Non v’è dubbio che alle operazioni bancarie in conto corrente si applica il principio contenuto nell’art. 1829 c.c., richiamato dal successivo art. 1857 c.c., secondo cui l’accreditamento, sul conto corrente del cliente, dell’importo di un assegno trasferito alla banca per l’incasso deve ritenersi sempre effettuato salvo incasso (o salvo buon fine, o con riserva di verifica). E altrettanto vero è che il versamento di un assegno su un conto corrente bancario non ne trasferisce alla banca la proprietà, bensì solo la detenzione, funzionale all’adempimento del mandato all’incasso conferitole dal correntista. Tuttavia, il rischio che la clausola "salvo incasso" fa rimanere sul correntista rimettente è il rischio dell’insolvenza del debitore, non certo quello dello smarrimento del titolo, che grava invece sulla banca appunto quale mandataria, tenuta alla custodia. Secondo quanto prevede l’art. 1718 c.c., comma 4, infatti, la banca mandataria per l’incasso, essendo un operatore professionale, assume l’obbligo di custodia anche se non ne abbia specificamente accettato l’incarico. Ne consegue che, stante il generale obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede, grava sul mandatario l’onere di provare di aver eseguito l’incarico con la dovuta diligenza, dando conto della condotta tenuta, con obbligo quindi per la banca quantomeno di allegato che lo smarrimento non fosse a lei imputabile.