Il 16 luglio 2015 il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato un documento di consultazione recante “General guide to account opening” (il “Documento di Consultazione”) (cfr. contenuti correlati).
Come si può facilmente rilevare, il Documento di Consultazione si propone di costituire una utile guida per gli operatori bancari nella definizione dei processi e delle procedure aziendali da seguire in occasione dell’apertura di rapporti di conto corrente.
Più in particolare, il Documento di Consultazione in esame si inserisce in un complesso coacervo di documenti emanati da autorità sovranazionali[1] tesi, in ultima istanza, a fornire agli operatori del mercato un utile supporto per la concreta identificazione ed attuazione delle previsioni dettate dalla normativa antiriciclaggio.
Il Documento di Consultazione, per sua stessa ammissione, non mira ad alterare in alcun modo il contenuto delle 40 Raccomandazioni ma, piuttosto, si propone di rappresentare un utile allegato al precedente provvedimento del medesimo Comitato di Basilea “Sound Management of risks related to money laundering and financing of terrorism”, contenente a sua volta linee guida “finalizzate ad illustrare come incorporare nella gestione complessiva dei rischi delle banche la gestione dei rischi di riciclaggio del denaro di provenienza illecita e di finanziamento del terrorismo”[2].
In buona sostanza, si tratta dunque di un documento (i) che non deve essere autonomamente considerato e (ii) sul quale gli operatori interessati potranno far pervenire le proprie osservazioni entro il termine del 22 ottobre p.v.
Premesso quanto sopra, ad una prima analisi il Documento di Consultazione consta di una premessa e di due sezioni, dedicate l’una all’identificazione dei clienti persone fisiche e l’altra a quella delle persone giuridiche (comprendendo, in tale ultimo punto, anche gli schemi societari quali trust, fiduciare, fedecommessi).
Muovendo dall’assunto, senz’altro condivisibile, per il quale l’apertura di un rapporto di conto corrente rappresenta, in molti casi, la prima forma di contatto tra l’istituto di credito ed il cliente, viene richiamata l’importanza di ottemperare attentamente agli obblighi di adeguata verifica previsti dalla normativa antiriciclaggio, acquisendo in quella sede tutte le informazioni che consentiranno di censire il cliente associando a questi un apposito profilo di rischio.
Ciò premesso, tuttavia, la lettura del “cuore” del Documento di Consultazione non può non ingenerare talune perplessità all’interprete (quantomeno all’interprete italiano) circa la sua reale portata ed utilità all’interno di un ordinamento nel quale la pressoché totalità delle raccomandazioni / suggerimenti in esso contenute appaiano già seguite dagli operatori, se non anche già contemplate da specifici interventi normativi.
Il Documento di Consultazione fornisce anzitutto alcune indicazioni circa i dati identificativi da acquisire (precisando, ovviamente, che si tratta di una elencazione indicativa e non esaustiva, dalla quale sono peraltro esclusi gli elementi non strettamente connessi a finalità antiriciclaggio, quale ad esempio la firma), in ragione della natura del cliente, ripartendo tali dati in due categorie: quelli la cui acquisizione rappresenta una necessità e quelli, invece, che rappresentano elementi informativi aggiuntivi la cui acquisizione potrebbe essere valutata in ragione del grado di rischio associato a quella tipologia di cliente.
Quanto ai dati appartenenti alla prima categoria questi sono già ricompresi nella nozione di “dati identificativi”, contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. g) del D.lgs. 231/2007, che si appalesa anzi più rigoroso, prevedendo elementi ulteriori (es. codice fiscale, estremi del documento di identificazione). Quanto invece agli elementi informativi aggiuntivi, che potrebbero essere richiesti a seconda del grado di rischio associato al cliente (quali altri nomi utilizzati, es. pseudonimi o nomi precedenti; domicilio; genere; contatti telefonici o fax), il Documento di Consultazione non innova rispetto al Provvedimento Banca d’Italia del 3 aprile 2013, attuativo degli obblighi di adeguata verifica (il “Provvedimento Attuativo”), laddove il potere/dovere di ampliare la profondità di indagine era già stato ampiamente riconosciuto.
Ciò si palesa con particolare chiarezza esaminando in specifico le informazioni necessarie per valutare il profilo di rischio, laddove il Documento di Consultazione richiama, sempre a titolo esemplificativo, la possibilità di richiedere al cliente la natura e la provenienza dei fondi che vengano depositati sul conto nonché la loro destinazione. Ebbene, già il Provvedimento Attuativo esplicitava la possibilità di commisurare il grado di rischio associato al cliente ad ulteriori elementi informativi quali l’origine dei fondi utilizzati nel rapporto, le relazioni d’affari e i rapporti con altri destinatari, le fonti di reddito e patrimoniale, addirittura la situazione lavorativa, economica e patrimoniale di familiari e conviventi[3].
Né un maggior grado di innovazione connota il Documento di Consultazione con riferimento alle attività volte all’identificazione del cliente, sia esso persona fisica o giuridica: la necessità di effettuare verifiche di tipo documentale (es. acquisire documenti di identità non scaduti, visure camerali, documenti ufficiali che attestino il potere di rappresentanza) o non documentale (es. acquisizione di referenze da altri intermediari, da database pubblici o privati ovvero contatto con il cliente tramite c.d. “welcome call” o comunicazioni scritte da restituire controfirmate) è infatti già ben conosciuta dalla prassi invalsa presso gli istituti di credito italiani[4], o quantomeno facilmente riconducibile al buon senso.
In conclusione, si può dunque affermare che il Documento di Consultazione non fornisca agli operatori del mercato bancario e finanziario uno strumento innovativo, realmente utile a rivedere, ridefinire e ridisegnare le proprie policy aziendali: certamente, anche grazie alla sua forma schematica, esso può rappresentare un utile strumento di confronto per valutare se vi siano documenti ulteriori, rispetto a quelli ordinariamente previsti, che possano essere richiesti alla clientela, specie laddove questa presenti potenziali profili di rischio. Tuttavia, è legittimo ritenere che una procedura di adeguata verifica predisposta sulla base del D.Lgs 231/2007 e successivamente aggiornata al fine di tenere conto delle specifiche fornite nel Provvedimento Attuativo, possa già risultare pienamente in linea con le indicazioni fornite dal Comitato di Basilea.
Ferme le osservazioni sopra esposte, la partecipazione alla fase consultiva potrebbe comunque rappresentare un utile momento di confronto: ciò soprattutto laddove le banche partecipanti rappresentassero casi pratici e concreti (si pensi, a titolo esemplificativo, alle difficoltà che sovente si incontrano nel corretto espletamento delle attività di adeguata verifica nei confronti di strutture societarie estere, ancora poco conosciute nel nostro ordinamento, quali gli schemi di investimento del risparmio strutturati in forma di limited partnership o SICAR) rispetto ai quali la posizione espressa dal Comitato di Basilea potrebbe realmente fornire un valore aggiunto utile alla risoluzione di problematiche ricorrenti.
[1] Tra questi si possono senz’altro richiamare i vari provvedimenti del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionali (il “GAFI” o “FATF”, tra i quali in particolare le c.d. “40 Raccomandazioni” (“International Standards on Compabint Money Laundering and the Financing of Terrorism & Proliferation”) approvate il 16 febbraio 2012 nonché le successive pubblicazioni concernenti “Guidance for a risk-based approach the banking sector” e “Transparency and beneficial ownership”.
[2] Così Bandiera e Barilaro, “Le iniziative degli organismi internazionali più importanti attivi nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. Focus sugli sviluppi della normativa AML nell’area MENA. Case study: Giordania”, in Dirittobancario.it, 2014.
[3] Addirittura, a titolo esemplificativo, ai sensi della Parte II, Sezione VI del Provvedimento Attuativo si consente agli operatori di acquisire bilanci, dichiarazioni IVA e dei redditi, documenti e dichiarazioni provenienti dal datore di lavoro o altri soggetti.
[4] Sul punto deve comunque osservarsi come il Documento di Consultazione, aderendo ad una impostazione tipica dei Paesi anglosassoni, menziona tra i documenti da poter acquisire per comprovare la veridicità dell’indirizzo fornito dal cliente anche le bollette relative alle utenze a lui intestate.