in merito all’autorizzazione, alla struttura ed all’attività di (taluni) organismi di investimento collettivo stabiliti negli Stati membri (più in particolare, quelli che investono in valori mobiliari), il potere discrezionale riservato agli Stati membri ai sensi dell’art. 13, par. B, lettera d), punto 6) della Sesta Direttiva si è (con riferimento a tale tipologia di fondi) venuto a ridurre. Inoltre, la successiva introduzione della Direttiva AIFM ha in quest’ottica rappresentato “… un ulteriore passo verso l’armonizzazione per quanto concerne la vigilanza statale specifica sui fondi d’investimento” (cfr. punto 61).

Pertanto, con riferimento ai fondi che (come nel caso oggetto della sentenza in parola) non costituiscono organismi collettivi di investimento ai sensi della Direttiva OICVM, affinché gli stessi presentino il richiesto carattere di “comparabilità” è necessario, innanzitutto, che gli stessi risultino, in base al diritto nazionale, soggetti a vigilanza statale specifica (circostanza che la Corte di Giustizia ha demandato al giudice nazionale di verificare).

In aggiunta all’assoggettamento a vigilanza statale specifica, la Corte di Giustizia nella sentenza in parola ha indicato altresì la necessità di verificare la sussistenza delle seguenti ulteriori condizioni[8]:

  1. l’acquisto di diritti di partecipazione nel fondo da parte di taluni investitori;
  2. il fatto che in capo a tali soggetti il rendimento tratto dall’investimento nel fondo risulti condizionato ai risultati ottenuti dai gestori, e
  3. la circostanza per cui i partecipanti abbiano diritto ai benefici o sopportino il rischio connesso alla gestione del fondo,

giungendo a osservare come, nel caso delle società di investimento immobiliare oggetto della controversia, tali condizioni risultassero verificate[9].

Dalla sentenza sopra cennata si evince dunque come la Corte di Giustizia, pronunciandosi in relazione a organismi di investimento collettivo del risparmio non rivolti a investitori retail, abbia proceduto a eseguire il test di “comparabilità” ai fini del riconoscimento della spettanza del regime di esenzione da IVA senza soffermarsi a considerare l’ulteriore profilo su cui il Comitato IVA ha insistito nelle proprie Guidelines, concernente il fatto che il fondo si rivolga o meno alla stessa cerchia di investitori rispetto al caso di un OICVM. I giudici comunitari paiono infatti ritenere che la sussistenza del rapporto di concorrenza deve ritenersi assorbita nella verifica dell’assoggettamento a vigilanza regolamentare specifica, sulla base della normativa regolamentare interna applicabile, oltre che della sussistenza delle ulteriori condizioni sopra elencate.

4. La risposta n. 628 del 29 dicembre 2020

Nel contesto sopra descritto in cui, come sopra cennato, a seguito dell’entrata in vigore della Direttiva AIFM anche nel nostro ordinamento ci si interrogava in merito all’applicabilità del regime di esenzione da IVA nel caso dei servizi resi a favore di gestori soggetti a tale normativa regolamentare[10], la recente risposta n. 628 del 2020 – trattando il caso di taluni servizi di advisory prestati in outsourcing nei confronti di una società autorizzata alla gestione di FIA chiusi mobiliari (riservati a investitori internazionali qualificati[11]) – ha sotto il profilo soggettivo di applicazione della norma confermato, in linea di principio, la possibilità di applicare il regime di esenzione di cui si discute (svolgendo altresì alcune favorevoli considerazioni riguardo al profilo oggettivo).

Il caso oggetto della risposta riguardava, più nel dettaglio, il regime IVA applicabile ai servizi resi nei confronti del predetto gestore (Alfa), da parte di una società controllata (Beta) non residente in Italia, sulla scorta di un apposito contratto di “advisory”[12].

Al riguardo, per ciò che concerne il profilo soggettivo di applicazione dell’art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. n. 633/1972, l’Agenzia delle entrate ha richiamato innanzitutto i consolidati princìpi affermati dalla Corte di Giustizia, secondo cui, ai fini dell’applicazione del regime di esenzione, devono intendersi ricompresi nella nozione di fondi comuni di investimento:

  1. gli OICVM attualmente disciplinati (a seguito di rifusione della Direttiva 85/61/CEE) dalla Direttiva n. 2009/65/CE) aventi per oggetto esclusivo “l’investimento collettivo in valori mobiliari dei capitali raccolti presso il pubblico, il cui funzionamento è soggetto al principio della ripartizione dei rischi, e le cui quote sono, su richiesta dei portatori, riacquistate o rimborsate, direttamente o indirettamente, a carico del patrimonio dei suddetti organismi”, nonché
  2. i fondi che, pur non costituendo OICVM, ciononostante “presentano caratteristiche identiche a questi ultimi ed effettuano, quindi, le stesse operazioni, o quanto meno, presentano tratti comparabili a tal punto da porsi in rapporto di concorrenza con essi”[13].

Ciò premesso, calando l’esame di comparabilità di cui al punto ii. sopra elencato nel caso del gestore di FIA ivi contemplato, nella risposta n. 628 l’Agenzia delle entrate ha significativamente evidenziato la necessità di verificare la sussistenza delle seguenti condizioni:

  1. la sottoposizione a “vigilanza statale specifica”;
  2. la partecipazione al fondo da parte di più investitori che abbiano diritto ai benefici o sopportino il rischio connesso alla relativa gestione;
  3. la circostanza per cui il rendimento dell’investimento nel fondo deve dipendere esclusivamente dai risultati della gestione dello stesso (cfr. paragrafi 51 e 52, della sentenza C-595/13, Fiscale Eenheid).

Sulla scorta di quanto sopra, l’Amministrazione finanziaria ha affermato il principio per cui, al ricorrere delle sopra elencate condizioni, “… i fondi di investimento alternativi (FIA) possano beneficiare del regime di esenzione, ai sensi dell’articolo 10, primo comma, n. 1) del d.P.R. n. 633 del 1972, ove sussistano le condizioni declinate dalla CGE” e, conclusivamente, ha affermato la coerenza di tale orientamento rispetto agli obiettivi perseguiti a livello comunitario, “… diretti a garantire la neutralità del sistema comune dell’IVA in ordine alla scelta tra l’investimento diretto in titoli e quello mediante organismi di investimento collettivo”.

Tale favorevole conclusione dell’Amministrazione finanziaria circa l’interpretazione, sotto il profilo soggettivo, dell’art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. n. 633/1972 si aggiunge alla presa di posizione che, anteriormente all’entrata in vigore della Direttiva AIFM ma pur sempre in relazione a tipologie di fondi diversi dagli OICVM (quali, ad esempio, fondi chiusi, fondi immobiliari, ecc.), era stata manifestata nella risoluzione n. 93/E del 17 dicembre 2013[14]. Inoltre, anche la più recente risposta n. 65 del 2019, pur non vertendo direttamente in merito al regime di esenzione di cui all’art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. n. 633/1972 (riguardando, piuttosto, le regole di territorialità applicabili ai servizi resi nei confronti di un FIA immobiliare di tipo chiuso riservato a investitori qualificati), è parsa assumere, almeno implicitamente, l’operatività del regime di esenzione anche nel caso dei FIA[15].

In conclusione, per quanto concerne, invece, il profilo oggettivo di applicazione dell’art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. n. 633/1972, si osserva brevemente come la risposta n. 628 del 2020 abbia altresì confermato che i servizi di “advisory” forniti in outsourcing da parte della società controllata Beta descritti nell’istanza[16] possano qualificarsi come “prestazioni “intrinsecamente connesse” e “complessivamente funzionali alla attività di gestione propria della SGR”, potendo avvalersi del regime di esenzione in parola nella misura in cui i FIA in questione rientrino, secondo i criteri interpretativi espressi dalla giurisprudenza comunitaria di cui sopra, tra i fondi comparabili agli OICVM.

 


[1] L’art. 10, comma 1, n. 1, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 accorda il regime di esenzione da IVA, fra l’altro, alla “… gestione di fondi comuni di investimento e di fondi pensione di cui al D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124”.

[2] La previgente Direttiva 85/611 del 20 dicembre 1985 è stata rifusa nella sopra menzionata Direttiva UCITS.

[3] Cfr. sentenza C-595/13 del 9 dicembre 2015 (Fiscale Eenheid X NV), punto 47; C-424/11 del 7 marzo 2013 (Wheels), punto 23; C-464/12 del 13 marzo 2014 (ATP PensionService A/S), punto 46.

[4] Cfr. sentenze C-595/13, cit., punti 36-37 e punto 47; C-424/11, cit., punto 24; C-464/12, cit., punto 47.

[5] Il Comitato IVA è un organo consultivo costituito ai sensi dell’art. 398 della Direttiva IVA per la formulazione di pareri (non vincolanti) circa l’applicazione delle disposizioni comunitarie in materia di IVA.

[6] Cfr. il Working Paper n° 936 del 9 novembre 2017 del Comitato IVA (document taxud.c.1(2017)6168695), intitolato “Scope of the exemption for the management of special investment funds” nonché le successive Guidelines resulting from the 109th Meeting of 1 December 2017 DOCUMENT B – taxud.c.1(2018)3869725 – 949. Per un commento al contenuto dei predetti documenti del Comitato IVA, sia consentito un rinvio a S. Massarotto e A. Porro, Regime IVA applicabile alla gestione di fondi comuni di investimento alternativi, in Corriere Tributario, n. 10/2019, p. 878 e ss..

[7] Si legge infatti al riguardo nelle conclusioni del predetto Working Paper no. 936 come, per quanto concerne il test di comparabilità, nel caso dei FIA il Comitato IVA ritenga “particolarmente dubbio” che la condizione di cui alla lettera v. sopra menzionata (i.e., che il fondo risulti soggetto alle stesse condizioni di competitività e si rivolga alla stessa cerchia di investitori di un OICVM) possa risultare sempre verificata. Ciò in considerazione del fatto che le condizioni a cui detti fondi possono essere commercializzati nei confronti di investitori retail risultano pur sempre molto restrittive (cfr. pag. 35).

[8] Cfr. punti 51-52 della sentenza C-595/13.

[9] Cfr. punti 53-54 della sentenza C-595/13.

[10] Cfr. sul tema anche il contributo di L. Rossi-G. Ficai, Regime IVA applicabile alla gestione di fondi comuni di investimento alternativi, in Corriere Tributario, n. 45/2014, pag. 3487.

[11] Nel testo della risposta si precisa che, nel caso di specie, si trattava di fondi pensione, imprese di assicurazione e banche.

[12] In base al contratto di advisory stipulato con il gestore Alfa, la società Beta si impegnava a:

  • organizzare incontri con operatori selezionati al fine di generare un adeguato flusso di potenziali operazioni di investimento nelle aree geografiche di interesse;
  • individuare, valutare e strutturare i processi di investimento in potenziali società target e curare la successiva fase di implementazione degli investimenti;
  • individuare, valutare e strutturare eventuali processi di disinvestimento;
  • identificare un elenco di consulenti esterni e di fornitori dei servizi necessari alla specifica strategia di investimento;
  • redigere, per ogni potenziale operazione individuata, un report inclusivo di un business plan e di una relazione di sintesi sulla società target, nonché qualsiasi documento utile a supportare la decisione finale in ordine alla effettuazione/dismissione dell’investimento, assunta in piena autonomia dalla SGR.

[13] Nella risposta n. 628 del 2020 vengono al riguardo richiamate le seguenti sentenze della Corte di Giustizia: sentenza del 28 giugno 2007, causa C-363/05; sentenza del 19 luglio 2012, C-44/11; sentenza del 7 marzo 2013, C-424/11; sentenza del 13 marzo 2014, causa C-464/12 e sentenza del 9 dicembre 2015, causa C-595/13.

[14] Già nella risoluzione n. 93/E del 17 dicembre 2013, infatti, l’Agenzia delle entrate aveva adottato un’interpretazione della nozione di “fondo comune di investimento” che ricomprendeva “tutte le tipologie di fondi (i.e. fondi comuni aperti, fondi di tipo chiuso, fondi immobiliari, ecc.), … a prescindere dall’oggetto dell’investimento degli stessi e dal modello organizzativo adottato”. Si vedano sul punto anche le considerazioni svolte da L. Rossi e G. Ficai, cit..

[15] In tale Risposta, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto di dover “coordinare” le indicazioni fornite in ambito comunitario circa l’interpretazione della nozione di “gestione del portafoglio di investimenti immobiliari” (contenuta nell’art. 31-bis del regolamento n. 282 del 2011 e rilevante ai fini dell’interpretazione della regola di territorialità di cui all’art. 47 della Direttiva IVA[15]) con quelle evidenziate dalla Corte di Giustizia in materia di esenzione da IVA dei servizi di gestione di fondi comuni di investimento (ai sensi dell’attuale art. 135, par. 1, lett. g) della Direttiva IVA).

[16] Cfr. nota 12.

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