In caso frode informatica c.d. phishing, la prova che l’ordine provenga (apparentemente) dal cliente, attraverso l’utilizzo dei codici da quest’ultimo conosciuti, non è circostanza sufficiente ad addebitare al cliente una responsabilità per la negligente conservazione dei codici stessi. Tale dato di fatto non può essere considerato alla stregua di una prova definitiva dell’inadempimento del cliente, essendo noto che l’uso dei codici personali da parte di terzi sia un evento compatibile con una pluralità di accadimenti che, spesso, non implicano l’inadempimento degli obblighi di custodia.