Il provvedimento in commento trae origine dal ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Palermo confermava la responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale aggravata commesso in concorso da un fratello e da una sorella, rispettivamente qualificati l’uno come amministratore di diritto e l’altra come amministratrice di fatto della società fallita.
In tale occasione la Suprema Corte ha ribadito che la nozione di amministratore di fatto di cui all’art. 2639 c.c. postula l’esercizio in modo continuativo e significativo di poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione dell’amministratore, dove i concetti di significatività e continuità non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono pur sempre l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.
Pertanto – osserva la Corte – la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce “nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione”. Ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto non occorre, in altri termini, l’esercizio di “tutti” i poteri tipici dell’organo di gestione ma è comunque necessaria una significativa e continua attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico od occasionale.
La Cortedi Cassazione, pertanto, riconoscendo l’effettiva assenza nella specie di dati concreti per delineare la responsabilità gestoria dell’imputata, semplicemente accertata sulla base di una “proprietà transitiva endo-familiare non adeguatamente collegata al quadro probatorio”,conclude rilevando come i Giudici di merito avessero in modo estremamente generico attribuito alla predetta una partecipazione attiva nell’amministrazione della società fallita “senza indicare specifiche e non occasionali attività di gestione e soprattutto senza far leva su specifiche condotte aventi rilevanza esterna, idonee a ingenerare nei terzi il convincimento di un’azione come gestrice della società”.