Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato l’atto di indirizzo n. 7 del 27 febbraio 2025 con cui fornisce chiarimenti relativamente all’istituto dell’abuso del diritto, disciplinato dall’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), introdotto con D. Lgs. 128/2015.
Nell’abrogato art. 37 bis del D.P.R. 600/1973 l’abuso del diritto veniva identificato con la semplice assenza di valide ragioni economiche extrafiscali nelle operazioni realizzate dal contribuente: si erano considerate abusive alcune operazioni per il solo fatto che il contribuente ne avesse tratto un vantaggio fiscale, senza verificare se il vantaggio fosse indebito in quanto derivante dall’aggiramento di obblighi e divieti previsto dell’ordinamento tributario.
Il MEF, in relazione al nuovo concetto di abuso del diritto di cui all’art. 10 bis, intende quindi fornire indicazioni metodologiche necessarie per un’applicazione della norma che sia coerente con la sua ratio e rispettosa delle scelte negoziali del contribuente, comprese quelle che consentono a quest’ultimo un legittimo risparmio d’imposta.
Infatti, il risparmio d’imposta è legittimo sia quando:
- deriva dalla scelta di un regime opzionale
- deriva da un’operazione alternativa, legittima, ma comportante un diverso e più ridotto carico fiscale.
Il MEF precisa che devono escludersi dal perimetro dell’abuso del diritto, per essere ricondotti nella diversa categoria dell’evasione, non solo tutti i casi di aperta violazione delle norme tributarie, ma anche i casi di simulazione e di frode, che si caratterizzano per una manipolazione della realtà.
In particolare, si precisa che la simulazione identifica la fattispecie in cui il contribuente fa apparire una realtà diversa da quella effettiva o sotto il profilo soggettivo della titolarità del reddito o sotto il profilo oggettivo dell’esistenza del reddito, realizzando così un occultamento del reddito stesso; la frode identifica la fattispecie in cui il presupposto impositivo è occultato attraverso artifizi e raggiri.
L’abuso del diritto si concretizza non nella manipolazione della realtà, ma piuttosto, nell’utilizzo distorto degli strumenti giuridici effettivamente adottati dal contribuente, tradendone però la naturale funzione.
L’art. 10 bis impone in sostanza all’Amministrazione finanziaria la contemporanea presenza nei “fatti, atti e contratti anche tra loro collegati” posti in essere dal contribuente, di tre elementi costitutivi dell’abuso, rappresentati da:
- il conseguimento di vantaggi fiscali “indebiti”:
- sulla nozione di “vantaggi fiscali”: mentre il previgente art. 37-bis D.P.R. 600/1973 conteneva un espresso richiamo a “riduzione di imposte o rimborsi”, l’art. 10 bis non ne fornisce una definizione espressa, perciò, per il MEF, appaiono suscettibili di rientrarvi:
- le riduzioni di imposta o i rimborsi
- i crediti d’imposta
- le maggiori perdite fiscalmente rilevanti
- l’applicazione di regimi d’imposizione sostitutiva
- le deduzioni o detrazioni d’imposta
- i differimenti di imposizione (le situazioni nelle quali il contribuente consegue un vantaggio finanziario, purché si tratti di un rinvio della tassazione sine die o significativamente posticipato, non meramente temporaneo), in ragione del riferimento normativo ai benefici “anche non immediati”
- sulla nozione di vantaggi fiscali “indebiti”: la lett. b) comma 2 dell’art. 10 bis chiarisce che per poter contestare l’abuso del diritto occorre verificare se, pur nel rispetto formale delle norme tributarie, il contribuente abbia costruito il negozio o la sequenza negoziale che hanno condotto all’applicazione del regime fiscale di vantaggio, tradendo le finalità delle norme fiscali o ponendosi in contrasto con i principi dell’ordinamento tributario; il MEF precisa che trattasi di verifiche che, in considerazione della continua evoluzione dell’ordinamento, devono essere sempre effettuate con riguardo alle norme e ai principi operanti al momento della realizzazione dell’operazione, fatta salva l’ipotesi di applicazione di successive norme di natura interpretativa
- sulla nozione di “vantaggi fiscali”: mentre il previgente art. 37-bis D.P.R. 600/1973 conteneva un espresso richiamo a “riduzione di imposte o rimborsi”, l’art. 10 bis non ne fornisce una definizione espressa, perciò, per il MEF, appaiono suscettibili di rientrarvi:
- l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o della sequenza di operazioni effettuate dal contribuente: l’art. 10 bis declina l’assenza di sostanza economica seguendo la via indicata dalla giurisprudenza comunitaria, quale inidoneità dell’atto o della sequenza di atti “a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali“, per cui per il MEF bisogna guardare agli esiti oggettivi dell’operazione, non all’intento soggettivo del contribuente; quel che rileva, ai fini della verifica dell’assenza della sostanza economica, è l’oggettiva inidoneità dell’atto o della sequenza di atti a produrre nella sfera del contribuente effetti di rilievo diversi dai vantaggi fiscali
- l’essenzialità del vantaggio fiscale indebito: sul significato della “non marginalità” dei vantaggi extrafiscali, il MEF ricorda quanto sottolineato dalla relazione illustrativa allo schema di D. Lgs. 128/2015 per cui occorra guardare all’intrinseca valenza di tali ragioni rispetto al compimento dell’operazione di cui si sindaca l’abusività; le valide ragioni economiche extrafiscali non marginali sussistono solo se l’operazione non sarebbe stata posta in essere in loro assenza; pertanto, occorre dimostrare che l’operazione non sarebbe stata compiuta in assenza di tali ragioni.