Il presente contributo è frutto esclusivo delle opinioni personali dell’autore, che non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza.
Deve escludersi che la confisca (ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato) disposta nei confronti della società che ha partecipato alla fusione per incorporazione, si estenda automaticamente alla società incorporante, solo sulla base della regola, fissata in sede civilistica dall’art. 2504 bis, c.c.
Occorre, pertanto, verificare, con riferimento alla fattispecie in esame, se, attraverso la fusione per incorporazione, la società incorporante abbia o meno conseguito un vantaggio o un’altra apprezzabile utilità. Al tempo stesso deve accertarsi se, all’atto della fusione, la società incorporante si trovasse o meno in una condizione di buona fede, vale a dire se conosceva ovvero se era in condizione di conoscere, attraverso l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, che la incorporata si era avvantaggiata in qualche modo del profitto derivante dai reati.
Con la sentenza n. 4064 del 27 ottobre 2015, la Corte di Cassazione, sez. V penale (Presidente: Marasca, Relatore: Guardiano) torna sul tema della estensione della confisca al terzo estraneo al reato ed alla verifica dei presupposti per la sua applicazione.
Nel caso di specie si tratta di un provvedimento (relativo ai delitti di abuso di informazioni privilegiate, omessa comunicazione di conflitti di interesse e manipolazione del mercato) nei confronti di una persona giuridica – ex art. 6, co. 5, D. Lgs. 231/01 – che peraltro aveva incorporato a mezzo di una fusione la società nei confronti della quale era stato inizialmente disposto il sequestro dei beni.
In Appello la Corte competente aveva proceduto alla mera applicazione dell’art. 2504-bis c.c., omettendo di confrontarsi coi principi penalistici applicabili nei confronti del terzo estraneo al reato, titolare di diritti sui beni oggetto di confisca. In merito a tale soggetto dovranno verificarsi i presupposti sia oggettivi (non partecipazione al reato ed assenza di vantaggi o utilità dallo stesso) che soggettivi (buona fede: i.e. “non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato”). L’onere della prova spetta al giudice che dispone il sequestro e che ordina la confisca.
Per la Suprema Corte l’estensione automatica (senza aver valutato i citati presupposti) della confisca disposta nei confronti della società incorporata, alla società incorporante, sulla base meramente dell’art. 2504-bis c.c. è dunque non condivisibile.
Viene dunque cassata con rinvio la sentenza del giudice di appello per consentire una nuova valutazione di merito sull’eventuale conseguimento di un vantaggio o un’altra apprezzabile utilità conseguita dall’incorporante e sulla sussistenza della buona fede di quest’ultima.