Della riforma della legge fallimentare attuata dal nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e degli effetti per banche e imprese parleremo nel Convegno del 13 e 14 febbraio. Per maggiori informazioni vedasi la pagina dell’evento indicata tra i contenuti correlati. |
Con l’ordinanza in esame la Suprema Corte si è pronunciata sulla possibilità, per la curatela fallimentare, di incamerare la cauzione prestata da colui che, scelto all’esito di una procedura competitiva ai sensi del combinato disposto degli artt. 104-bis, comma 2, e 107 l.f., non addivenga, poi, alla stipula del contratto di affitto d’azienda.
Al tal fine la Cassazione ha ripercorso le caratteristiche e le finalità tipiche dell’istituto della cauzione, la quale viene per lo più qualificata come una garanzia reale atipica, assimilabile al pegno irregolare, idonea a consentire al creditore, in caso di inadempimento del debitore, di procedere alla vendita delle cose depositate ovvero chiedere l’assegnazione delle somme versate sino alla concorrenza del proprio diritto.
La ratio di tale istituto può ravvisarsi nella necessità di garantire la serietà dell’iniziativa negoziale del proponente: al pari della caparra confirmatoria, la quale deve essere restituita solo allorché sia dimostrata la non imputabilità dell’inadempimento alla parte che l’ha prestata, infatti, il versamento dalla cauzione trasferisce a carico del proponente il rischio della mancata stipula del contratto, salvo che essa non sia dovuta a cause a lui non imputabili (con relativo onere della prova a carico del proponente).
I principi propri dell’istituto in esame trovano applicazione ancora più pregnante allorché ci si trovi ad operare in ambito concorsuale e, in particolare, nell’ambito delle c.d. procedure competitive, ove l’ampia discrezionalità e varietà di forme per l’individuazione e la competizione tra offerenti non può andare a detrimento degli interessi della massa dei creditori. In un simile contesto, infatti, la necessità di garantire la serietà delle proposte avanzate dagli offerenti è giustificata dall’esigenza di scongiurare il verificarsi di comportamenti potenzialmente idonei ad incidere negativamente sull’efficace conduzione di procedure concorsuali nonché sulla loro ragionevole durata.
In particolare, la Corte ha ribadito l’opportunità e la necessità che al curatore siano riconosciuti «poteri negoziali che debbano esplicarsi secondo criteri di utilità economica ed in modo da non contrastare con le esigenze di speditezza ed efficienza», ossia poteri che non possono – e non devono – limitarsi ad una mera attività liquidatoria, bensì essere tali da consentire l’efficace conservazione e valorizzazione dei valori aziendali a beneficio della massa. È indubbio che a tal fine il curatore possa validamente stipulare contratti per conto e nell’interesse della massa volti alla conservazione – se non addirittura all’accrescimento – della garanzia patrimoniale.
In tale contesto, la previsione del versamento di una cauzione da parte dell’aggiudicatario, avendo evidentemente la funzione di assicurare la serietà della proposta in ossequio ad esigenze pubblicistiche, si configura quale strumento di autotutela esercitabile dal curatore, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, a beneficio della massa.
A valle del proprio iter argomentativo la Suprema Corte ha quindi confermato «la possibilità di incamerare la cauzione prestata da colui che, scelto tramite procedura competitiva, non addivenga, poi, alla stipula del contratto di affitto di azienda cui quest’ultima era propedeutica, così venendo meno non già all’osservanza del provvedimento di “aggiudicazione” del Giudice delegato o ad un contratto già concluso, ma al rispetto della suddetta proposta».