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Adeguata verifica della clientela: potenziali criticità nelle ultime modifiche alla Legge Antiriciclaggio

19 Ottobre 2012

Dott. Giuseppe Roddi, Docente e consulente di Compliance bancaria – finanziaria, Collaboratore Diritto Bancario

Di cosa si parla in questo articolo

Fra le modifiche recate alla legge antiriciclaggio dal c.d. “secondo correttivo” al d.lgs. 141/101, quella che incide sull’adeguata verifica della clientela, pur con l’evidente proposito di munire un fondamentale istituto di ulteriori accorgimenti volti a completarlo e corroborarlo, rischia in concreto di ledere le fondamenta del sistema antiriciclaggio, introducendo alcune condotte che, nella loro contraddittorietà ai principi di questa disciplina, rischiano di trasformarsi in atti contra legem e conseguenze operative dalla dubbia utilità, se non foriere di danni. Il presente contributo si limita a tracciare un rapido profilo delle principali problematiche che discendono dal citato disposto.

Si tratta, in particolare, del nuovo c. 1 bis dell’art. 23 del d.lgs. 231/072, introdotto dal c. 1 lett. i) dell’art. 18 del d.lgs. 19.9.2012 n. 169, che dispone:

“Nel caso in cui non sia possibile rispettare gli obblighi di adeguata verifica relativamente a rapporti continuativi già in essere, operazioni o prestazioni professionali in corso di realizzazione, gli enti o le persone soggetti al presente decreto restituiscono al cliente i fondi, gli strumenti e le altre disponibilità finanziarie di spettanza, liquidandone il relativo importo tramite bonifico su un conto corrente bancario indicato dal cliente stesso. Il trasferimento dei fondi è accompagnato da un messaggio che indica alla controparte bancaria che le somme sono restituite al cliente per l'impossibilità di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela stabiliti dall'art. 18 c. 1."

Come noto, l’adeguata verifica della clientela costituisce uno dei capisaldi della disciplina antiriciclaggio3. Prima di accendere qualsiasi rapporto continuativo, un’operazione (nel mondo bancario, finanziario, assicurativo e similare) od una prestazione professionale, il soggetto tenuto (la banca, la finanziaria, il professionista) deve identificare il cliente, individuare il titolare effettivo (la legge parla di “eventuale”, anche se questa figura ricorre sempre e va adeguatamente rintracciata, con la collaborazione attiva del cliente e, comunque, a cura e sotto la responsabilità del soggetto tenuto, e identificata), e adeguatamente verificarli. E’ un punto forte, cruciale dell’intera attività bancaria, finanziaria, libero professionistica, prodromico e scriminante rispetto a ciò che viene dopo. La sua ratio appare ben chiara e, diremmo, centrale all’intera materia di prevenzione: pesare il cliente (ed il titolare effettivo), valutandone il rischio riciclaggio che dovrà essere colto, parametrato e vagliato caso per caso alla luce dell’esperienza del soggetto tenuto, sulla base degli elementi soggettivi e oggettivi a sua disposizione, rispettivamente riconducibili al cliente ed alla prestazione negoziale o professionale di cui si tratta.Se si riesce a superare questo adempimento positivamente, si può procedere nella stipula del contratto, nell’effettuazione dell’operazione o nella prestazione professionale. In caso contrario, non si può iniziare, né svolgere nulla di tutto ciò. Semmai si potrà prendere in considerazione l’ipotesi di segnalare l’operazione sospetta4. Condotta quest’ultima del tutto eventuale che non deriva quale mero automatismo della mancata adeguata verifica, ma da un’approfondita e circostanziata disamina di merito su persone, cose, ipotesi e reali condotte operative accuratamente giudicate con sguardo storico e predittivo.

Gli adempimenti dell’istituto dell’adeguata verifica della clientela si completano con il monitoraggio di quanto negozialmente instaurato fra le parti. Una volta attuati con successo gli obblighi iniziali di adeguata verifica e posto in essere (a seconda dei casi) il rapporto continuativo, l’operazione o la prestazione professionale, occorre, infatti, procedere con una serie di altri interventi, il monitoraggio appunto, da realizzare nella pendenza del rapporto, sotto forma di controllo continuativo e duraturo sul cliente e il negozio o la prestazione in essere per l’intero periodo di vigenza.

Il c.1 bis dell’art. 23 affronta e disciplina proprio quest’aspetto. Prendiamo in esame il nuovo disposto normativo, che – pur nel limpido proposito di chiarire e indirizzare – suscita alcune preoccupazioni di natura teorica e pratica.

1. Inquadramento del problema

Durante il monitoraggio -vale a dire effettuata nella fase iniziale con (più o meno) successo l’adeguata verifica della clientela – il soggetto tenuto (banca, intermediario finanziario, assicurativo, professionista, ecc.) si accorge che quest’attività non avvenne correttamente (non fu adeguatamente identificato il cliente, non si individuò o identificò il titolare effettivo, non si procedette in modo adeguato, ecc.), o (il che sembra assai più plausibile in presenza di condotte correttamente adempiute) sono nel frattempo insorte modifiche o altri fattori rilevanti che non si è riusciti a sufficientemente approfondire e comprendere in ordine al cliente, al titolare effettivo, al rapporto continuativo, all’operazione, alla prestazione professionale (è mutata la compagine societaria a causa di trasformazioni, fusioni, varianti significative in capo al cliente e/o al titolare effettivo, ecc.), originando un’”inadeguata” verifica della clientela (sia pure successiva), senza peraltro essere in grado di recare rimedio a questa carenza. Si profila, così, l’obbligo di procedere con gli adempimenti richiesti dal comma citato.

Naturalmente, se si è riusciti ad adeguatamente verificare – perché si tratta di vera e propria nuova adeguata verifica, sia pure a questo punto dell’attività – nulla quaestio. Se ne lascerà dovuta traccia nel fascicolo e, per quanto concerne la registrazione dei dati necessari, nell’archivio unico informatico e si continuerà con il monitoraggio (ove si manifestasse qualcosa di analogo nel periodo che resta, si ripeterà quanto detto).

Invero, ciò che qui interessa è se non si sia potuto (per qualsiasi ragione) effettuare questa successiva e, comunque, ulteriore adeguata verifica. Per meglio inquadrare la tematica, si segnala che, innanzitutto, deve trattarsi di rapporti continuativi, operazioni o prestazioni professionali in corso di realizzazione; inoltre, a queste nuove incombenze – consequenziali rispetto ad un’attività non compiuta o a qualcosa che emerge in un secondo tempo e che non si è riusciti ad assolvere – sono tenuti gli enti o le persone soggette al d.lgs. 231/07, cioè tutti; infine, ove la nuova attività non raggiungesse il suo effetto, occorre compiere una serie di adempimenti informativi nei confronti del cliente (che, fra l’altro, deve comunicare banca e conto corrente presso cui far bonificare gli importi) e della banca beneficiaria indicata da questi.

Non è chi non veda come queste condotte siano, purtroppo, possibile fonte di anomalie e di illeciti.

2. Alcune precisazioni e qualche dubbio

In sintesi estrema, le ipotesi di riferimento sono:

a) non fu effettuata “adeguatamente” (per le più svariate ragioni) la verifica iniziale della clientela e, quindi, in tempo successivo, resosi conto di ciò, il soggetto tenuto cerca di recare rimedio e

b) la verifica fu “adeguata” all’origine, ma dopo sono insorte novità che impongono un intervento ulteriore.

In assenza del disposto in esame e prima dell’introduzione dei relativi dettagli, era già ben chiaro nella normativa antiriciclaggio5 l’obbligo – per il soggetto tenuto – di continuare nell’attività di adeguata verifica in epoca successiva alla stipula, tenendo sotto controllo cliente, rapporto, prestazione ecc.. Si doveva già, in altre parole, effettuare una diuturna, attenta e discreta osservazione della controparte negoziale e dell’attività dedotta. Ed era “ovvio” che – in caso di carenza di dati o di nuovi elementi o di potenziali o reali criticità – il soggetto tenuto avrebbe dovuto reagire in maniera congrua. Non si diceva ancora di rendere il denaro, ecc., ma si prevedeva che aggiornasse e rettificasse i dati e, in ipotesi critiche, eventualmente segnalasse all’UIF il sospetto.

Soffermiamoci sulla condotta che d’ora in poi andrà osservata ed i relativi adempimenti:

  • restituzione al cliente dei fondi, degli strumenti e delle altre disponibilità finanziarie di spettanza
  • liquidazione del relativo importo tramite bonifico su un conto corrente bancario indicato dal cliente stesso
  • trasferimento dei fondi accompagnato da un messaggio che indica alla controparte bancaria che le somme sono restituite al cliente per l'impossibilità di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela ex art. 18 c. 1 del d.lgs. 231/07.

Se procedere ad un’ulteriore adeguata verifica in caso di nuove esigenze insorte si può considerare un canone corretto e degno di apprezzamento, sono alcune sue modalità operative che non riescono del tutto convincenti. Accenniamo, in breve, quali incongruenze possono nascere dal disposto appena entrato in vigore il 17 ottobre scorso.

A – Restituzione di fondi ecc., conto corrente bancario indicato dal cliente ove trasferire i fondi, ecc.: se il cliente fosse davvero un riciclatore, simile contegno gli darebbe una magnifica occasione per collocare altrove, magari in un posto più sicuro per lui, con l’aiuto legittimo, dovuto, del soggetto che dichiara di non averlo potuto adeguatamente verificare, i cespiti illecitamente ottenuti; inoltre, così facendo, si rischierebbe anche di perdere l’opportunità di consentire all’AGO di procedere alla confisca per equivalente di questi stessi cespiti.

B – Informativa preventiva al cliente: prima ancora di procedere alle appena richiamate queste incombenze, il soggetto tenuto avrà reso edotto il cliente dell’esito negativo dell’adeguata verifica e, quindi, del suo conseguente dovere ex lege di restituire i fondi, ecc.. In tal modo si potrebbe aver informato un possibile riciclatore, mettendolo nelle condizioni di prevenire gli interventi dell’autorità di polizia e della magistratura. Inoltre, poiché non riesce infrequente supporre che ne sortisca prima o poi una segnalazione di operazione sospetta6, si potrebbe violare il disposto dell’art. 46 c. 1 del d.lgs. 231/07 che vieta ai soggetti tenuti alle segnalazioni sospette e a chiunque ne sia comunque a conoscenza di dare comunicazione dell'avvenuta segnalazione fuori dai casi previsti dalla legge7. E’ ben vero che non si tratterebbe ancora, in questo stadio, di segnalazione di operazione sospetta, ma il passo per giungere a questa è assai breve e, in certi casi, addirittura scontato.

Infine, paradossalmente, così agendo, non ci si renderebbe forse partecipi di un’attività di riciclaggio, rendendo in ipotesi parimenti, se non complice, parte passiva la banca terza destinataria? Certo, questa è un’illazione eccessiva, sproporzionata, ma non poi così infondata e irrazionale come potrebbe sembrare a prima vista. L’unica esimente sarebbe l’esercizio del diritto, l’obbedienza ad un disposto, buono nei propositi,ma degno senz’altro di essere perfezionato.

3. Un po’ di prassi appena incipiente e qualche speranza

In questi primi giorni di applicazione della norma si è avuto notizia di talune richieste, giustificate in genere dall’esigenza di obbedire alla legge. E’ parsa assai curiosa e discutibile – extra rationem legis, se si può dire – la condotta di qualche intermediario che ha comunicato formalmente ai propri clienti, in presunta ottemperanza al c. 1 bis citato, che se costoro non avessero superato una sorta di nuova adeguata verifica, cui sarebbero stati tosto sottoposti, l’intermediario stesso si sarebbe premurato di chiudere i rispettivi rapporti, mettendo a disposizione i fondi, ecc.. E’ forse un po’ troppo! Ci troviamo di fronte a prese di posizione gravi e fuorvianti, che trovano spiegazione con il contenuto – chiaro, ma incongruo per certi aspetti, come abbiamo cercato di mettere in luce – del c. 1 bis.

Non resta che sperare che il legislatore ponga mano con urgenza, magari preceduto da una comunicazione del Ministero dell’economia e delle finanze o della Banca d’Italia ove si precisi l’esatta portata del disposto dell’art. 23 c. 1 bis del d.lgs. 231/07. Altrimenti, si corre il rischio o di non applicare la norma o, peggio, di alimentare condotte dubbie dalla conseguenze inaccettabili che, nei fatti, si pongono in contrasto con i principi della normativa antiriciclaggio.

Questa, in breve, la situazione, salvo che si rechi pronto e adeguato rimedio, con una provvida e “adeguata” modifica del novello disposto normativo.

 

 

1

D.lgs. 19.9.2012 n. 169, “Ulteriori modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante attuazione della direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo V del testo unico bancario in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi” (G.U. 2.10.12, n. 230), in vigore dal 17.10.12. Il primo correttivo è il d.lgs. 14.12.2010 n. 218, “Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo IV del testo unico bancario (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi”.


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2

D.lgs. 21.11.2007 n. 231, “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”. Salvo diversamente indicato, gli articoli citati senza alcuna altra indicazione si riferiscono a questa fonte normativa.


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3

In materia si attende l’emanazione delle disposizioni di attuazione, preannunciata nello scorso mese di febbraio con la messa in consultazione di un “Provvedimento recante disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela, ai sensi dell’art. 7, comma 2, del Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231.”


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4

L’art. 23 c. 1 dispone che “Quando gli enti o le persone soggetti al presente decreto non sono in grado di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela stabiliti dall'articolo 18, comma 1, lettere a), b) e c), non possono instaurare il rapporto continuativo, né eseguire operazioni o prestazioni professionali ovvero pongono fine al rapporto continuativo o alla prestazione professionale già in essere e valutano se effettuare una segnalazione alla UIF, a norma del Titolo II, Capo III”. Finora la questione non si poneva nel caso del monitoraggio (lett. d) del c. 1 dell’art. 23).

 

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5

L’art. 18 c. 1 lett. d) d.lgs. 231/07, fra gli adempimenti di adeguata verifica della clientela, elenca il monitoraggio, consistente nello “svolgere un controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale”.


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6

L’art. 23 dispone che nei casi di cui ai cc. 1 e 1-bis (quest’ultimo di nostro interesse), prima di effettuare la segnalazione di operazione sospetta alla UIF ai sensi dell’art. 41 e per consentire l'eventuale esercizio del potere di sospensione ex art. 6 c. 7 lett. c), gli enti e le persone tenuti si astengono dall'eseguire le operazioni per le quali sospettano vi sia una relazione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo (c.2); e che nei casi in cui l'astensione non sia possibile in quanto sussiste un obbligo di legge di ricevere l'atto ovvero l'esecuzione dell'operazione per sua natura non possa essere rinviata o l'astensione possa ostacolare le indagini, permane l'obbligo di immediata segnalazione di operazione sospetta (c.3).

 

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7

Per l’art. 55 c.8 d.lgs. 231/07, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi, essendovi tenuto, viola i divieti di comunicazione di cui agli artt. 46, comma 1, e 48, comma 4, è punito con l'arresto da 6 mesi a 1 anno o con l'ammenda da 5.000 a 50.000 euro”.


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