In tema di accertamento delle imposte, l’Agenzia delle Entrate può riqualificare i contratti sottoscritti dal contribuente e, conseguentemente, applicare un trattamento fiscale meno favorevole rispetto a quello previsto per lo schema negoziale adottato.
Pertanto, nell’ipotesi di una società che dilazioni oltre i termini ordinari la riscossione di crediti commerciali vantati nei confronti di società debitrici, senza richiedere il pagamento di interessi, è legittima la riqualificazione di tale dilazione da parte del Fisco in un vero e proprio contratto di mutuo, che si presume oneroso ex art. 1815 c.c., con conseguente quantificazione di una maggiore imposta dovuta sui proventi positivi maturati.
Nella fattispecie in oggetto, l’Agenzia delle Entrate notificava ad una società per azioni due avvisi di accertamento, rilevanti ai fini IRES, attraverso cui rettificava il reddito imponibile della contribuente per gli anni d’imposta 2004 e 2005.
Infatti, l’Ufficio rilevava che la contribuente aveva esposto nei bilanci di esercizio ingenti crediti di natura commerciale, derivanti da contratti di appalto per la costruzione di unità abitative, nei confronti di cinque società debitrici, di cui era amministratore il titolare del 95% del capitale sociale della stessa contribuente.
In particolare, l’Agenzia riteneva che le dilazioni accordate dalla S.p.A. per i pagamenti dei crediti in questione eccedessero i termini ordinari, senza che fossero state intraprese, nei confronti delle debitrici, azioni legali finalizzate alla riscossione delle rispettive sorti e degli interessi.
Detto comportamento, peraltro, importante una perdita commerciale per la Società creditrice, era osservato esclusivamente nei confronti delle compagini la cui amministrazione era affidata al socio di maggioranza della contribuente.
Ciò premesso, l’Ufficio riteneva che il rapporto tra la contribuente e le società debitrici dovesse configurarsi come un’operazione di finanziamento a medio-lungo termine, richiamando il principio contabile OIC n. 15, secondo cui il credito commerciale la cui scadenza rappresenta una dilazione di pagamento non usuale nell’ambito del mercato di riferimento, sottintenda un’operazione finanziaria e non deve essere iscritto nell’attivo circolante, bensì nelle immobilizzazioni finanziarie.
Dal momento che dall’esame delle scritture contabili della contribuente, non era stato contabilizzato alcun provento a titolo di interessi maturati sui crediti in esame, né la società aveva effettuato alcuna corrispondente variazione in aumento dell’imponibile in sede di dichiarazione fiscale per gli anni d’imposta accertati, l’Amministrazione finanziaria rettificava l’imponibile della S.p.A., includendovi quali componenti positivi gli interessi attivi maturati con riferimento al capitale finanziato, determinati al saggio legale d’interesse.
La contribuente, pertanto, dopo aver impugnato infruttuosamente l’atto in primo grado, proponeva appello dinanzi alla Commissione regionale, che lo accoglieva.
Successivamente, l’Agenzia delle Entrate decideva di proporre ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentano, per quanto di interesse, motivazione carente da parte della CTR in relazione ad un fatto controverso e decisivo, evidenziando come il giudice di seconde cure si fosse limitato alla mera ed insufficiente menzione di una parte del principio contabile nazionale OIC n. 19, secondo cui sussistono ipotesi di debiti a lungo termine che non comportano il pagamento di interessi.
Tale conclusione veniva condivisa dal Collegio di Legittimità adito che, con la pronuncia in questione, accoglieva il ricorso presentato dall’Ufficio.
Nello specifico, secondo il parere della Corte di Cassazione, in tema di accertamento delle imposte, l’Amministrazione finanziaria ha il potere di riqualificare i contratti sottoscritti dal contribuente, ovvero di farne rilevare la simulazione o altri profili di invalidità, quale la nullità per mancanza di causa e, di conseguenza, applicare un trattamento fiscale meno favorevole di quello conseguente agli effetti ricollegabili allo schema negoziale impiegato (cfr. Cass. nn. 12249/2010; 1568/2014; 12782/2016).
Pertanto, l’Ufficio qualificava legittimamente la fattispecie della dilazione in termini di operazione di finanziamento a medio-lungo termine, con conseguente applicabilità della disciplina civilistica del mutuo presuntivamente fruttifero.
Di conseguenza, l’Amministrazione ha correttamente ritenuto applicabile all’operazione, l’articolo 45, co. 2 del d.P.R. n. 917/1986, secondo cui per i capitali dati a mutuo, gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto.
Inoltre, se le scadenze non sono stabilite per iscritto, gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta; se la misura non è determinata, gli interessi si computano al saggio legale.
Alla luce di ciò, era da considerarsi legittima la rettifica effettuata dall’Ufficio sull’imponibile della contribuente, con inclusione dei redditi consistenti negli interessi attivi maturati in relazione al capitale finanziato e al saggio legale d’interesse.
Inoltre, i giudici di legittimità ritenevano che la Commissione regionale avesse motivato prescindendo dai fatti in questione.
In particolare, la descrizione del contenuto del principio contabile n. 19 – contrapposto all’invocazione di quello n. 15 da parte dell’Amministrazione – non era stata correlata in alcun modo dal giudice d’appello alla fattispecie concreta, tanto che l’ipotesi del debito a lungo termine privo di accessori era rimasta un’astratta enunciazione.
Il principio OIC n. 19, peraltro, specularmente, relativamente alla posizione del debitore, a quanto affermato dall’OIC n. 15 per il creditore, evidenzia proprio come, nei casi di dilazione di pagamenti per acquisto di beni o servizi, sia da considerarsi, nella quantificazione dei relativi oneri finanziari, un adeguato compenso (in termini di interesse) a beneficio del creditore.
In virtù delle ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso dell’Ufficio, rinviando alla Commissione tributaria regionale, cui demandava di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.