Con ordinanza n. 5529 del 2 marzo 2025, la Corte di Cassazione si pronuncia in materia di accertamenti bancari su conti correnti non intestati al contribuente, ma a terzi, chiarendone i limiti.
In particolare ha stabilito che l’onere della prova sulla disponibilità effettiva di tali conti spetta all’Amministrazione finanziaria.
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato al contribuente, titolare di attività economica, maggiori redditi per l’anno 2010, basandosi sulle movimentazioni riscontrate non solo sui suoi conti correnti, ma anche su quelli di familiari stretti (sorella, cognato e nipoti).
La Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto legittima la ripresa fiscale, affermando che la delega a operare su tali conti giustificava l’imputazione delle operazioni al contribuente.
La Cassazione ha invece accolto il ricorso del contribuente, ribadendo che l’art. 32 del DPR n. 600/1973 consente gli accertamenti bancari sui conti intestati a terzi solo se l’Ufficio dimostra, con elementi concreti, che tali conti siano nella disponibilità di fatto del soggetto verificato.
La semplice intestazione a familiari o la presenza di una delega ad operare non costituiscono, di per sé, prova sufficiente per imputare al contribuente le movimentazioni bancarie.
La Suprema Corte ha richiamato precedenti orientamenti, precisando che l’Amministrazione può avvalersi della presunzione legale di cui all’art. 32 solo dopo aver dimostrato, anche tramite indizi qualificati, che i conti siano effettivamente riconducibili all’attività del contribuente.
Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza della CTR Lazio e rinviato la causa per un nuovo esame, imponendo al giudice di merito di verificare se l’Agenzia abbia fornito prova adeguata sulla reale disponibilità dei conti in capo al contribuente.