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Approfondimenti

L’attuazione delle direttive PIF e DAC 6: l’importanza degli obblighi di natura tributaria

23 Luglio 2020

Paolo Roberto Amendola e Mariagrazia De Luca, Annunziata & Conso

Di cosa si parla in questo articolo

1. Introduzione

L’adempimento degli obblighi compliance richiesti dalle disposizioni dettate in materia tributaria ha assunto negli ultimi anni un’importanza sempre crescente sulla scorta dei nuovi modelli di cooperazione tra fisco e contribuenti, con la consequenziale attenzione alla riduzione dei rischi di natura appunto tributaria e penal-tributaria.

In tale contesto meritano senz’altro di essere analizzati due recenti interventi di origine comunitaria, i quali ben testimoniano la crescente importanza dei meccanismi di cooperazione tra Stati per la prevenzione delle frodi fiscali.

In data 15 luglio 2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il d.lgs. n. 75 del 14 luglio 2020, di attuazione della Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (c.d. Direttiva PIF – Protezione Interessi Finanziari)[1]. Lo scopo principale del decreto, allineato ai principi dettati dalla Direttiva PIF, è quello di armonizzare anche in Italia la disciplina penalistica concernente la repressione di talune condotte fraudolente, ritenute particolarmente gravi, così da conseguire la tutela degli interessi “unionali”, anche ai sensi del diritto civile ed amministrativo ed evitare eventuali incongruenze nei vari settori del diritto.

Nello specifico, il decreto in esame interviene, inter alia, sul catalogo dei reati presupposto – tra cui recentemente sono stati introdotti anche alcuni reati tributari – idonei ad azionare la responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.

Proprio con riferimento ai reati tributari e all’elemento della transnazionalità, peraltro, è attualmente al vaglio del Parlamento italiano lo schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2018/822 del Consiglio del 25 maggio 2018 – recante modifica della Direttiva 2011/16/UE – sullo scambio automatico obbligatorio di informazioni relative a meccanismi transfrontalieri che presentano determinati rischi di elusione o evasione (c.d. Direttiva DAC 6 – Directive on Administrative Cooperation)[2]. Tale ultimo provvedimento si propone di consentire nuove iniziative nel settore della trasparenza fiscale a livello dell’Unione, supportando gli Stati membri nel tentativo di protezione delle basi imponibili nazionali dall’erosione, compito sempre più difficile a causa dell’evoluzione delle strutture di pianificazione fiscale che stanno diventano particolarmente sofisticate e che spesso traggono vantaggio dall’accresciuta mobilità di capitali e persone.

I menzionati decreti, pertanto, proseguono sulla scia di altri interventi di armonizzazione del diritto degli Stati membri, intrecciandosi tra loro in maniera funzionale e completando, così, il corpus normativo posto a tutela degli interessi finanziari dell’Unione. In tale prospettiva, il presente contributo, dopo aver brevemente analizzato le novità proposte da ciascun provvedimento, cerca di cogliere gli aspetti essenziali del legame funzionale delle disposizioni ivi previste.

2. Il Decreto di attuazione della Direttiva PIF

Per comprendere la portata innovatrice del d.lgs n. 75 del 14 luglio 2020 è opportuno analizzare, in via preliminare, la ratio della Direttiva PIF la quale, nel contesto dei precedenti interventi di armonizzazione della politica dell’Unione in materia di tutela degli interessi finanziari della stessa, è racchiusa nel Considerando 3), ove si afferma che “Per garantire l’attuazione della politica dell’Unione in detta materia, è essenziale proseguire nel ravvicinamento del diritto penale degli Stati membri completando, per i tipi di condotte fraudolente più gravi in tale settore, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione ai sensi del diritto amministrativo e del diritto civile, evitando al contempo incongruenze sia all’interno di ciascuna di tali branche che tra di esse”.

In tale ottica, l’intervento normativo del d.lgs. n. 75 del 14 luglio 2020, si focalizza sui reati tributari presupposto per innestare la responsabilità amministrativa degli enti laddove commessi dalle persone fisiche appartenenti all’organizzazione (i.e. soggetti apicali o soggetti sottoposti alla direzione di quest’ultimi), nell’interesse e vantaggio della persona giuridica. Nello specifico, tra le novità principali del decreto rientrano i reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione: (i) in primo luogo, il decreto prevede di punire anche le ipotesi di delitto tentato (e non solo consumato) per i reati tributari che presentano l’elemento della transnazionalità, se l’imposta sul valore aggiunto (IVA) evasa non sia inferiore ad euro 10 milioni[3]; (ii) in secondo luogo, è previsto un ampliamento del catalogo dei reati tributari per i quali è considerata responsabile anche l’ente (ai sensi del d.lgs. 231 dell’8 giugno 2001, n. 231), includendovi ora i delitti di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione e indebita compensazione[4]; (iii) in terzo luogo, il decreto estende la responsabilità degli enti anche ai delitti di frode nelle pubbliche forniture, al reato di frode in agricoltura[5] e al reato di contrabbando, modulando la sanzione a seconda che il reato ecceda o meno la soglia di euro 100.000; (iv) infine, il decreto ha ampliato il panorama dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui possono rispondere gli enti, includendovi il delitto di peculato e quello di abuso d’ufficio.

L’impatto della Direttiva PIF ha tuttavia inciso anche su altri settori del diritto penale, intervenendo su alcune fattispecie di corruzione e nello specifico estendendone l’ambito oggettivo di applicazione anche ai casi in cui siano sottratti denaro o utilità al bilancio dell’Unione o ad altri suoi organismi, con danno superiore ad euro 100.000. In tale ipotesi, è peraltro previsto un aumento della pena massima fino a 4 anni di reclusione, nonché un’estensione della punibilità a titolo di corruzione dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all’Unione europea, laddove i fatti ledono o pongono in pericolo gli interessi finanziari dell’Unione.

Con particolare riferimento alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, inoltre, va evidenziato che il decreto in commento ha sancito il completamento del c.d. “catalogo 231” con specifico riferimento ai reati tributari, la cui originaria introduzione nel corpus normativo dedicato alla responsabilità degli enti risale all’inserimento dell’art. 25-quinquiesdecies nel d.lgs. 231 dell’8 giugno 2001, avvenuto ad opera del d.l. 124/2019, il quale aveva già inserito nel predetto catalogo alcuni reati più gravi[6]. In tale corpus normativo riferito ai reati tributari va peraltro precisato che i delitti di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione e indebita compensazione non erano previsti espressamente nella Direttiva PIF e neppure nel testo dell’Atto di Governo n. 151, relativo allo schema del decreto in commento. Tale circostanza, quindi, suggerisce che il Governo ha inteso andare oltre il dettato comunitario della Direttiva PIF, nel tentativo di inasprire ulteriormente l’apparato sanzionatorio legato ai reati tributari, soprattutto se connotati dall’elemento della transnazionalità, e ciò probabilmente al fine ultimo di contenere la crescente ed ormai consolidata differenza tra gettito teorico e gettito effettivo.

L’obiettivo di intercettare i nuovi schemi transazionali di pianificazione fiscale – spesso pericolosi o comunque aggressivi – emerge con estrema chiarezza volgendo l’attenzione al delitto di dichiarazione infedele, per il quale, ferma restando l’attuale formulazione di cui all’art. 4 del d.lgs. 74 del 2000, si introduce una nuova fattispecie di reato di infedele dichiarazione, sopra anticipata, che comporterà anch’essa un’autonoma responsabilità dell’ente ai sensi del d.l.gs 231/2001 nel caso in cui l’azione o l’omissione siano compiute anche nel territorio di un altro Stato al fine di evadere l’IVA. In termini più generali, peraltro, vale la pena evidenziare – a dimostrazione della connotazione “unionale” dell’imposta sul valore aggiunto – che la rilevanza penale delle condotte afferenti ai delitti, consumati o tentati, in materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA, è subordinata all’esistenza di un danneggiamento delle risorse del bilancio dell’Unione o dei bilanci seguiti da quest’ultima o per suo conto. Anche con riferimento al valore, il danno arrecato viene valutato complessivamente con riferimento agli interessi finanziari sia degli Stati membri interessati, sia dell’Unione stessa.

In ogni caso, resta fermo che alla luce di queste novità, gli enti saranno tenuti a provvedere all’aggiornamento del proprio Modello Organizzativo ex d.lgs. n. 231/2001 includendovi le nuove fattispecie di reato presupposto allo scopo di garantire la piena efficacia del Modello Organizzativo e degli strumenti di presidio dei rischi (i.e. protocolli).

3. Il c.d. “whistleblower” fiscale nella Direttiva DAC 6

In data 31 gennaio 2020 è stato trasmesso alla Presidenza della Camera dei Deputati lo schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva DAC 6, il quale propone di apportare un rilevante elemento di novità nell’ambito della disciplina relativa al c.d. whistleblowing, presagendo un’estensione di tale normativa anche al settore fiscale.

In estrema sintesi, infatti, se nell’ambito della disciplina DAC 6 sono obbligati alla comunicazione, in primis, intermediari e contribuenti, dichiaratamente non viene disdegnata la collaborazione informativa proveniente da “qualunque persona” che sia (o si ritenga) a conoscenza dell’attuazione o realizzazione meccanismi transfrontalieri soggetti a notifica (e non comunicati). Viene allora a delinearsi una nuova figura, potenzialmente riconducibile ad una sorta di whislteblower fiscale il quale, pur non essendo “protetto” dalla relativa disciplina – come invece avviene nel caso dei whistleblower “ordinario” – potrebbe giungere, in seguito all’effettiva approvazione ed applicazione del decreto in commento, a ricoprire un ruolo giuridicamente rilevante ai sensi della l. n. 179 del 30 novembre 2017, recante “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni i reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, contenente, appunto, la disciplina sul whistleblowing.

Sul piano “unionale” tale provvedimento ha evidentemente lo scopo di implementare la collaborazione tra gli Stati membri con riferimento alle informazioni attinenti al settore fiscale, sulla scorta della circostanza che la comune appartenenza alla medesima area giuridico-economica crea senz’altro un’aspettativa, ma soprattutto una certa convenienza, nella reale collaborazione nel perseguimento dell’interesse comune, suggerendo, altresì, la costituzione di procedure idonee a contrastare forme di illecito – nel settore economico e finanziario – che nella pluralità (e diversità) degli ordinamenti degli Stati membri trovano terreno fertile.

Il regime tracciato della Direttiva DAC 6 – e recepito dallo schema di decreto in commento – prevede che gli intermediari obbligati alla comunicazione sono: il (i) “promoter”, cioè colui che è responsabile della progettazione, commercializzazione, organizzazione e complessiva gestione di meccanismi transfrontalieri o li mette a disposizione per l’attuazione da parte di un’altra persona; (ii) “il service provider” (il c.d. attuatore), cioè colui che fornisce qualsiasi aiuto materiale, assistenza o consulenza in materia di sviluppo, organizzazione, gestione e attuazione di tali meccanismi.

Il soggetto destinatario di tutte le menzionate comunicazioni provenienti dagli intermediari obbligati e veicolodi dette informazioni alle Autorità fiscali competenti degli Stati membri è l’Agenzia delle Entrate per mezzo del Sistema di Interscambio (SID). L’Agenzia delle Entrate rappresenta, altresì, l’Autorità competente a ricevere le comunicazioni provenienti delle Autorità fiscali degli altri Stati membri.

Tanto premesso, è tuttavia opportuno segnalare che nel corso della seduta del 19 giugno 2020 il Parlamento europeo ha approvato la direttiva del Consiglio dell’Unione sulla proposta di modifica della Direttiva 2011/16/Ue avanzata dalla Commissione europea, per il rinvio dei termini per la comunicazione e lo scambio di informazioni nel settore fiscale a causa della pandemia di Covid-19. L’esigenza di posticipare la scadenza degli obblighi di reporting e di scambio di informazioni nasce dalle problematiche causate dalla pandemia in corso che, specie per via delle misure restrittive, hanno inciso sulla normale operatività delle istituzioni finanziarie e delle persone tenute a comunicare le informazioni, con conseguente impatto negativo sulla capacità delle amministrazioni fiscali di raccogliere e trattare i dati[7].

Nello specifico, si segnalano le modifiche contenute nella proposta della Commissione europea approvata dal Parlamento europeo: (i) il termine per lo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari relativo al 2019 è stato posticipato fino al 31 dicembre 2020 (il precedente termine era il 30 settembre 2020); (ii) gli intermediari e i contribuenti comunicheranno le informazioni sui meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica, la cui prima fase è stata attuata tra il 25 giugno 2018 e il 30 giugno 2020, entro il 30 novembre 2020 (invece del 31 agosto 2020); (iii) nell’ipotesi in cui il promoter abbia messo a diposizione per l’attuazione il meccanismo (o il service provider abbia fornito assistenza) nel periodo compreso dal 1° luglio 2020 al 1° ottobre 2020, il termine di 30 giorni per la comunicazione delle informazioni decorre dal 1º ottobre 2020 (invece del 1° luglio 2020); (iv) il primo scambio di informazioni sui meccanismi transfrontalieri avverrà entro il 31 gennaio 2021 (invece del 31 ottobre 2020).

Inoltre, se durante il periodo del rinvio gli Stati membri dovessero adottare nuove misure di confinamento per rischi legati alla salute pubblica, la Commissione potrà prorogare ulteriormente i termini per la comunicazione e lo scambio di informazioni per un massimo di tre mesi.

Ciò nonostante, il Consiglio dell’Unione ha comunque precisato che, nonostante l’eccezionalità della situazione, lo slittamento del calendario dovrebbe avere una durata limitata e soprattutto proporzionale alle difficoltà connesse all’emergenza, ciò al fine di non depotenziare eccessivamente gli sforzi delle Amministrazioni finanziarie degli Stati membri nella lotta contro l’elusione e l’evasione fiscale.

Resta fermo che la proroga dei termini ha concesso a intermediari finanziari e professionisti più di tempo per organizzare le procedure interne utili per individuare le operazioni suscettibili di comunicazione e, soprattutto, i casi in cui l’intermediario ha un effettivo obbligo di comunicazione, tenuto anche conto dei casi in cui il meccanismo transfrontaliero coinvolga più di un intermediario.

4. Considerazioni conclusive

Alla luce di tutto quanto sopra, pare possibile ritenere che le nuove fattispecie di reati tributari introdotte dalla Direttiva PIF e, soprattutto, dal d.lgs. n. 75 del 14 luglio 2020 (il quale, si ricorda, introduce nell’ordinamento italiano reati tributari non previsti dalla direttiva stessa) ben si coordinano con le disposizioni proposte dallo schema di decreto di attuazione della Direttiva DAC 6.

La previsione di meccanismi automatici di scambio di informazioni nel settore fiscale – che vanno ad integrare quelli già esistenti[8] – e la potenziale nascita della figura del c.d. whistleblower “fiscale”, unitamente all’ampliamento delle fattispecie tributarie penalmente rilevanti per le società e gli enti – focalizzate sull’elemento della transnazionalità – consente un notevole incremento dei livelli di trasparenza dei meccanismi di pianificazione fiscale particolarmente aggressivi producendo, di conseguenza, un rilevante potenziamento delle capacità delle Amministrazioni finanziarie degli Stati membri di intercettare, e se del caso sanzionare, schemi fiscali elusivi.

In tale contesto, all’interno degli intermediari finanziari – e più in generale delle società e degli enti – sta assumendo sempre maggior importanza la compliance fiscale e con essa i presidi interni di monitoraggio circa il corretto espletamento degli obblighi di comunicazione richiesti.

 


[1] Il testo definitivo del Decreto, così come pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 15 luglio 2020 è disponibile al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/stampa/serie_generale/originario.

[2] Il testo dello schema di decreto è disponibile al seguente link: http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?file=0152.pdf&leg=XVIII#pagemode=none

[3] Si tratta dei delitti di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D.lgs. 74/2000, cioè la falsa fatturazione, la frode fiscale mediante altri artifici e l’infedele dichiarazione, quando gli atti diretti a commettere tali delitti sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione Europea.

[4] In proposito, occorre segnalare che tali ultime categorie di reati non erano previsti espressamente nella Direttiva PIF e neppure nel testo dell’Atto di Governo n. 151, relativo allo schema del decreto.

[5] Cfr. art. 2 della legge n. 898 del 1986.

[6] Nello specifico, con l’inserimento dell’art. 25-quinquiesdecies nel d.lgs. 231/2001 era stata prevista la possibilità di riconoscere la responsabilità “para-penale” di una persona giuridica a seguito della commissione di uno dei seguenti reati; (i) dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del d.lgs. 74/2000; (ii) dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 del d.lgs. 74/2000); (iii) emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 del d.lgs. 74/2000); (iv) occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 del d.lgs. 74/2000); (v) sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 del d.lgs. 74/2000).

[7] In proposito, si aggiunga che alcuni Stati membri, hanno chiesto il rinvio dei termini previsti dalla disciplina sullo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari di cui alla Direttiva 2014/107/Ue (DAC 2) e sui meccanismi (schemi, accordi o progetti) transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica previsti dalla Direttiva n. 2018/822 del Consiglio (DAC 6).

[8]Si pensi, infatti, a Decreto del 6 agosto 2015 di attuazione della legge 18 giugno 2015, n. 95, di ratifica dell’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo degli Stati Uniti D’America finalizzato a migliorare la compliance fiscale internazionale e ad applicare la normativa FATCA e al Decreto del 28 dicembre 2015 di attuazione della legge 18 giugno 2015, n. 95 e della direttiva 2014/107/UE del Consiglio, del 9 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.

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