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Attualità

Accesso agli atti nella liquidazione coatta amministrativa

29 Gennaio 2025

Domenico Musso, Counsel, CMS

Giuseppe Boccalone, Senior Associate, CMS

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza i limiti e le condizioni dell’esercizio del diritto di accesso agli atti di una procedura di liquidazione coatta amministrativa alla luce degli ultimi orientamenti della giurisprudenza amministrativa.


Il fatto

Nel caso deciso dal Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza n. 3131 del 5 aprile 2024 (Pres. Montedoro – Est. Ravasio) il ricorrente, creditore chirografario ammesso allo stato passivo di un istituto bancario in liquidazione coatta amministrativa ex art. 80, comma 1 del Testo Unico Bancario[1] – formulava istanza di accesso agli atti della procedura al fine di verificare la sorte del proprio credito e monitorare la correttezza delle operazioni liquidatorie. L’istante, in particolare, chiedeva al Commissario liquidatore di poter visionare oltre agli atti endoprocedimentali (tra cui l’elenco dei creditori, la relazione ex art. 84, comma 4 TUB, le informative periodiche ai creditori, copia dello stato passivo oltre alla stima degli oneri in prededuzione e una situazione aggiornata di cassa etc.) anche le condizioni economiche offerte dall’aggiudicatario di una vendita competitiva avente ad oggetto taluni titoli garantiti da attività in default.

Il Commissario liquidatore rigettava l’istanza di accesso agli atti ed il ricorrente impugnava tale diniego ex art. 116 c.p.a. dinanzi al competente T.A.R. Lombardia – Milano, che con sentenza n. 2655/2023 accoglieva in parte il ricorso proposto dal ricorrente, riconoscendo il diritto di quest’ultimo ad ottenere l’esibizione degli atti direttamente imputabili al Commissario liquidatore, respingeva per il resto il ricorso ritenendo che parte dei documenti fossero stati già comunicati al ricorrente e per la restante parte dichiarati inesistenti dal Commissario liquidatore, costituendo “principio fondamentale in materia di diritto di accesso quello per cui il suo esercizio non può costringere l’Amministrazione a formarne di nuovi, potendosi il rimedio di cui all’art. 25 L. n. 241/90 impiegare esclusivamente al fine di ottenere il rilascio di copie di documenti già formati e in possesso della stessa (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 20.9.19, n. 4520)”. Quanto ai documenti attinenti alla procedura competitiva dei titoli denegava la propria giurisdizione in favore del giudice ordinario, ritenendoli espressivi di attività di diritto privato[2].

La Banca in l.c.a. proponeva quindi appello, impugnando la decisione del T.A.R. Lombardia – Milano per la parte sfavorevole alle proprie ragioni. Pur non avendo preso parte al giudizio di primo grado, la Banca d’Italia interveniva ad adiuvandum nel giudizio dinanzi al Consiglio di Stato per sostenere il gravame dell’appellante.

Con la sentenza n. 3131/2024 in commento, il Consiglio di Stato, esaminava preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum proposto in appello dalla Banca d’Italia, ritenendola stessa fosse infondata in quanto lo stesso non aveva ampliato l’oggetto del giudizio di appello poiché le argomentazioni in esso spese coincidevano con il contenuto di alcune censure avanzate dall’appellante (in particolare concernenti la relazione che il Commissario liquidatore deve trasmettere annualmente alla Banca d’Italia ex art. 84, comma 4, T.U.B.) e poiché, in secondo luogo, Banca d’Italia non avrebbe avuto interesse a partecipare al giudizio di primo grado poiché essa “non era legittimata ad impugnare autonomamente il diniego di accesso opposto da (omissis), il quale tutelava anche i suoi interessi e quindi non aveva idoneità lesiva”, mentre tale interesse della Banca d’Italia sarebbe sorto una volta emessa la sentenza di primo grado, dal momento che questa aveva per l’appunto riconosciuto l’ostensibilità del predetto documento in favore del ricorrente in primo grado[3].

Atteso, quindi, che la lesione dell’interesse della Banca d’Italia era derivata direttamente dalla declaratoria di illegittimità, pronunciata dal giudice di primo grado, del diniego opposto da (omissis) BANCA S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo l’intervento dispiegato dalla Banca d’Italia nel giudizio di appello, dovendo l’interesse dell’interventore in appello ex art. 97 c.p.a., sia ad adiuvandum che ad opponendum, essere dipendente o collegato rispetto a quello dell’appellante o dell’appellato, secondo quanto costantemente affermato in giurisprudenza[4].

Nel merito il Consiglio di Stato ha in primo luogo ritenuto infondata la censura, riproposta in appello dalla banca in l.c.a. e già rigettata in primo grado dal T.A.R. Lombardia – Milano, secondo la quale gli atti di una procedura di liquidazione coatta amministrativa sarebbero in linea generale esclusi dall’ambito applicativo della normativa sul diritto di accesso.

Nel ritenere infondato tale assunto, i giudici di Palazzo Spada ricordano l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “gli atti della procedura di liquidazione coatta amministrativa hanno natura di veri e propri atti amministrativi, e non già di atti aziendali di gestione emessi iure privatorum, in quanto a tali procedure è sotteso il preminente interesse pubblico al mantenimento dell’occupazione, alla tutela dei creditori concorsuali e al risanamento economico dell’impresa, cosicché le operazioni svolte dal commissario liquidatore si estrinsecano con l’adozione di atti che, benché attuati con forme, talvolta, privatistiche, sono strumentali al perseguimento delle menzionate finalità pubbliche e, come tali, costituiscono esercizio di attività amministrativa almeno in senso sostanziale”.

Il Consiglio di Stato ricorda ancora, sul punto, come anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[5] abbiano già da tempo chiarito che gli atti del commissario liquidatore di una procedura di liquidazione coatta amministrativa hanno contenuto autoritativo e sono strumentali alla cura di interessi pubblici, tanto da fondare posizioni di interesse legittimo tutelabili dinanzi al giudice amministrativo[6].

La natura di atti amministrativi riconosciuta in giurisprudenza agli atti posti in essere dal commissario liquidatore, stante l’interesse pubblico sotteso alle procedure di liquidazione coatta amministrativa, determina il loro conseguente assoggettamento alla normativa generale in materia di trasparenza e accesso recata dagli artt. 22 e ss, L. n. 241/1990 e ss.mm.ii.[7].

Accesso agli atti coperti da segreto

Premessa la generale assoggettabilità degli atti di una procedura di liquidazione coatta amministrativa alla normativa sul diritto di accesso, il Consiglio di Stato si è quindi soffermato sulla natura degli atti oggetto dell’istanza del ricorrente, onde accertare se gli stessi fossero o meno coperti da segreto ex art. 7 T.U.B.[8] e, in caso di risposta positiva a tale quesito, se conseguentemente essi fossero totalmente sottratti all’accesso o, al contrario, ostensibili ed a quali limiti e condizioni.

Nella sua analisi il Consiglio di Stato muove da una circostanza dirimente e cioè che l’avvenuta sottoposizione della banca alla procedura di liquidazione coatta amministrativa ha comportato il necessario coinvolgimento della Banca d’Italia, tenuta ad esercitare le proprie funzioni di vigilanza sull’operato dei commissari liquidatori ai sensi e per gli effetti degli artt. 80 e ss. T.U.B.[9].

Ne deriva, secondo i giudici di Palazzo Spada, che deve considerarsi quale atto coperto da segreto ex art. 7 T.U.B. la relazione annuale che il commissario liquidatore è tenuto a trasmettere alla Banca d’Italia in forza di quanto disposto dall’art. 84, c. 4, del medesimo Testo Unico Bancario (e cioè il documento di cui alla lettera d) dell’istanza di accesso a suo tempo presentata dal ricorrente), trattandosi di un documento che, seppur predisposto dal commissario liquidatore, è acquisito dalla Banca d’Italia in ragione delle attività di vigilanza che la stessa è chiamata a svolgere[10].

Ciò non significa tuttavia, ad avviso del Consiglio di Stato, che tale tipologia di atto, a differenza degli altri documenti predisposti nell’ambito di una procedura di liquidazione coatta amministrativa, sia sottratta tout court al diritto di accesso per il solo fatto di essere coperta dal segreto bancario, dovendosi al riguardo considerare la specifica istanza di accesso di volta in volta presentata dall’interessato, onde stabilire se con essa venga fatto valere il diritto di accesso documentale generale o, più specificamente, il cd. diritto di accesso “difensivo” individuato dall’art. 24, comma 7, L. n. 241/1990.

A tale riguardo il Consiglio di Stato ricorda che il predetto art. 24, L. n. 241/1990 pone, ai primi due commi, un divieto generale all’accesso ai documenti che siano coperti da segreto espressamente previsto da norme di legge o regolamento, ma che tale divieto generale è, tuttavia, temperato dal successivo comma 7 secondo cui “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Nella sentenza in commento i giudici di Palazzo Spada rammentano altresì le coordinate ermeneutiche fornite in merito all’istituto in esame dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la nota pronuncia n. 4/2021, secondo cui “in materia di accesso difensivo ai sensi dell’art. 24, comma 7, della l. n. 241 del 1990 si deve escludere che sia sufficiente nell’istanza di accesso un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando, poiché l’ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l’istante intende curare o tutelare”; peraltro “la pubblica amministrazione detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a. non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione detentrice del documento o al giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990”.

Fatte queste premesse, il Consiglio di Stato ha quindi potuto qualificare l’istanza di accesso presentata dal ricorrente come appunto un’istanza di accesso difensivo ex art. 24, comma 7, L. n. 241/1990, considerato che con la stessa il richiedente, creditore della banca per un ingente importo, pur non specificando nel dettaglio quali forme di tutela giurisdizionale intendesse azionare, aveva comunque manifestato l’interessea prendere visione quantomeno di quei documenti che contengono dati precisi sulla composizione dell’attivo e del passivo, i quali dati plausibilmente consentono di valutare in maniera concreta la possibilità che le obbligazioni acquistate dal ricorrente possano essere rimborsate, influenzandone il valore di mercato; tale valutazione è quindi intuitivamente propedeutica all’eventuale decisione di cedere le obbligazioni a terzi; ma è altresì evidente che le informazioni relative all’attivo ed al passivo possono essere utili nell’ambito di un eventuale giudizio di responsabilità che il ricorrente intenda instaurare nei confronti degli ex amministratori, tenuto conto anche della brevissima vita che ha avuto la Banca (omissis). In questo senso è plausibile che gli atti di cui il ricorrente chiede l’ostensione siano pertinenti al fine di della tutela dei di lui interessi, in sede giudiziale e stragiudiziale”.

Ne deriva che, in applicazione dei principi affermati dalla citata decisione n. 4/2021 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, l’ostensibilità o meno del documento di cui alla lettera d) dell’istanza di accesso del ricorrente (e cioè la relazione annuale ex art. 84, c. 4, T.U.B.) non può che derivare dalla valutazione bilanciata dei confliggenti interessi facenti capo, rispettivamente, al richiedente ed ai controinteressati[11], “la quale valutazione, laddove – come nel caso di specie – non vengano in considerazione dati sensibili o giudiziari, deve avere ad oggetto la necessità dei documenti per la cura degli interessi giuridici del richiedente. Trattandosi di un documento coperto da segreto, imposto per legge in collegamento con l’attività di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia, è facile arguire che il legislatore ha inteso proteggere, con il segreto, proprio la suddetta attività di vigilanza e che, conseguentemente, la Banca d’Italia è il soggetto titolare, in via esclusiva, dell’interesse e del potere di disporne; di conseguenza, solo alla Banca d’Italia spetta il potere di effettuare la valutazione comparativa richiesta dall’art. 24, comma 7, della L. n. 241/90. Erra, perciò, il TAR laddove afferma che l’istanza di accesso ai documenti per cui è causa deve essere valutata tenendo presente il fatto che si tratta di un documento proveniente dal Commissario liquidatore, che ne detiene copia: in verità, tale documento, quantunque formato dal Commissario liquidatore, nel momento in cui viene trasmesso alla Banca d’Italia in ossequio a quanto previsto negli artt. 80 e segg. del T.U.B., viene assoggettato al segreto ed entra nella esclusiva disponibilità giuridica di tale istituto, per il corretto esercizio dell’attività di vigilanza”.

Il Consiglio di Stato conclude quindi sul punto affermando che l’istanza del ricorrente era stata erroneamente indirizzata in parte qua al Commissario liquidatore di (omissis) BANCA S.p.A., potendo la stessa essere più correttamente reiterata e ripresentata dall’interessato direttamente alla Banca d’Italia, unico soggetto legittimato ad esprimersi sulla ostensibilità o meno della relazione annuale ex art. 84, c. 4, T.U.B., all’esito del ponderato giudizio comparativo tra i contrapposti interessi richiesto dalla giurisprudenza intervenuta in materia di accesso difensivo.

 

[1] Art. 80, comma 1, del T.U.B.:

Il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia, può disporre con decreto la liquidazione coatta amministrativa delle banche, anche quando ne sia in corso l’amministrazione straordinaria ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie, se ricorrono i presupposti indicati nell’articolo 17 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, ma non quelli di cui all’articolo 20, comma 2, del medesimo decreto per disporre la risoluzione, ovvero quelli indicati nell’articolo 18, paragrafo 1, lettere a) e b), ma non quelli di cui alla lettera c), del regolamento (UE) n. 806/2014”.

[2] Sul punto il T.A.R. Lombardia – Milano così si esprime, ricordando i precedenti giurisprudenziali intervenuti in materia: “In linea generale, osserva il Collegio che gli atti afferenti alle procedure di vendita dei beni che appartengono all’impresa, finalizzati alla realizzazione dell’attivo, rimangono infatti negozi di diritto privato (C.S., Sez. VI 13.3.2018 n. 1594, Cass, Sez. Un., 29.5.17, n.13451), diversamente da quelli imputabili al commissario liquidatore, che costituiscono invece esercizio di attività amministrativa in senso sostanziale (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 4.4.18, n.773). Quest’ultimo riveste infatti la qualità di funzionario temporaneo, sicché i suoi atti, caratterizzati dall’esercizio di un potere autoritativo o strumentale alla cura di sovraordinati interessi pubblici, sono impugnabili dinanzi al giudice amministrativo (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 12.4.16, n. 4330, T.A.R. Umbria, Sez. I, 4.4.16, n. 326, C.S., Sez. VI, 23.9.14, n. 4798).

Conseguentemente, la contestazione del diniego di accesso alla copia integrale delle condizioni economiche offerte dall’aggiudicatario dei titoli garantiti da attività in default emessi da H. SA nell’ambito del programma di emissione JY e generalità di quest’ultimo (lett. a dell’istanza di accesso) esula dalla giurisdizione del g.a., essendo attribuita al giudice ordinario, presso il quale il ricorrente potrà riproporre la propria domanda, entro il termine di cui all’art. 11 c. 2 c.p.a.”.

[3] Sul punto il Consiglio di Stato si esprime in questi termini: “L’appellata sentenza, consentendo l’accesso alla relazione ex art. 84 TUB, che è atto coperto da segreto, lede un interesse della Banca d’Italia, la quale ha quindi un interesse concreto alla riforma di tale decisione”.

[4] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10; Cons. Stato, Ad. Plen., 30 agosto 2018, n. 13; Cons. Stato, Ad. Plen., 4 novembre 2016, n. 23; Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2020, n. 4134; Cons. Stato, Sez. IV, 29 novembre 2017, n. 5596; Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853; Cons. Stato, Sez. V, 2 agosto 2011, n. 4557.

[5] Cass. Civ., SS.UU., 30 ottobre 1992, n. 11848.

[6] Nella sentenza in commento si richiama, infine, il precedente costituito da Cons. Stato, Sez. VI, 23 settembre 2014, n. 4798, secondo cui “la peculiare configurazione sistematica dei Commissari liquidatori nell’ambito della procedura di cui agli articoli 194 e seguenti della legge fallimentare e la consistenza obiettiva dei poteri da questi ultimi esercitati delinea in capo ai relativi destinatari posizioni giuridiche soggettive qualificabili come di interesse legittimo, ragione per cui – in coerente applicazione del generale criterio di riparto di cui all’articolo 103 Cost. – la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa di tali atti non può che essere demandata alla giurisdizione amministrativa”.

[7] Sull’applicabilità, alle procedure di liquidazione coatta amministrativa, della disciplina in materia di accesso agli atti possono ancora vedersi: T.A.R. Emilia-Romagna – Bologna, 30 novembre 2016, n. 976; T.A.R. Lazio – Roma, 11 ottobre 2017, n. 10223, ove si rammenta che “La giurisprudenza ha in varie occasioni affermato la natura amministrativa della procedura di liquidazione coatta amministrativa. È stato infatti affermato in più occasioni, anche da questo Tribunale, che dal punto di vista oggettivo, gli atti adottati nell’ambito di una procedura di liquidazione coatta amministrativa, anche se riferiti ad un soggetto privato, hanno natura di atti amministrativi (e non di atti aziendali di gestione emessi iure privatorum), con la conseguenza che essi sono da ricomprendere a pieno titolo fra gli atti soggetti ai principi di trasparenza e, quindi, anche alla normativa relativa all’accesso di cui alla l. n.241/1990 (cfr. Tar Lazio, III ter, 13.12.2016 n. 12427 v. anche Tar Lazio. n.11929/2016; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, sent. n. 1052 del 2015; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, sent. n. 3973 del 2015; cfr. inoltre Cons. Stato, sez. VI, sent. nn. 3012 del 2013 e n. 3743 del 2015). Le stesse pronunce sopra richiamate confermano che gli atti della procedura di LAC certamente rientrano nella nozione di “documento amministrativo” di cui all’art. 22 c 1, lett. d) l. n. 241/1990 e che la loro ostensione non richiede alcuna attività di “elaborazione di dati”.”

Nella sentenza in commento il Consiglio di Stato ricorda altresì come l’accesso agli atti relativa all’attività degli enti creditizi e alla vigilanza svolta sui medesimi sia stato riconosciuto anche dalla Corte di Giustizia, che, con sentenza resa il 13 settembre 2018 nella causa C-594/16 “ha affermato, con riguardo a una situazione del tutto simile (ovvero diritto di accesso esercitato nei confronti di una banca in liquidazione coatta amministrativa, per l’ostensione di atti coperti da segreto) che l’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/36 “ha inteso consentire all’autorità competente di divulgare alle sole persone direttamente interessate dal fallimento o dalla liquidazione coatta amministrativa dell’ente creditizio informazioni riservate che non riguardino i terzi coinvolti in tentativi di salvataggio di tale ente, ai fini del loro utilizzo nell’ambito di procedimenti civili o commerciali, sotto il controllo dei giudici competenti.”; ha pure precisato la Corte che “non si può dedurre né dal testo dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, della direttiva 2013/36, né dal contesto in cui tale disposizione si colloca, così come nemmeno dagli obiettivi perseguiti dalle norme contenute in detta direttiva in materia di segreto professionale che le informazioni riservate relative a un ente creditizio dichiarato fallito o sottoposto a liquidazione coatta amministrativa possano essere divulgate unicamente nell’ambito di procedimenti civili o commerciali già avviati” e che “i requisiti di buona amministrazione della giustizia sarebbero compromessi se il richiedente si vedesse costretto ad avviare un procedimento civile o commerciale per ottenere l’accesso alle informazioni riservate in possesso delle autorità competenti.”. La Corte ha ancora affermato, nella pronuncia in esame, che “la possibilità di escludere l’obbligo del segreto professionale, ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, terzo comma, di detta direttiva, richiede che la domanda di divulgazione verta su informazioni in merito alle quali il richiedente fornisca indizi precisi e concordanti che lascino plausibilmente supporre che esse risultino pertinenti ai fini di un procedimento civile o commerciale in corso o da avviare, il cui oggetto dev’essere concretamente individuato dal richiedente e al di fuori del quale le informazioni di cui trattasi non possono essere utilizzate. Spetta, in ogni caso, alle autorità e ai giudici competenti effettuare un bilanciamento tra l’interesse del richiedente a disporre delle informazioni di cui trattasi e gli interessi legati al mantenimento della riservatezza delle stesse informazioni coperte dall’obbligo del segreto professionale, prima di procedere alla divulgazione di ciascuna delle informazioni riservate richieste (v., in tal senso, sentenza del 14 febbraio 2008, Varec, C-450/06, EU:C:2008:91, punti 51 e 52 e giurisprudenza ivi citata).”.

[8] Per quanto di interesse ai fini della presente trattazione, si riportano alcune delle disposizioni recate dall’art. 7 del Testo Unico Bancario:

1. Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d’ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, a eccezione del Ministro dell’economia e delle finanze, Presidente del CICR. Il segreto non può essere opposto all’autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini, o i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente. (…)

3. I dipendenti e coloro che a qualunque titolo lavorano o hanno lavorato per la Banca d’Italia, nonché i consulenti e gli esperti dei quali la stessa si avvale o si è avvalsa, sono vincolati dal segreto d’ufficio. (…)

8. La Banca d’Italia può scambiare informazioni con autorità amministrative o giudiziarie nell’ambito di procedimenti di liquidazione o di fallimento, in Italia o all’estero, relativi a banche, succursali di banche italiane all’estero o di banche dell’Unione europea o di Stato terzo in Italia, nonché relativi a soggetti inclusi nell’ambito della vigilanza consolidata. Nei rapporti con le autorità di Stato terzo lo scambio di informazioni avviene con le modalità di cui al comma 7.”.

[9] Il Consiglio di Stato ricorda, a tale riguardo, che nell’ambito delle procedure di liquidazione coatta amministrativa la Banca d’Italia esercita le seguenti funzioni: “provvede a nominare/revocare i commissari liquidatori e i componenti del comitato di sorveglianza, dei quali determina anche la relativa indennità; può impartire a tali soggetti direttive per lo svolgimento della procedura e comunque in ordine alle modalità e ai termini per la predisposizione dell’informativa periodica ai creditori riguardante l’andamento della procedura; autorizza i commissari ad esercitare le opportune azioni civili di responsabilità o a delegare a terzi il compimento di determinati atti; deve essere resa edotta dell’elenco dei creditori ammessi, e degli eventuali titoli di prelazione; può autorizzare i commissari a non procedere all’accertamento dello stato passivo quando non vi sia attivo da distribuire (art. 86); autorizza i commissari a compiere le singole operazioni di liquidazione dell’attivo o a continuare l’esercizio dell’impresa (art. 90); autorizza la ripartizione dell’attivo nonché il deposito del rendiconto finanziario, e del bilancio finale di liquidazione (art. 92)”.

[10] Riconoscendo che la relazione ex art. 84, c. 4, T.U.B. è un atto coperto dal segreto bancario, il Consiglio di Stato supera definitivamente un risalente ed isolato orientamento giurisprudenziale che, al contrario, riteneva che nell’ambito delle procedure di liquidazione coatta amministrativa “gli atti e documenti redatti o acquisiti dalla Banca d’Italia nell’esercizio delle crisi bancarie non sono suscettibili, in via generale, di collocazione nell’astratto modello della attività di vigilanza (che l’art. 7 del D.lvo n. 385 del 1993 T.U.B. assoggetta al segreto d’ufficio) e possono quindi formare oggetto di diritto di accesso” (Cons. Giust. Amm., 17 aprile 1999, n. 143).

[11] In particolare, secondo l’Adunanza Plenaria, tale giudizio valutativo di tipo comparativo deve essere “modulato in ragione del grado di intensità dei contrapposti interessi ed improntato ai tre criteri della necessarietà, dell’indispensabilità e della parità di rango.”.

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