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Attualità

Adempimento collaborativo: il decreto correttivo ne rafforza l’appeal

18 Luglio 2024

Luigi Quaratino, Counsel, Legance

Laura Licciardello, Associate, Legance

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema dell’adempimento collaborativo o cooperative compliance, alla luce delle ultime novità del decreto “correttivo”, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso 20 giugno, volte a rafforzare l’attrattività di tale regime.


1. Premessa

Con l’obiettivo di potenziare l’istituto e favorire l’adempimento spontaneo dell’obbligazione tributaria, la Legge delega per la riforma del sistema tributario (Legge 9 agosto 2023, n. 111, la “Legge Delega” o “Delega Fiscale”) e il relativo decreto attuativo (D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 221, il “Decreto Attuativo”) hanno introdotto rilevanti novità al regime di adempimento collaborativo o “cooperative compliance” (il “Regime”).

L’accesso al Regime è stato incentivato attraverso tre principali interventi: l’ampliamento della platea dei contribuenti ammissibili, l’introduzione di nuovi benefici premiali e la semplificazione di taluni aspetti procedurali.

Il giudizio complessivo sulle novità è certamente positivo, in quanto si è cercato di porre rimedio ad alcune delle carenze strutturali dell’impianto originario del Regime di adempimento collaborativo, che, in passato, ne avevano fortemente limitato l’appetibilità.

Tuttavia, sotto taluni aspetti il Decreto Attuativo si è rivelato inadeguato e poco coerente con le previsioni della Legge Delega, inducendo l’esecutivo a varare alcune disposizioni correttive.

È in tale contesto che si inserisce, per l’appunto, il decreto “correttivo” approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 20 giugno 2024 (il “Decreto Correttivo”), con cui il Governo intende introdurre alcune significative e auspicate modifiche alle previsioni del Decreto Attuativo.

2. L’estensione del Regime di adempimento collaborativo ai “gruppi” di imprese

Il Decreto Correttivo si propone di intervenire, anzitutto, sull’ambito soggettivo di applicazione del Regime.

Come noto, la Delega Fiscale ha esteso l’accesso al Regime anche alle società che, pur prive dei requisiti per l’accesso, appartengono a un “gruppo di imprese” nel quale almeno un soggetto possiede i requisiti di ammissibilità e a condizione che il gruppo adotti un sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, gestito in modo unitario per tutte le società del gruppo[1].

In sostanza, a fronte dell’adozione di un tax control framework uniforme per tutto il gruppo, il legislatore delegato ha allargato l’accesso al Regime di adempimento collaborativo alla società istante e alle società (italiane) del gruppo.

Tuttavia, in sede di attuazione, il Decreto Attuativo ha limitato la portata applicativa di questa novità, prevedendo che il Regime di cooperative compliance può essere esteso alle (sole) società che appartengono al medesimo consolidato fiscale nazionale di cui fa parte la società istante, a condizione che questa integri le soglie minime di accesso[2] e che il gruppo adotti un tax control framework integrato[3].

Dunque, il concetto di “gruppo di imprese” previsto dalla Delega Fiscale è stato declinato, in sede di attuazione, in termini di fiscal unit, cosicché l’ampliamento alle società appartenenti al “gruppo” è stato circoscritto alle sole società del gruppo ricomprese nel consolidato fiscale nazionale, di cui fa parte il contribuente istante. In questo contesto, il Decreto Correttivo si propone di “rimediare” all’attuazione eccessivamente restrittiva delle previsioni della Delega Fiscale operata dal Decreto Attuativo, consentendo l’accesso al Regime alle società appartenenti a un “gruppo di imprese”, indipendentemente dall’inclusione delle stesse nel perimetro di consolidamento fiscale.

In particolare, il Decreto Correttivo consente l’accesso ai contribuenti che appartengono a un gruppo di imprese, “inteso quale insieme delle società, delle imprese e degli enti sottoposti a controllo comune ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, numeri 1) e 2) e comma 2 del codice civile”, sempre a condizione che almeno un soggetto del gruppo soddisfi il Requisito Dimensionale e sia adottato un tax control framework unitario a livello di gruppo[4].

La disposizione proposta estende, quindi, l’accesso al Regime di cooperative compliance sulla base di due nuovi parametri di riferimento: il controllo di diritto (inteso come la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria) e il controllo di fatto (inteso come la possibilità di esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria). Tali parametri devono essere valutati anche sulla base dei voti delle società controllate, mentre restano escluse le imprese collegate.

L’estensione in parola merita di essere accolta con favore per molteplici ragioni.

In primo luogo, la gestione trasparente e preventiva del rischio fiscale con il Fisco viene allargata a un numero potenzialmente più ampio di soggetti e slegata dal concetto di consolidato fiscale[5].

In secondo luogo, il concetto di “gruppo di imprese” così delineato è più coerente con un’interpretazione resa dall’Agenzia delle Entrate proprio in merito alla definizione di “gruppo” nell’ambito della cooperative compliance. In tale circostanza, la stessa Agenzia aveva identificato le “società appartenenti al gruppo” con le società inserite nell’area di consolidamento civilistico o comunque soggette a direzione e coordinamento da parte del medesimo soggetto[6].

Nonostante non sia espressamente previsto dalla disposizione in parola del Decreto Correttivo, è ragionevole ritenere che l’accesso alla cooperative compliance di gruppo possa essere consentito anche nell’ipotesi in cui una delle società del gruppo acceda al Regime di adempimento collaborativo attraverso la presentazione di un’istanza di interpello sui nuovi investimenti e dia esecuzione alla risposta dell’Agenzia delle Entrate[7].

3. Il potenziamento dei benefici premiali

Il Decreto Correttivo si propone di dare un forte impulso al Regime di cooperative compliance anche sotto un’altra prospettiva, e cioè attraverso il potenziamento dei benefici premiali.

a. L’ampliamento dello scudo penale

Con un intervento lungamente atteso, la Delega Fiscale ha introdotto una penalty protection in ambito penale per i contribuenti ammessi al Regime di adempimento collaborativo, demandando alla legislazione delegata l’introduzione di specifiche disposizioni volte a escludere l’applicazione delle sanzioni penali tributarie, con particolare riguardo a quelle connesse al reato di dichiarazione infedele, nei confronti dei contribuenti “virtuosi”[8].

Tale principio è stato attuato nel Decreto Attuativo con la previsione di una causa di non punibilità[9], applicabile a talune delle condotte riconducibili al reato di dichiarazione infedele, di cui all’art. 4 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74[10].

L’esimente opera in presenza di un comportamento collaborativo del contribuente, vale a dire solo laddove il rischio fiscale sia stato comunicato preventivamente ed esaurientemente al Fisco[11], mediante istanza di interpello oppure attraverso l’apposita comunicazione di rischio.

Inoltre, la protezione penale riguarda solo una parte delle violazioni fiscali che possono determinare una responsabilità per il reato di dichiarazione infedele. Infatti, l’esimente opera per le sole violazioni fiscali relative a elementi attivi non dichiarati ovvero sottratti a imposizione, mentre non può essere invocata qualora il reato di dichiarazione infedele derivi dall’inclusione nella dichiarazione dei redditi di elementi passivi inesistenti, anche laddove il rischio sia stato oggetto di preventiva comunicazione al Fisco[12].

Infine, ed è questo l’elemento che più interessa, l’introduzione della penalty protection è stata declinata nel Decreto Attuativo sotto forma di esimente e, come tale, non consente un’esclusione automatica della responsabilità penale, che deve essere comunque accertata in concreto dall’Autorità penale competente.

Sicché, in base all’attuale disposizione, in presenza dei presunti elementi costitutivi del reato, l’Agenzia delle Entrate è tenuta, in ogni caso, a trasmettere la notizia di reato alla competente Autorità giudiziaria, con tutte le conseguenza negative per l’impresa, specie da un punto di vista reputazionale[13]. Sarebbe compito dell’Autorità giudiziaria procedere con la richiesta di archiviazione della posizione del contribuente, valutata l’esistenza delle condizioni per l’applicazione della causa di non punibilità al caso concreto.

Nell’ottica di premiare gli sforzi richiesti ai contribuenti in termini di trasparenza con il Fisco, il Decreto Correttivo si propone di introdurre una misura lungamente attesa, e cioè una penalty protection “piena” per le condotte riconducibili al reato di dichiarazione infedele.

In base alla nuova disposizione, in caso di integrale e tempestiva disclosure del rischio al Fisco, “non si applicano le disposizioni dell’articolo 4 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74 e le stesse non costituiscono notizia di reato ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale[14].

Con la modifica proposta, dunque, lo scudo penale opera in termini di causa di esclusione del reato di dichiarazione infedele (ad eccezione delle condotte simulatorie o fraudolente e di quelle dipendenti dall’inclusione nella dichiarazione dei redditi di elementi passivi inesistenti) e non più come mera circostanza esimente.

In altre parole, la condotta del contribuente non è di per sé sussumibile nella fattispecie di reato e, conseguentemente, non sussiste alcun obbligo di comunicazione della notizia di reato da parte dell’Agenzia delle Entrate all’Autorità giudiziaria.

Coerentemente con le previsioni della Delega Fiscale, lo scudo penale opera, solo nei confronti dei contribuenti che hanno tenuto comportamenti collaborativi e comunicato preventivamente ed esaurientemente lesistenza dei rischi fiscali connessi alle violazioni tributarie al Fisco.

La nuova previsione merita di essere accolta con estremo favore e si pone in linea con i principi generali che governano il sistema penale.

In quest’ottica, la comunicazione spontanea del rischio fiscale esclude l’assenza del dolo del contribuente e, di conseguenza, la sussistenza del reato per mancanza di uno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice (i.e., l’elemento soggettivo).

Inoltre, la nuova previsione del Decreto Correttivo produce effetti positivi anche sotto il profilo reputazionale. Difatti, l’esclusione della responsabilità penale non espone più il contribuente al rischio di essere sottoposto al formale avvio del procedimento penale (destinato comunque all’archiviazione) e alla immancabile “gogna mediatica” derivante dalla diffusione della notizia di reato tra gli organi di stampa.

b. Voluntary disclosure per rischi pregressi

Come noto, la Legge Delega e il Decreto Attuativo hanno concesso alle imprese che accedono al Regime l’opportunità fare disclosure di rischi fiscali connessi a condotte poste in essere in periodi d’imposta precedenti a quello di accesso e di beneficiare, a fronte di tale disclosure volontaria, di una riduzione della metà delle sanzioni amministrative applicabili[15].

Coerentemente con lo spirito di potenziare ulteriormente il Regime di cooperative compliance, il Decreto Correttivo si propone di incentivare la voluntary disclosure dei rischi passati, prevedendo la disapplicazione integrale delle sanzioni amministrative per violazioni relative a condotte poste in essere in periodi di imposta precedenti a quello di accesso ed estendendo anche a queste fattispecie lo scudo penale per il reato di dichiarazione infedele (nei termini sopra ricordati)[16].

La condizione per fruire del beneficio rimane invariata: la comunicazione dei rischi deve essere effettuata entro il termine perentorio di 120 giorni dalla notifica del provvedimento di accesso al Regime (e in ogni caso antecedentemente all’apertura di qualunque attività di accertamento o di indagine penale) e da tale comunicazione deve emergere in modo chiaro e univoco il comportamento adottato dal contribuente.

Inoltre, la voluntary disclosure per il passato e i relativi benefici in termini di disapplicazione delle sanzioni e fruibilità dello scudo penale è estesa anche ai contribuenti già ammessi al Regime di cooperative compliance, a patto che la comunicazione dei relativi rischi sia effettuata nel termine di 120 giorni dall’entrata in vigore del Decreto Correttivo.

Per i contribuenti già in Regime di adempimento collaborativo, evidentemente, la disclosure potrebbe operare unicamente con riferimento a rischi fiscali relativi a condotte tenute in periodi di imposta in cui l’impresa non aveva ancora aderito al Regime.

La valutazione in termini di convenienza per la disclosure su anni pregressi deve tener conto di una serie di fattori, tra cui la possibilità di discostarsi da un’eventuale parere negativo dell’Agenzia delle Entrate sulla comunicazione di rischio, pur assicurandosi la protezione penale e la disapplicazione delle sanzioni e l’eventuale decadenza dei termini per l’azione accertativa del Fisco.

 

[1] Art. 17, comma 1, lett. g), n. 1, punto 1.2), della Legge Delega.

[2] Come noto, la Legge Delega e il Decreto Attuativo hanno ridotto le soglie minime per l’accesso al Regime di cooperative compliance, consentendo così l’ingresso anche ai contribuenti di minori dimensioni. In particolare, le soglie per l’ingresso sono state fissate in un ammontare di ricavi o volume d’affari non inferiore a (i) 750 milioni di euro per gli anni 2024-2025; (ii) 500 milioni di Euro per gli anni 2026-2027 e, infine, (iii) 100 milioni di Euro, a regime, a partire dal 2028.

[3] Art. 1, comma 1, lett. d), n. 2, del Decreto Attuativo.

[4] Art. 1, comma 1, lett. c), del Decreto Correttivo.

[5] Peraltro, il riferimento al consolidato fiscale aveva fatto emergere una serie di dubbi di natura tecnica in relazione a talune vicende frequenti e fisiologiche relative al consolidato fiscale. In particolare, ci si era interrogati circa le conseguenze in termini di permanenza nel Regime di adempimento collaborativo, in ipotesi di mancato rinnovo dell’opzione per una delle società già ammesse al Regime o in caso di interruzione della tassazione di gruppo.

[6] Ci si riferisce alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate con la risposta alla domanda 1.3 della circolare del 16 settembre 2016, n. 38/E, che si riporta di seguito: “Il punto 2.6 del provvedimento [ci si riferisce al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 14 aprile 2016] chiarisce la possibilità di estendere l’accesso al regime di adempimento collaborativo ai soggetti che integrano la soglia dimensionale di un miliardo di euro qualora al progetto pilota abbia partecipato un’impresa del “gruppo” che, pur non avendo i requisiti dimensionali, svolge funzioni di indirizzo sul Tax control framework. A tale riguardo, quale interpretazione deve essere data alla nozione di “gruppo”?” L’Agenzia delle Entrate aveva risposto al quesito come segue: “Per “gruppo” di imprese si intendono le società residenti ovvero non residenti con stabile organizzazione in Italia, inserite nell’area di consolidamento civilistico o comunque soggette a “direzione e coordinamento” da parte del medesimo soggetto, incluse le stabili organizzazioni di tali soggetti non residenti”.

[7] Come noto, nell’ipotesi in cui il Requisito Dimensionale non risulti integrato, l’accesso al Regime di adempimento collaborativo è comunque consentito alle imprese che presentano un’istanza di interpello sui nuovi investimenti e danno esecuzione alla risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate. L’interpello sui nuovi investimenti è una particolare tipologia di interpello che può essere presentata all’Agenzia delle Entrate da parte di contribuenti residenti o non residenti in Italia che intendono effettuare investimenti nel territorio dello Stato, aventi un valore non inferiore a 15 milioni di euro, con rilevanti e durature ricadute occupazionali.

[8] Art. 17, comma 1, lett. g), n. 1, punto 1.9.2), della Delega Fiscale.

[9] Art. 1, lett. c), n. 4, del Decreto Attuativo.

[10] Ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 74/2000 “fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centomila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro due milioni”.

[11] In particolare, la causa di non punibilità trova applicazione solo se i rischi fiscali siano stati comunicati prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali o prima del decorrere delle relative scadenze fiscali.

[12] L’art. 4, comma 1-bis, del D.Lgs. 74/2000 esclude, invece, di per sé la responsabilità penale per il reato di dichiarazione infedele in caso di violazioni relative a una non corretta classificazione o valutazione di elementi passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali.

[13] La sussistenza di un obbligo comunicativo è stata affermata dalla Guardia di Finanza nelle risposte a Telefisco del 2 febbraio 2024.

[14] Art. 1, comma 1, lett. b), n. 2), del Decreto Correttivo.

[15] Art. 17, comma 1, lett. g), n. 1, punto 1.4), della Delega Fiscale; Art. 1, comma 1, lett. c), n. 3-ter, del Decreto Attuativo.

[16] Art. 1, comma 1, lett. d), del Decreto Correttivo.

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