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Accollo dei debiti tributari e indebite compensazioni: misure di contrasto e profili di incompatibilità con il diritto UE

14 Ottobre 2020

Valentino Guarini, Partner, Giorgio Donelli, Senior Associate, Guglielmo Verrone, Senior Associate, PwC TLS

L’art. 1 del D.L. n. 124 del 26 ottobre 2019 ha introdotto il divieto di utilizzare un proprio credito tributario in compensazione di un debito tributario che il medesimo contribuente si sia accollato da altro contribuente.

In caso di violazione del precetto, i pagamenti effettuati si considerano come non avvenuti e l’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di recuperare l’imposta a debito, ritenuta per l’appunto come non versata, irrogando altresì una sanzione amministrativa, sia nei confronti dell’accollante, sia nei confronti dell’accollato.

Con il presente contributo, si intende evidenziare le ragioni che potrebbero determinare un contrasto della disposizione richiamata con il diritto comunitario, in quanto misura sproporzionata rispetto allo scopo che si prefigge di conseguire.

A tale fine, preliminarmente, occorre rilevare lo scopo della norma, e i tratti salienti del principio di proporzionalità.

1. Lo scopo del divieto di compensazione tributaria di un debito accollato

Prima dell’introduzione di tale divieto, alla fine del 2019, la compensazione di un proprio credito con un debito altrui accollato era legittima.

Basandosi sull’art. 8 c. 2 dello Statuto dei Contribuenti, che riconosce e permette l’istituto dell’accollo dei debiti tributari, l’Agenzia delle entrate riteneva validi e non sanzionabili i pagamenti mediante compensazione di un proprio credito con i debiti accollati (cfr. Risoluzione n. 140/E del 2017).

Nella stessa risoluzione, però, l’Agenzia delle entrate specificava che ciò valeva solamente per le operazioni di accollo e successiva compensazione intervenute sino alla data di pubblicazione della medesima risoluzione (15 novembre 2017); ponendo de facto un divieto per le operazioni (di compensazione credito / debito accollato) avvenute dopo la stessa data.

Ciò, in quanto, secondo l’Agenzia delle Entrate, la compensazione tributaria poteva avvenire per le sole posizioni in essere “tra i medesimi soggetti e non tra soggetti diversi” (cfr. Risoluzione cit. pag. 3), in quanto quello della compensazione sarebbe un istituto di natura “eccezionale” per l’assolvimento dei debiti tributari, non suscettibile di applicazione generale alla diversa ipotesi di compensazione di credito con un debito accollato (ossia generatosi in capo ad un diverso soggetto).

Al di là della correttezza o meno di tali motivazioni[1], la giurisprudenza successiva ha accolto l’orientamento restrittivo[2].

Il Legislatore, con la disposizione in esame, ha sancito tale posizione su basi, tuttavia, diverse da quelle pretese dall’Agenzia: il divieto di compensazione dei debiti accollati viene disposto in nome di una generica prevenzione di “comportamenti fraudolenti” (cfr. Relazione illustrativa[3] del D.L. n. 124 del 26 ottobre 2019, in merito all’art. 1).

Preso atto della volontà del legislatore e messe da parte la primeva argomentazione dell’Agenzia delle Entrate, ci si chiede se la disposizione possa essere considerata legittima o meno, nell’ottica del diritto europeo.

Ossia, il divieto di compensazione dei debiti accollati è certamente idoneo a perseguire lo scopo dichiarato (il contrasto alle frodi); tuttavia potrebbe risultare illegittimo nella prospettiva di un sindacato della Corte di Giustizia in tema di “proporzionalità” (intesa nella sua accezione di “congruità del mezzo rispetto al fine”).

2. Il principio di proporzionalità in ambito europeo

Il principio di proporzionalità impone un bilanciamento tra la realizzazione di un interesse pubblico e il sacrificio di quello del privato. In tal senso, i mezzi contemplati da una disposizione legislativi nazionale, devono esseresìidonei a realizzare lo scopo perseguito, ma “senza andare oltre quanto è necessario per raggiungerlo”[4].

Questo principio è codificato nell’art. 5, c. 4, TUE, a mente del quale “In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati”.

Secondo la Corte di Giustizia, esso “rientra fra i principi generali del diritto, la cui osservanza s’impone nell’ambito di qualsiasi struttura fondata sul rispetto della legge. Poiché questi sono riconosciuti da tutti gli Stati membri, il principio di proporzionalità fa parte integrante del trattato CEE[5].

Oggi, quindi, tale principio risulta applicabile rispetto alle misure normative adottate dai singoli Stati membri[6].

In particolare, il controllo di proporzionalità di una normativa interna implica la verifica di tre diversi standard: idoneità, necessarietà, adeguatezza. L’idoneità costituisce la potenziale capacità di perseguire l’obiettivo fissato dalla norma nazionale; la necessarietà viene individuata in ragione della mancanza di un’alternativa rispetto alla scelta normativa fatta dal legislatore nazionale, stante l’assenza di disponibilità di altri strumenti parimenti efficaci per il raggiungimento dell’obiettivo fissato dall’ordinamento nazionale; l’adeguatezza rappresenta l’attività discrezionale volta al bilanciamento dei valori (ossia, un sacrificio idoneo e necessario deve comunque essere ragionevolmente esigibile).

Ne discende che il Legislatore interno non possa imporre, mediante atti normativi, obblighi o restrizioni dei diritti individuali e delle libertà in misura superiore a quanto strettamente necessario per il raggiungimento della finalità pubblica da perseguire, operando a tale fine un confronto tra i vantaggi pubblici e i pregiudizi individuali.

3. La presenza di alternative al divieto di compensazione tributaria di un debito accollato

Nell’ottica di un sindacato sulla proporzionalità, è lecito dubitare che un divieto tout court a procedere alla compensazione dei debiti altrui accollati con un proprio credito, sia la soluzione meno onerosa, tra quelle possibili, per il perseguimento dell’obiettivo in esame.

Innanzitutto, nell’ambito delle compensazioni, l’Amministrazione finanziaria è stata già dotata di una serie di disposizioni atte a prevenire le frodi nell’ambito delle compensazioni.

Un esempio per tutte: l’Agenzia delle entrate ha la facoltà di sospendere l’esecuzione delle deleghe di pagamento “contenenti compensazioni che presentano profili di rischio, al fine del controllo dell’utilizzo del credito”, entro trenta giorni successivi dalla loro presentazione[7]. Tale istituto è stato introdotto proprio allo scopo di contrastare il fenomeno delle indebite compensazioni di crediti d’imposta (come chiarito dal Direttore dell’Agenzia delle entrate nel Provvedimento n. 195385/2018 del 28 agosto 2018).

D’altronde, l’Amministrazione finanziaria è in grado di valutare, ex ante, l’eventuale sussistenza di profili di rischio dei soggetti che procedono alla compensazione, o dei crediti che vengono compensati. Le circolari sugli indirizzi operativi emanate dall’Agenzia delle entrate per la prevenzione e il contrasto dell’evasione, relativamente ai “fenomeni fraudolenti realizzati mediante false compensazioni[8], danno risalto a “ben precise anomalie”, quali la presenza di crediti IVA di importo estremamente rilevante, non giustificato in relazione all’andamento e/o alla tipologia di attività esercitata, ovvero di compensazioni operate da parte di contribuenti il cui specifico profilo fiscale esclude che possano essere beneficiari di tali crediti (cfr. circ. ADE n. 13 del 2009). Sono anomale anche le compensazioni “effettuate da soggetti che presentano sintomatologie di rischio classiche (ad esempio società che non presentano dichiarazione o per le quali la legale rappresentanza e/o l’assetto societario sono riconducibili a persone fisiche coinvolte in precedenti frodi o comunque nullatenenti o con redditi irrisori)” (cfr. circ. n. 13/E del 2009, concetti questi ribaditi nella circ. 25/E del 2013).

Pertanto, nella diversa prospettiva qui avanzata,il divieto di procedere alla compensazione di crediti accollati appare ridondante: se il Legislatore avesse consentito all’accollante la facoltà di estinguere l’obbligazione mediante compensazione, al contempo potenziando gli strumenti già esistenti(inserendo tale operazione tra le tipologie che presentano profili di rischio e, per l’effetto, suscettibili di sospensione da parte dell’amministrazione finanziaria), allora si sarebbe potuto raggiungere lo stesso obiettivo, ma con minor sacrificio del legittimo interesse privato.

A chi scrive appare utile conferma di quanto precede la legittimità di operazioni analoghe a quella in esame, quale la compensazione di crediti ceduti da parte del cessionario (cfr. il caso del c.d. credito Ecobonus, di cui al D.L. n. 63 del 4 giugno 2013; ivi si prevede la possibilità di cedere il credito d’imposta che potrà essere poi usufruito, dal cessionario dello stesso, mediante l’utilizzo in compensazione con i propri debiti tributari, in luogo dell’utilizzo diretto in dichiarazione).

4. La fattispecie di responsabilità oggettiva

Il pagamento di imposte effettuato (dall’accollante) in violazione del precetto in esame si considera come non avvenuto. La legge dispone altresì che l’Agenzia delle entrate può recuperare l’importo del debito sia presso l’accollante sia presso l’accollato.

Tale solidarietà tributaria passiva – espressamente prevista dal co. 4 dell’art. 1, D.L. n. 124/2019 – esiste per il solo fatto, oggettivo, di aver partecipato all’operazione di accollo del debito e successiva compensazione.

Ciò configura di una forma di responsabilità oggettiva; ossia che prescinde da qualsivoglia concreta valutazione delle rispettive posizioni soggettive e oggettive dei contribuenti, ed in particolare dal danno erariale, dalla colpa ovvero dall’intenzione dell’evasione. Non è infatti prevista, nella disposizione in esame, la possibilità di alcuna prova contraria in merito, circa la bontà del credito compensato ovvero circa l’assenza di dolo o colpa.

Eppure, se è vero che la finalità della legge è evitare le frodi, allora, in presenza della prova della bontà del credito – ossia del non ricorrere di un’ipotesi di frode – il recupero del debito presso l’accollante dovrebbe essere escluso.

Non è un caso se tale sistema è di per sé contrario ai precetti della Corte di Giustizia in tema di proporzionalità, a mente della quale “un sistema di responsabilità oggettiva […] andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario[9].

Invero, ancora una volta, la disposizione in esame appare ridondante, poiché, anche in assenza del divieto in esame, l’Amministrazione finanziaria sarebbe ugualmente tutelata.

Si ricorda infatti che, in ragione della stipula di un patto di accollo tributario, il debitore originario non verrebbe liberato dalla propria responsabilità nei confronti del Fisco. Allo stesso tempo, l’accollante assumerebbe a tutti gli effetti il debito fiscale dell’accollato, e diverrebbe, quindi, solidalmente responsabile direttamente nei confronti del Fisco per il debito accollato.

Pertanto, anche qualora il divieto in esame non sussistesse, a seguito del patto di accollo, l’Erario avrebbe pur sempre la facoltà di recuperare gli importi eventualmente dovuti (e.g.: credito utilizzato in compensazione non spettante, ovvero non esistente), sia presso l’accollante, sia presso il debitore originario, in via solidale tra loro.

Tuttavia – e qui sta il discrimine – in tal caso gli operatori economici avrebbero la possibilità di far valere le circostanze concrete dell’operazione posta in essere.

Tornando alla norma in esame, quindi, l’ipotesi di responsabilità oggettiva è lampante. Si pensi ad esempio all’ipotesi in cui l’accollante procede a compensare il debito dell’accollato con un proprio credito esistente e spettante. In tal caso, l’Erario può procedere anche nei confronti di quest’ultimo per recuperare l’intero importo del debito, irrogandogli altresì le relative sanzioni, sebbene siano esclusi sia l’intento fraudolento ovvero semplicemente evasivo da parte dei due operatori (ed in particolare del soggetto accollante), sia a maggior ragione il danno erariale. In tal caso, peraltro, il recupero dell’importo oggetto del debito darebbe persino luogo ad un indebito oggettivo in capo all’Erario, che avrebbe ricevuto due volte lo stesso importo, una prima volta in sede di compensazione, e la seconda in sede di recupero del debito (a meno che l’Erario non proceda a ricostituire il credito utilizzato in compensazione in capo all’accollante).

Come si vedrà subito infra, le ipotesi di responsabilità oggettiva sussistono anche con riferimento ai profili sanzionatori.

4. La sproporzione delle sanzioni

Neppure il comparto sanzionatorio appare scevro da profili di criticità in relazione con i principi di proporzionalità sopra richiamati.

Innanzitutto, le sanzioni sono duplicate, poiché irrogabili, sia nei confronti dell’accollante, pari al 30% del credito utilizzato, se tale credito è esistente (ovvero dal 100% al 200% del credito utilizzato se tale credito è fittizio); sia nei confronti dell’accollato, pari al 30% per cento dell’importo che si considera non versato.

Oltre a ciò, la sanzionabilità può sussistere, anche in questo caso, sulla base di una responsabilità oggettiva, ossia non necessita del ricorrere della condizione soggettiva data dalla volontà di frodare le ragioni erariali, ovvero di un atteggiamento colposo da parte di accollante e/o accollato.

Si è già sopra avuto modo di prospettare che se l’accollante compensasse il debito accollato con un credito di imposta esistente e spettante, non dovrebbe sussistere alcuna sanzionabilità per entrambi i soggetti, vista l’assenza di colpevolezza, ossia l’oggettiva mancanza di una lesione dei diritti erariali.

Si consideri ora il caso, diverso, dell’accollante che procede a compensare il debito accollato con un credito inesistente o non spettante.

È evidente che l’accollante sarebbe responsabile sia per l’imposta sia per le sanzioni, ma ci si chiede quali siano i limiti di responsabilità dell’accollato.

Con riferimento all’imposta, l’accollato rimarrebbe responsabile, poiché il patto di accollo non è per lui liberatorio, ma con riferimento alle sanzioni, sebbene sia presumibile una sua partecipazione nel disegno frodatorio (in fondo, nella prospettiva dell’erario, sarebbe l’accollato il beneficiario di una simile transazione) potrebbe non sussistere alcuna responsabilità, ovvero conoscenza del disegno fraudolento.

La Corte di giustizia ha infatti osservato che un operatore economico in buona fede, che abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere per escludere la propria partecipazione ad una frode non dovrebbe essere responsabile per fatti altrui[10].

Ebbene, come sopra ricordato, l’Agenzia delle entrate, entro trenta giorni successivi dalla loro presentazione, può sospendere l’esecuzione delle deleghe di pagamento “rischiose”, ma decorsi i trenta giorni senza che vi sia stata opposizione da parte dell’Amministrazione, il contribuente si dovrebbe ritenere liberato. La giurisprudenza ha confermato che ciò equivale ad un implicito avallo della parte pubblica, chiarendo che la quietanza dell’avvenuta compensazione svolge “funzione liberatoria del contribuente[11].

Laddove, pertanto, il soggetto accollato avesse ricevuto tale quietanza di pagamento ed avesse conosciuto il positivo decorso del termine di trenta giorni, dovrebbe poter dimostrare la propria legittima aspettativa che l’obbligazione tributaria si fosse estinta.

Tali conclusioni sono peraltro già state condivise dalla giurisprudenza[12], per quanto ovviamente, in epoca antecedente alla disposizione qui esaminata.

I giudici tributari di Milano – prima dell’entrata in vigore del divieto in esame – hanno dichiarato inesigibili le sanzioni irrogate nei confronti dell’accollato, per insussistenza dei presupposti, poiché “considerato che, usando l’ordinaria diligenza, la contribuente difficilmente al momento della presentazione dei modelli F24 poteva immaginare o prevedere che i bilanci e le dichiarazioni fiscali di [società accollante, n.d.r.] che recavano le indicazioni di crediti di imposta fossero falsi”. Pertanto, si è ritenuto che “ascrivere alla ricorrente un comportamento colposo, sotto il profilo della responsabilità soggettiva, per aver confidato in tali risultanze sia contrario ai principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto” e “finirebbe con il configurare, sempre e comunque, una sorta di responsabilità oggettiva, condizionata semplicemente all’accertamento di un comportamento non idoneo e trascurando invece la applicazione del principio generale che tende a personalizzare l’applicazione della sanzione”.

È solo il caso di aggiungere che anche la giurisprudenza penale[13] esclude la punibilità del soggetto accollato in concorso nel reato di indebita compensazione (ex art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 e art. 48, c.p.), laddove l’accollante lo abbia ingannato attraverso una “attività truffaldina basata su documentazione falsa”, poiché il soggetto accollato sarebbe “inconsapevole della fraudolenza”.

5. Conclusioni

Sulla base dell’analisi che precede, si ritiene che l’art. 1, c. 2, del D.L. n. 124/2019 sia potenzialmente suscettibile di critica e censura per violazione del principio di proporzionalità di matrice europea, a mente del quale gli Stati Membri sono obbligati a scegliere, tra le possibili soluzioni atte a raggiungere uno scopo, quella che comporta il minor sacrificio di diritti individuali.

Il generico obiettivo di contrasto alle frodi appare, infatti, utilmente perseguibile con altri strumenti, già esistenti nell’ordinamento e sicuramente meno invasivi di una previsione di responsabilità oggettiva in capo agli operatori economici, senza per questo diminuire le garanzie patrimoniali in capo all’Amministrazione finanziaria.

Da ultimo, non appare ultroneo a chi scrive, svolgere una considerazione di politica fiscale e relativa alle potenzialità dell’istituto dell’accollo di debito in ambito tributario, che, soprattutto in tale periodo di crisi come quello attuale, potrebbe rappresentare per i soggetti con problemi di liquidità un utile strumento di accesso a fonti di finanziamento alternative a quelle tradizionali.

 


[1] La discutibilità di tali ragioni è stata sottolineata da molti autori. In breve, la compensazione non potrebbe definirsi un mezzo di natura eccezionale. La sua disciplina, contenuta nell’art. 17, del D.Lgs. 241/1997, prevede un ambito di applicazione alquanto ampio. Sebbene con alcuni limiti, la norma appena citata elenca i casi in cui è consentita la compensazione, sia da un punto di vista soggettivo, sia da un punto di vista oggettivo, ricomprendendo altresì posizioni di natura non tributaria, quali i debiti previdenziali e assistenziali. Inoltre, appare ancor più criticabile stabilire (come fa l’Agenzia delle entrate nella circ. n. 140/E del 2017) che, nell’ambito della compensazione a seguito dell’accollo, le posizioni di debito e di credito appartengano a soggetti diversi, poiché, con l’accollo, l’accollante diventa a tutti gli effetti debitore del Fisco. Cfr., STEFANO FIORENTINO, Alcune riflessioni su accollo esterno dei debiti tributari e compensazione, in Rivista di Diritto Tributario n. 6 del 2019; NICOLÒ ZANOTTI, Brevi considerazioni in merito alla configurabilità della compensazione tra debiti accollati e crediti tributari, inDiritto e Pratica Tributaria n. 1 del 2019; SUSANNA CANNIZZARO, L’Agenzia delle entrate dice no alla compensazione se si tratta di debito accollato, in Corriere Tributario n. 6 del 2018; FABIO GALLIO, La compensazione dei crediti erariali non può essere effettuata in caso di accollo di un debito altrui, in Il Fisco n. 3 del 2020; RICCARDO SALVATORI e RICCARDO CIMATO, L’agenzia delle entrate nega la compensazione dei crediti con debiti d’imposta accollati, in Il Fisco n. 47 del 2017.

[2] Cfr. C.T.P. Milano n. 2719/2019, e ord. Cass. 29 ottobre 2019 n. 27673.

[3] https://www.camera.it/leg18/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=18&codice=leg.18.pdl.camera.2220.18PDL0080040&back_to=https://www.camera.it/leg18/126?tab=2-e-leg=18-e-idDocumento=2220-e-sede=-e-tipo=

[4] Trib. I gr. UE, 10 giugno 2009, causa T-257/04, Polonia c. Commissione, § 104; in senso conforme CGCE, 18 marzo 1987, causa 56/86, Société pour l’exportation des sucres, §28; Id., 30 giugno 1987, causa 47/86, Roquette Frères, §19).

[5] Cfr. sent. CGCE17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft MBH

[6] Cfr. sent. CGCE 2 settembre 1979, causa 230/78, Eridania, ECLI:EU:C:1979:216, in particolare punto 31: “Il rispetto dei principi generali del diritto comunitario, che si impone a qualsiasi autorità che debba applicare regolamenti comunitari, implica che le autorità competenti a modificare le quote di base sono obbligate a conciliare la tutela degli interessi dei produttori di barbabietole e di canna da zucchero con altri interessi legittimi che potrebbero venir lesi. Infatti, l’art. 39 del Trattato, che fissa gli scopi della politica agricola comune, esprime la volontà non solo di garantire un equo tenore di vita agli agricoltori, ma anche di incrementare la produttività dell’agricoltura, di stabilizzare i mercati, di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e di assicurare prezzi ragionevoli al consumo.”

[7] A mente dell’art. 37, comma 49-ter, del d.l. n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 248 del 2006, inserito dall’art. 1, 990° comma, l. 27 dicembre 2017, n. 205, Legge di bilancio 2018, possono essere sospese, in particolare, le deleghe di pagamento che presentano profili di rischio, utilizzando criteri riferiti: a) alla tipologia dei debiti pagati; b) alla tipologia dei crediti compensati; c) alla coerenza dei dati indicati nel Mod. F24; d) ai dati presenti nell’Anagrafe tributaria o resi disponibili da altri enti pubblici, afferenti ai soggetti indicati nel Mod. F24; e) ad analoghe compensazioni effettuate in precedenza dai soggetti indicati nel Mod. F24; f) al pagamento di debiti iscritti a ruolo, di cui all’art. 31, comma 1, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78.

È in ogni caso previsto che, decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della delega di pagamento, la delega sia eseguita e le compensazioni e i versamenti in essa contenuti siano considerati effettuati alla data stessa della loro effettuazione.

[8] Nelle circolari nn. 20/E del 2010, 21/E del 2011, 25/E del 2013 e 25/E del 2014 si ribadisce che “Per quanto, infine, attiene ai fenomeni di evasione da riscossione mediante indebite compensazioni, nel ribadire che le attività di contrasto mantengono un ruolo strategico, si segnala che in corso d’anno è prevista la implementazione delle segnalazioni relative alle compensazioni “a rischio” effettuate nel periodo dal 2003 al 2007 per il pagamento di imposte, contributi e altre somme dovute mediante l’utilizzo di crediti IVA, IRPEG/IRES, IRAP, IRPEF e addizionali regionale e comunale all’IRPEF”.

[9] Cfr. sent. CGCE11 maggio 2006, causa C-384/04 FTI; nello stesso senso sent. CGUE 6 dicembre 2012, causa C-285/11 Bonik, punto 42.

[10] Sent. CGUE 21 febbraio 2008, causa C-271/08 Netto Supermarket, punto 25; conforme: sent. CGUE del 18 maggio 2017, causa C-624/15, punto 33: “Non è invece compatibile con il regime del diritto a detrazione previsto dalla Direttiva IVA sanzionare, con il diniego di tale diritto, un soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, o che un’altra operazione nell’ambito della catena di fornitura, anteriore o posteriore a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA. Infatti, l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario […]”.

[11] Cass. 24 settembre 2008, n. 36687; nello stesso senso: Cass.10 ottobre 2013, n. 50569 e Cass.21 marzo 2016, n. 18488.

[12] Cfr. CTP Milano n. 7827/9/2016, conf.: CTP Milano, sentenze n. 745/3/2016 (in Rosanna Acierno, Accollo tributario, Problematiche connesse a vecchi accordi e possibile difesa, in Guida ai controlli fiscali n. 2/2019).

[13] Cfr. Cass. Pen., sez. III, sent. n. 55794 del 2017.

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