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Giurisprudenza

Abuso di posizione dominante e garanzie di interoperabilità hi-tech

17 Marzo 2025

Corte di Giustizia UE, 25 febbraio 2025, C-233/23 – Pres. Lenaerts, Rel. Spineanu-Matei

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Giustizia UE, con sentenza del 25 febbraio 2025, resa nella causa C-233/23, si è pronunciata sulla conformità al diritto dell’Unione, in termini di abuso di posizione dominante, del rifiuto, di un’impresa in posizione dominante, di garantire l’interoperabilità della sua piattaforma digitale con un’applicazione di un’altra impresa.

Questi i principi espressi:

  1. L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che il rifiuto, da parte di un’impresa in posizione dominante che ha sviluppato una piattaforma digitale, di garantire, a un’impresa terza che ne ha fatto richiesta, l’interoperabilità di tale piattaforma con un’applicazione sviluppata da detta impresa terza può costituire un abuso di posizione dominante anche qualora detta piattaforma non sia indispensabile per lo sfruttamento commerciale di detta applicazione su un mercato a valle, ma sia idonea a rendere la stessa applicazione più attraente per i consumatori, quando la medesima piattaforma non è stata sviluppata dall’impresa in posizione dominante unicamente ai fini della propria attività.
  2. L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che il fatto che tanto l’impresa che ha sviluppato un’applicazione e chiesto a un’impresa in posizione dominante di garantirne l’interoperabilità con una piattaforma digitale di cui quest’ultima impresa è titolare, quanto concorrenti della prima impresa siano rimasti attivi sul mercato nel quale rientra tale applicazione e vi abbiano sviluppato la loro posizione, sebbene non beneficiassero di una siffatta interoperabilità, non indica, di per sé, che il rifiuto da parte dell’impresa in posizione dominante di dar seguito a tale domanda non fosse idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali. Occorre valutare se tale comportamento dell’impresa in posizione dominante fosse tale da ostacolare il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza sul mercato rilevante, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto pertinenti.
  3. L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, qualora un comportamento consistente, per un’impresa in posizione dominante, nel rifiutare di garantire l’interoperabilità di un’applicazione sviluppata da un’impresa terza con una piattaforma digitale di cui l’impresa in posizione dominante è titolare possa essere qualificato come abuso, ai sensi di tale disposizione, quest’ultima impresa può utilmente invocare, quale giustificazione oggettiva del suo rifiuto, l’inesistenza di un modello che consenta di garantire tale interoperabilità alla data in cui l’impresa terza ha chiesto tale accesso, quando la concessione di una siffatta interoperabilità mediante tale modello comprometterebbe, di per sé e alla luce delle proprietà dell’applicazione per la quale è richiesta l’interoperabilità, l’integrità della piattaforma stessa o la sicurezza del suo utilizzo, o ancora quando sarebbe impossibile per altre ragioni tecniche garantire tale interoperabilità sviluppando detto modello. In caso contrario, l’impresa in posizione dominante è tenuta a sviluppare un siffatto modello, entro un termine ragionevole necessario a tal fine e a fronte, eventualmente, di un corrispettivo economico adeguato, che prenda in considerazione le esigenze dell’impresa terza che ha chiesto tale sviluppo, il costo effettivo di quest’ultimo e il diritto dell’impresa in posizione dominante di trarne un profitto adeguato.
  4. L’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che, per valutare l’esistenza di un abuso consistente in un rifiuto, da parte di un’impresa in posizione dominante, di garantire l’interoperabilità di un’applicazione sviluppata da un’impresa terza con una piattaforma digitale di cui l’impresa in posizione dominante è titolare, un’autorità garante della concorrenza può limitarsi a identificare il mercato a valle sul quale tale rifiuto può produrre effetti anticoncorrenziali, anche se tale mercato a valle è solo potenziale, e tale identificazione non richiede necessariamente una definizione precisa del mercato dei prodotti e del mercato geografico rilevante.

In sostanza, il rifiuto di un’impresa in posizione dominante, che ha sviluppato una piattaforma digitale, di consentire l’accesso a tale piattaforma, rifiutando di garantire l’interoperabilità di quest’ultima con un’applicazione sviluppata da un’impresa terza, può costituire un abuso di posizione dominante, anche qualora la piattaforma non sia indispensabile per lo sfruttamento commerciale dell’applicazione, come nel caso di specie.

Tale abuso si ha altresì, infatti, quando la piattaforma è stata sviluppata nella prospettiva di consentire il suo utilizzo da parte di imprese terze ed è idonea a rendere l’applicazione più attraente per i consumatori, e ciò nonostante, tale utilizzo non venga consentito.

Il diniego di accesso può produrre effetti anticoncorrenziali, infatti anche nel caso in cui l’impresa terza che ha sviluppato l’applicazione e i suoi concorrenti siano rimasti attivi sul mercato nel quale rientra tale applicazione e vi abbiano sviluppato la loro posizione, senza beneficiare dell’interoperabilità con la piattaforma: per la Corte, è sempre necessario valutare in concreto se il rifiuto fosse tale da ostacolare il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza sul mercato rilevante, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto pertinenti.

La Corte ritiene che per valutare l’esistenza di un abuso, un’autorità garante della concorrenza può limitarsi a identificare il mercato a valle sul quale tale rifiuto può produrre effetti anticoncorrenziali, anche se tale mercato a valle è solo potenziale: l’identificazione non richiede necessariamente una definizione precisa del mercato dei prodotti e del mercato geografico rilevante.

Il rifiuto può tuttavia essere giustificato, per la Corte, dall’inesistenza effettiva di un modello per la categoria delle applicazioni interessate, al momento della richiesta di accesso da parte dell’impresa terza, quando la concessione dell’interoperabilità comprometterebbe la sicurezza o l’integrità della piattaforma o quando sarebbe impossibile per altre ragioni tecniche garantire tale interoperabilità.

Negli altri casi, l’impresa dominante è tenuta a sviluppare tale modello, entro un termine ragionevole e a fronte di un corrispettivo economico adeguato.

Nel caso di specie una nota società energetica italiana aveva lanciato in Italia un’applicazione che consentiva ai conducenti di localizzare e prenotare stazioni di ricarica per i loro veicoli elettrici; per facilitare la navigazione verso tali stazioni, l’impresa aveva richiesto ad una altrettanto nota multinazionale dell’hi-tech di rendere l’applicazione compatibile con a piattaforma “Android Auto”: la piattaforma consente infatti solitamente a sviluppatori terzi di adattare le loro applicazioni ad Android Auto, proprio grazie ai template (modelli) forniti dalla multinazionale medesima.

Quest’ultima, tuttavia, aveva rifiutato di intraprendere le azioni necessarie per garantire l’interoperabilità dell’applicazione con Android Auto e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana (AGCM) le aveva inflitto una consistente ammenda, ritenendo che tale comportamento costituisse un abuso di posizione dominante.

La multinazionale aveva impugnato tale decisione dinanzi al Consiglio di Stato italiano, che aveva adito la Corte di giustizia in via pregiudiziale, definendo la questione come sopra precisato.

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