L’inadempimento nella gestione del rapporto fiscale da parte dell’intermediario (nell’ambito di un «rapporto di custodia, amministrazione o deposito») non si risolve istantaneamente in un’alterazione della giusta consistenza patrimoniale del cliente stante la circostanza che l’ammontare del credito d’imposta è destinato unicamente, ed entro un intervallo temporale limitato, a essere portato in c.d. «deduzione» nell’ambito di una relazione di dare-avere pur sempre tributaria. La pretesa mala gestio del rapporto tributario corrente tra il cliente e il Fisco è suscettibile di vulnerare la sola deducibilità di un determinato importo (che non sostanzia una risorsa monetaria da poter essere messa a disposizione) e nei limiti di tempo stabiliti, non ad alterare di per sè la consistenza di eventuali giacenze patrimoniali del cliente presso l’intermediario. Il cliente, dunque, soltanto allegando e provando che il preteso inadempimento nell’applicazione dell’imposta sostitutiva gli abbia colpevolmente impedito l’avvalimento della deduzione altrimenti applicabile in una data misura ed entro l’esercizio d’imposta rilevante (cioè, l’avveramento di una serie di condizioni costitutive della possibilità di esigere il credito di imposta mediante deduzione verso il Fisco) potrebbe pretendere verso l’intermediario – e non già nei termini di una mera istanza restitutoria del tantundem (o messa a disposizione ) – il ristoro del depauperamento eventualmente sopportato in misura ingiusta. Su queste basi, le eventuali ragioni fatte valere dal contribuente nei confronti dell’intermediario non tolgono che la sua pretesa al pagamento dell’indebito tributario possa, nei limiti di esercizio dei connessi diritti verso l’Amministrazione finanziaria, esser fatta valere comunque verso quest’ultima, così soltanto realizzandosi quella condotta esigibile dal (preteso) creditore diligente (a norma dell’art. 1227 c.c.).