Il decreto di omologa del concordato fallimentare con terzo assuntore è soggetto ad imposta di registro in misura proporzionale sul valore dei beni dell’attivo fallimentare trasferiti, rimanendo invece escluso da imposizione l’accollo delle passività ai sensi dell’art. 21, co. 3, del d.P.R. n. 131/1986 (“TUR”).
Questo il principio ritraibile dalla consulenza giuridica n. 956-10/2024 dell’Agenzia delle Entrate, fornita su istanza dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Roma, che aveva chiesto di chiarire la tassazione applicabile, ai fini dell’imposta di registro, al decreto di omologa del concordato fallimentare con intervento del terzo assuntore, disciplinato dall’art. 124 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (“Legge Fallimentare”), alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, da ultimo espresso nell’ordinanza n. 31530/2023 della Corte di Cassazione.
Recependo i principi espressi dai Supremi Giudici, l’amministrazione finanziaria ha, così, posto fine al contrasto interpretativo sorto e che traeva origine dalla controversa qualificazione del rapporto tra gli effetti del decreto in parola, in virtù dei quali il terzo assuntore, per un verso, acquisisce la proprietà dei beni facenti parte dell’attivo fallimentare e, per l’altro, assume i debiti della procedura nella misura, appunto, “concordata”, secondo lo schema dell’accollo di cui all’art. 1273 del Codice Civile.
Presupponendo la sussistenza di una “connessione oggettiva” tra l’accollo delle passività e il trasferimento dei beni, infatti, l’Agenzia delle Entrate (vds. Circolare n. 27/E/2012) riteneva il decreto di omologa riconducibile sotto la categoria degli atti contenenti più disposizioni che derivano necessariamente, “per la loro intrinseca natura, le une dalle altre” e, conseguentemente, applicabile allo stesso il tributo “come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa” ai sensi dell’art. 21, co. 2, del TUR.
Con conclusioni opposte, invece, la Corte di Cassazione ha valorizzato la natura “complessa, inscindibile e unitaria” del decreto di omologa nel concordato fallimentare, i cui effetti traggono fonte direttamente dalla legge (e non da “autonome” pattuizioni tra le parti oggetto di accordo negoziale), con obbligo in capo al terzo assuntore, quale condizione essenziale, di ’“accollo” delle passività della procedura ai fini del trasferimento dei beni fallimentari.
Tratti dirimenti che hanno fatto prevalere, nell’opposta tesi dei Giudici di legittimità relativa al caso in esame, l’esenzione da imposizione degli “accolli di debiti ed oneri collegati” previsti nel citato atto, ai sensi della previsione di cui all’art. 21, co. 3, dello stesso TUR.
In definitiva, in forza di tale ultima disposizione normativa, il decreto di omologa di un concordato fallimentare con intervento del terzo assuntore, di cui all’articolo 124 e seguenti della Legge Fallimentare, rimane soggetto all’imposta proporzionale di registro sul valore dei “soli” beni che compongono l’attivo fallimentare oggetto di trasferimento, con applicazione analitica a ciascuno di essi, in base alla relativa natura, dell’imposta di registro prevista nella Tariffa allegato al TUR.
L’Agenzia delle Entrate chiarisce, infine, che analoga disciplina trova attuazione anche nella nuova procedura di concordato nella liquidazione giudiziale di cui agli articoli 240-253 del D. Lgs. n. 14/2019 – cd. “Codice della crisi d’impresa” – considerata la sostanziale equiparabilità di tale istituto al previgente “concordato fallimentare”.