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“Accordo di ristrutturazione” ex art 182 – bis l. fall. e fondi comuni di investimento immobiliari

17 Novembre 2015

Sido Bonfatti, Ordinario di Diritto Commerciale nell’Università di Modena e Reggio Emilia

1. Premessa. I profili innovativi del provvedimento.

Il Tribunale di Milano, con un provvedimento della Seconda Sezione Civile (Presidente Paluchowski, Relatore Macripò) di cui non si conoscono precedenti, caratterizzato da un approccio innovativo al problema della valutazione degli istituti giuridici attualmente disponibili per la risoluzione delle situazioni di “crisi” dei Fondi Comuni di Investimento immobiliari (di tipo chiuso), ha accolto la istanza di sospensione presentata, ai sensi dell’art. 182-bis, comma 6, l.fall., da una SGR, “in qualità di Società di Gestione del Fondo Comune di Investimento immobiliare di tipo chiuso” che presentava una situazione di “crisi”.

La importante novità è rappresentata dalla circostanza che la “istanza di sospensione” – che prelude al deposito di un “Accordo di Ristrutturazione” di cui all’art. 182-bis, comma 1, l.fall.- non è stata presentata dalla SGR con riguardo ai rapporti giuridici intercorrenti con i propri creditori diretti (cioè, si potrebbe dire, “in proprio”), bensì, come detto, “in qualità di Società di Gestione del Fondo…”, cioè con riguardo ai rapporti giuridici posti in essere nell’esercizio dell’attività gestoria di uno specifico Fondo Comune di Investimento Immobiliare di tipo chiuso tra quelli gestiti nell’ambito della propria attività istituzionale.

2. Ammissibilità del ricorso allo “Accordo di Ristrutturazione” da parte della Società di Gestione del Risparmio.

Il ricorso di una SGR all’istituto dello Accordo di Ristrutturazione disciplinato dall’art. 182-bis la fall. pone già di per sé un dubbio interpretativo, dal momento che tale genere di società – come gli altri intermediari bancari e finanziari – non è soggetto alle “procedure concorsuali” di diritto comune (cfr. artt. 80, comma 6, T.U.B. e 57, comma 3, T.U.F.). Il dubbio dovrebbe peraltro essere risolto in senso positivo, dal momento che all’istituto disciplinato dall’art. 182-bis l.fall. non può essere riconosciuta la natura di “procedura concorsuale”: difettano, infatti, della disciplina tipica di tali procedure, alcuni profili essenziali, quali – principalmente – la indisponibilità del patrimonio da parte dell’imprenditore interessato (che può continuare a disporre, con atti – anche di straordinaria amministrazione – sicuramente opponibili ai creditori, quantunque in ipotesi contradditori rispetto agli impegni derivanti con la sottoscrizione dello “Accordo” – con l’unica, eventuale conseguenza della esposizione dello stesso al rischio della risoluzione contrattuale – ); e la mancanza di una versa e propria “cristallizzazione” delle passività “concorsuali” (al punto che ad – esempio – ben potrebbe il creditore anteriore al perfezionamento dello “Accordo” opporre in compensazione all’imprenditore una propria obbligazione sorta in epoca successiva)[1].

Come detto in premessa, peraltro, il problema sottoposto al Tribunale di Milano non era tanto l’ammissibilità della SGR in quanto tale a chiedere (in prospettiva) l’omologazione di un Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis l.fall., quanto – piuttosto – l’utilizzabilità dell’istituto per la composizione della situazione di “crisi” di un Fondo Comune di Investimento immobiliare gestito dalla stessa SGR. Cionondimeno, come si vedrà in appresso, il tema qui considerato non è totalmente privo di interesse anche in questa prospettiva.

3. Ammissibilità del ricorso all’istituto dello “Accordo di Ristrutturazione” ex art. 182-bis l. fall. nell’interesse di un FCI, in conseguenza dell’assoggettabilità dello stesso FCI – in quanto tale – della procedura di Liquidazione Coatta Amministrativa.

L’opinione favorevole ad ammettere la possibilità del ricorso all’istituto dello “Accordo” ex art. 182-bis, l.fall., da parte di una SGR, nell’interesse di un Fondo Comune di Investimento (con specifico riguardo proprio ai Fondi Comuni Immobiliari di tipo chiuso), è stata recentemente espressa dalla dottrina[2] sulla scorta del disposto di diritto positivo rappresentato dall’art. 57, co. 6 bis, d.lgs. n. 58/1998 (“Testo Unico della Finanza”: T.U.F.).

Tale norma, infatti, delinea una Procedura, assimilabile alla Liquidazione Coatta Amministrativa degli Intermediari Finanziari – e tanto più quando sarà integrata dalla modifica, attualmente all’esame del Parlamento nell’ambito delle attività di adeguamento del T.U.F. alla Direttiva Comunitaria 2014/59/UE -[3], che investe esclusivamente il Fondo Comune di Investimento in stato di insolvenza, su istanza – anche – della SGR che lo gestisce.

La norma attesta che una procedura concorsuale può essere disposta nei confronti del FCI, nonostante tale patrimonio non abbia soggettività giuridica: e sulla scorta di tale constatazione si è ritenuto che non sussistano ostacoli ad ipotizzare che tale patrimonio possa costituire oggetto anche di una procedura di composizione della “crisi” come quella delineata dall’art. 182-bis, l.fall. (al punto da fare dichiarare alla dottrina richiamata che è non soltanto “possibile”, una addirittura “doverosa . . . . per gli amministratori della SGR, la decisione in merito alla possibilità e opportunità di ricorrere a quegli strumenti [di composizione negoziale delle crisi: “Piano di risanamento Attestato” ex art. 67, co. 3, lett. d), l. fall. ; e “Accordo di Ristrutturazioneex art. 182 – bis l. fall.], al fine di evitare il ricorso alla procedura di liquidazione giudiziale” del “Fondo” (ai sensi del richiamato art. 57, co. 6 bis, T.U.F.)[4].

4. Ammissibilità dell’Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. avente ad oggetto l’indebitamento di uno (o più) dei “Fondi” gestiti dalla SGR in funzione della composizione della situazione di “crisi” della Società di Gestione.

Il problema preso in considerazione dalla dottrina dianzi citata non si pone soltanto in presenza di una situazione di “crisi” circoscritta ad uno (o più) dei Fondi Comuni di Investimento (immobiliari di tipo chiuso) gestiti da una SGR. Esso si pone anche in relazione all’ipotesi della emersione di una situazione di “crisi” della stessa SGR, allorquando essa sia provocata dalla condizione di “crisi” di un “Fondo” (o di più Fondi).

I ricavi della SGR, infatti, sono costituiti unicamente dalle commissioni percepite per la gestione del “Fondo”, a carico del patrimonio in chè esso consiste: ed in una situazione di insolvenza (o anche di illiquidità) del “Fondo”, è inevitabile rappresentarsi la possibilità che anche la SGR vada incontro a serie difficoltà economiche – tanto allorchè il “Fondo” non abbia oggettivamente le disponibilità liquide per corrispondere alla SGR le commissioni di gestione; quanto nell’ipotesi nella quale le disponibilità sussistano, ma la SGR assuma la determinazione di non utilizzarle per pagare le commissioni di gestione (cioè per auto-soddisfarsi), nella giusta considerazione dei possibili effetti pregiudizievoli di tali pagamenti (oggettivamente) “preferenziali” – .

In tale situazione, considerato che per il ricorso all’istituto della “Istanza di sospensione” di cui all’art. 182-bis, co. 6, l.fall. (e successivamente allo “Accordo di Ristrutturazione ex art. 182-bis, primo comma) sussisterebbero tanto il presupposto soggettivo (soggetto di diritto – la SGR – avente la qualità di “imprenditore”), quanto il presupposto oggettivo (“stato di crisi”), diventa necessario stabilire, in presenza di un soggetto che sia titolare di più patrimoni separati, a quale di tali patrimoni fare riferimento per fare corretta applicazione delle norme che disciplinano l’istituto, con particolare riguardo:

a) ai creditori da prendere in considerazione per verificare la sussistenza del presupposto del “consenso allargato” – tanti aderenti rappresentanti il 60% delle passività-; e

b) alle passività di cui verificare la possibilità del “soddisfacimento integrale”, per consentire allo “Accordo” di produrre gli effetti ad esso attribuiti dalla legge.

Il problema non sarebbe diverso se ci trovasse di fronte allo “stato di crisi” di una società per azioni di diritto comune, la quale fosse titolare di più “patrimoni destinati” costituiti ai sensi dell’art. 2447-bis cod. civ., e la cui “crisi” fosse determinata da uno dei patrimoni di cui è titolare (per esempio, quello originariamente posseduto, al netto delle porzioni di patrimonio costituite in “patrimonio destinato” in un momento successivo, in applicazione della norma richiamata).

La legge consente ad un soggetto giuridico che abbia una determinata forma (quella di S.P.A.) di essere titolare di più patrimoni separati (cfr. il richiamato art. 2447-bis cod. civ.).

Addirittura, la legge prevede che un determinato soggetto giuridico (la Società di Gestione del Risparmio: SGR) sia costituito proprio in funzione della assunzione della titolarità di più patrimoni separati, per provvedere alla loro gestione (individuale ed indipendente).

Nulla consente di concludere che a tali soggetti sia vietato fare ricorso a tutta una serie di istituti giuridici, per il solo fatto che la disciplina di questi sia impostata sulla “regola” della sussistenza in capo ad un soggetto di un unico patrimonio, senza disciplinare espressamente la “eccezione” rappresentata dal soggetto giuridico titolare di più patrimoni separati (ma talora facendolo, e così dimostrando l’accettabilità del fenomeno da un punto di vista giuridico e concettuale: cfr. art. 57, co. 6 bis, T.U.F.). Il problema è piuttosto stabilire come debbano essere applicate, nei casi rappresentati dalle “eccezioni”, le norme pensate per una applicazione alle fattispecie costituenti la “regola”.

Come parrebbe inconcepibile che ad una S.p.A. di diritto comune “in stato di crisi” fosse vietato di fare ricorso all’istituto di cui all’art. 182-bis, co. 2 (e co. 6), l.fall., per il solo fatto di avere (legittimamente) costituito un “patrimonio separato” ai sensi dell’art. 2447-bis cod. civ.; nello stesso modo non appare condividibile l’idea che alla S.p.A. rappresentata da una SGR risulti vietato fare ricorso all’istituto richiamato, in conseguenza del fatto (per lei connaturato alla tipologia dell’attività svolta) di avere costituito un patrimonio separato nell’esercizio dell’attività istituzionale di Società di Gestione del Risparmio.

Il problema che si pone, pertanto, a ben vedere, come detto, non è quello di stabilire se la S.p.A. con “patrimoni destinati” ex art. 2447-bis cod. civ., ovvero la SGR che gestisce i patrimoni separati dei FCI, possa o non possa fare ricorso all’istituto dell’art. 182-bis l.fall.: ma – piuttosto– come le disposizioni che disciplinano l’istituto debbano essere applicate, perché esso possa produrre gli effetti che la legge gli attribuisce.

Pare evidente che la risposta debba essere nel senso che le disposizioni in questione vanno applicate con riguardo ai rapporti giuridici facenti capo al patrimonio separato nel contesto del quale si sono prodotte le difficoltà che determinano lo “stato di crisi” della società (S.p.A. con “patrimoni destinati” o SGR che sia), e sui quali si intende intervenire con il ricorso all’istituto dello “Accordo” .

È evidente infatti che se la S.p.A. che avesse costituito un “patrimonio destinato” versasse in stato di crisi per l’andamento negativo della attività di impresa originaria (cioè diversa da quella, per il cui esercizio è stato costituito il “patrimonio destinato”), dovrebbe coinvolgere nello Accordo di Ristrutturazione esclusivamente i creditori “sociali” (ed i relativi rapporti giuridici), e non dovrebbe coinvolgere i creditori (e i rapporti giuridici) relativi al “patrimonio destinato”[5]: e viceversa.

Nello stesso modo, nel momento in cui lo stato di crisi della SGR sia rappresentato dalle conseguenze delle difficoltà del “Fondo” gestito; e la rimozione della “crisi” debba passare attraverso un intervento sui rapporti giuridici che determinano le difficoltà del “Fondo” – e la cui ristrutturazione può comportare il superamento di tali difficoltà -; è inevitabile dovere concludere che la SGR debba coinvolgere i creditori – e i rapporti giuridici – originati dall’attività di gestione del “Fondo”.

5. Conclusioni.

L’ammissibilità del ricorso da parte di una SGR alle procedure di composizione delle situazioni di “crisi” rappresentate dal “Piano di Risanamento Attestato” (art. 67, co. 3, lett.d), l. fall.) e dallo “Accordo di Ristrutturazione” (art. 182-bis, l. fall.) – ivi compresa la versione rappresentata dallo “Accordo di Ristrutturazione con Intermediari Finanziari” (art. 182-septies l. fall.); nonché il ricorso alla “Convenzione di Moratoria” (art. 182-septies l. fall.) – deve considerarsi acquisita, nell’ipotesi nella quale la Società di Gestione del Risparmio vi sia indotta da una situazione di “crisi” che la investa direttamente.

Nell’ipotesi nella quale la situazione di “crisi” dipenda dai rapporti giuridici instaurati dalla SGR come tale nei confronti dei terzi – per esempio, rapporti derivanti da finanziamenti bancari assunti dalla Società per il sostegno finanziario della propria attività di gestione di Fondo Comuni di Investimento -, sarà nei confronti di costoro che dovrà essere apprestata la “Proposta” di Accordo di Ristrutturazione e predisposto il “Piano” funzionale ad eseguirla (restandovi indifferenti i rapporti giuridici instaurati nell’interesse di questo o quell’altro “Fondo” gestito); mentre laddove la “crisi” della SGR dipenda dalla condizione di difficoltà economico-patrimoniale–finanziaria di uno dei “Fondi” gestiti, e non possa essere rimossa se non attraverso la ristrutturazione dell’indebitamento assunto nell’interesse di quel “Fondo” – in quanto, per esempio, da questa ristrutturazione dipenda l’esigibilità e la riscuotibilità dei crediti della SGR a carico del patrimonio gestito nell’ambito del “Fondo”, a titolo di commissioni di gestione o ad altro titolo (anticipazione di spese per la gestione dei cespiti costituenti il patrimonio gestito nell’ambito del “Fondo”) -, saranno i rapporti giuridici instaurati nell’interesse di quel “Fondo” che dovranno costituire l’oggetto della “Proposta” e del “Piano”.

E lo stesso dovrebbe dirsi –si deve ritenere – allorchè fossero soltanto i rapporti giuridici facenti capo ad uno dei “Fondi” gestiti a richiedere una ristrutturazione complessiva in funzione della prevenzione della dichiarazione giudiziale di insolvenza del “Fondo” prevista dall’art. 57, co. 6 bis, T.U.F. (ipotesi che potremmo definire “crisi del Fondo”, e per la quale non parrebbe coerente escludere l’applicabilità di procedure di composizione della “crisi” del “Fondo” laddove risultano invece applicabili procedure di liquidazione dello stesso “Fondo” ).

Nei primi due casi (“crisi della SGR” per indebitamento diretto; “crisi della SGR” conseguente all’indebitamento di un “Fondo” gestito) è da dubitare che la Società di Gestione del Risparmio possa richiedere l’ammissione al Concordato preventivo, stante il divieto di massima del ricorso alle procedure concorsuali di diritto comune per gli intermediari bancari e finanziari (supra) – e non sia costretta invece a fare ricorso alle misure di “risoluzione” delle crisi previste dalla normativa finanziaria di settore -.

Nel terzo caso la conclusione potrebbe dovere essere diversa, trattandosi di una procedura concorsuale che (benchè necessariamente richiesta da un intermediario finanziario) non investirebbe rapporti giuridici instaurati con “risparmiatori”, o con “investitori” finanziari, o con fruitori di “servizi di investimento”, bensì attività e passività di natura squisitamente commerciale (nei casi dei FCI immobiliari, attività e passività tipiche di una impresa commerciale operante nel settore immobiliare).

 

[1] La esclusione della natura di “procedura concorsuale” dello “Accordo di Ristrutturazione” anche alla luce delle recentissime modifiche legislative è confermata da FABIANI, L’ipertrofica legislazione concorsuale tra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in www.ilcaso.it. In precedenza v. per tutti INZITARI, La disciplina della crisi nel testo Unico Bancario, in Quaderni di Ricerca Giuridca della Banca d’Italia, n. 75, Roma, 2014; e D’AMBROSIO, Accordi di ristrutturazione e transazione fiscale, in G. Fauceglia e L. Panzani(diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, IV, Torino 2009, 1802 ss.

[2] CARRIERE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali di crisi d’impresa, inFallimento, 2014 (6), 617 ss..

[3] Una delle modifiche apportate al T.U.F. in attuazione della Direttiva CEE 2014/59/UE, recentemente introdotte nell’ordinamento nazionale (d. lgs. 16 novembre 2015, n. 181, art. 2), prevede che al comma 6-bis dell’art. 57 sia aggiunto il seguente periodo: “Nel caso in cui il fondo o il comparto sia privo di risorse liquide o queste siano stimate dai liquidatori insufficienti a soddisfare i crediti in prededuzione fino alla fine della liquidazione, i liquidatori pagano, con priorità rispetto a tutti gli altri crediti prededucibili, le spese necessarie per il funzionamento della liquidazione, le indennità e le spese per lo svolgimento dell’incarico dei liquidatori, le spese per l’accertamento del passivo, per la conservazione e il realizzo dell’attivo, per l’esecuzione di riparti e restituzioni e per la chiusura della liquidazione stessa, utilizzando dapprima le risorse liquide eventualmente disponibili della liquidazione, e poi le somme messe a disposizione dalla società di gestione del risparmio che gestisce il fondo o il comparto, somme che restano a carico della società stessa. Non si applica l’articolo 92-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 5 del T.U. bancario; il comma 6 del medesimo articolo si applica nel caso in cui non vi siano prospettive di utile realizzo dei beni del fondo o del comparto”.

[4] In tale occasione si è osservato e ciò sulla base della osservazione, a proposito della possibile obiezione al ricorso a tali istituti rappresentata dalla “mancanza di soggettività in capo al Fondo”, che “una volta individuabile nell’ordinamento – come ora possibile nell’art. 57, comma 6 bis, T.U.F – una specifica procedura concorsuale applicabile al Fondo, il tema può perdere di qualsiasi pregnanza, ben potendosi ritenere comunque parimenti adottabile, con riguardo al profilo del suo presupposto soggettivo, qualsiasi altro strumento “anticipatorio” della crisi ove ci si ritrovasse in presenza dei relativi presupposti oggettivi ……”.

[5] Se la produzione di automobili FERRARI costituisse soltanto l’attività di un “patrimonio destinato” che la società FIAT avesse costituito, “conferendogli” lo stabilimento di Maranello, per la produzione di autovetture di lusso, l’eventuale crisi prodotta dal crollo delle vendite delle “cinquecento” dovrebbe essere affrontata coinvolgendo i rapporti giuridici dei fornitori e delle banche che hanno finanziato la produzione delle utilitarie, non certo i fornitori e le banche che avessero finanziato la produzione delle FERRARI.

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