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L’Agenzia delle Entrate interpreta le recenti modifiche apportate alla disciplina CFC (Circolare n. 35/E del 4 agosto 2016)

11 Ottobre 2016

Fabio Brunelli, Dottore Commercialista, Partner, Di Tanno e Associati; Federico Di Cesare, Avvocato, Di Tanno e Associati

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Identificazione dei Paesi a fiscalità privilegiata – 3. La disapplicazione del regime CFC – 4. Determinazione del reddito estero da imputare al socio – 5. Le ulteriori novità in tema di CFC – 6. I nuovi obblighi dichiarativi

 

1. Premessa

La disciplina relativa alle Controlled Foreign Companies (“CFC”), introdotta per la prima volta nella legislazione tributaria italiana con le “Misure in materia fiscale” del 2000[1], è stata oggetto, recentemente, di implementazioni particolarmente rilevanti[2], allo scopo di rendere il nostro Paese più attrattivo per gli investitori esteri e, al contempo, favorire l’attività transfrontaliera delle imprese italiane, riducendo i vincoli agli investimenti esteri e creando un quadro normativo certo e trasparente.

La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 35/E del 4 agosto 2016 (“Circolare”) ha esaminato, in particolare, le novità del Decreto internazionalizzazione introdotte (i) dall’art. 3, in materia di tassazione degli utili provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata; (ii) dall’art. 8, che razionalizza la disciplina antielusiva delle imprese estere controllate; (iii) dall’art. 10, in tema di liste di Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni e (iv) dall’art. 15, recante una norma di interpretazione autentica e alcune modifiche alla disciplina del credito per le imposte pagate all’estero.

Di seguito si illustrano i chiarimenti interpretativi di maggior rilievo forniti dall’Agenzia delle Entrate in materia di CFC, anche alla luce degli ulteriori interventi normativi apportati, dapprima, dalla Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (“Legge di stabilità 2015”) e, successivamente, dalla Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (“Legge di stabilità 2016”)[3].

2. Identificazione dei Paesi a fiscalità privilegiata

Il sistema previgente alle modifiche apportate dalla Legge di stabilità 2015 e dalla Legge di stabilità 2016 era basato, ai fini della disciplina CFC, su un sistema formale di inclusione di uno Stato o territorio nella c.d. “black list” di cui al D.M. 21 novembre 2001 (“Decreto”)[4].

Più precisamente, l’art. 167, comma 1 del TUIR, nella formulazione vigente ratione temporis, prevedeva la tassazione per trasparenza, in capo al soggetto controllante residente in Italia, dei redditi conseguiti dal soggetto partecipato residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al Decreto emanato ai sensi dell’art. 168-bis del TUIR (c.d. “white list”), che permettevano un adeguato scambio di informazioni e avevano un livello di tassazione non sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, il quale era stato individuato in un livello di tassazione che si discosti di almeno il 30% dal livello nazionale medio applicato in Italia[5].

Il Decreto elencava: (i) nell’art. 1, i Paesi considerati tout court a fiscalità privilegiata; (ii) nell’art. 2, gli Stati che, pur costituendo Paesi a fiscalità privilegiata, non erano soggetti alla disciplina limitatamente ad alcuni settori ed attività; (iii) nell’art. 3, gli Stati per i quali la disciplina operava limitatamente ai regimi speciali, ovvero a regimi applicabili a determinate categorie di soggetti economici o attività.

Nel corso del 2015 i criteri di individuazione dei regimi fiscali privilegiati sono stati modificati, ancorché limitatamente all’esercizio 2015.  Nello specifico, l’art. 1, comma 680 della Legge di stabilità 2015 ha ritoccato il comma 4 dell’art. 167 del TUIR, stabilendo che per individuare i regimi fiscali privilegiati per “livello di tassazione sensibilmente inferiore” si deve intendere un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia.

Inoltre, la predetta norma ha disposto che si considerano, in ogni caso, privilegiati i regimi fiscali speciali che consentono un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia, indipendentemente dalla circostanza che tale regime sia previsto da un ordinamento estero che applica un regime generale di imposizione non inferiore al suddetto limite percentuale.

Pertanto, ai fini della disciplina CFC e limitatamente al periodo d’imposta 2015, è sorta la necessità di adeguare il Decreto in modo da individuare gli Stati e i territori da considerare “paradisi fiscali” sulla base dei nuovi parametri normativi. Per dare attuazione a tale modifica sono stati emanati: (i) D.M. 30 marzo 2015, che ha abrogato l’art. 3 del Decreto[6] e che ha rimosso dall’art. 1 della “black list” le Filippine, Malesia e Singapore; (ii) D.M. 18 novembre 2015, che ha espunto dalla “black list” anche Hong Kong.

In questo contesto si sono inserite le modifiche recante dalla Legge di stabilità 2016 che ha previsto che i regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50% di quello applicabile in Italia[7].

In sostanza, a seguito di dette modifiche, sono considerati privilegiati: (i) i regimi che hanno un livello di tassazione nominale inferiore al 50% rispetto a quello applicabile in Italia; (ii) i regimi speciali. Inoltre, sono stati esclusi dalla nozione di “Stato o territorio a regime fiscale privilegiato” gli Stati appartenenti all’UE o allo Spazio Economico Europeo.

Al riguardo, la Circolare affronta numerose questioni interpretative. In primo luogo, sulla base di ragioni logico-sistematiche e di compatibilità con i princìpi dell’ordinamento comunitario, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, anche rispetto al periodo d’imposta 2015, i Paesi UE e SEE[8] non ricadano nella previsione del comma 4 dell’art. 167 del TUIR ancorché ai medesimi sia, in ogni caso, applicabile la disciplina CFC di cui al comma 8-bis del medesimo art. 167 del TUIR, al ricorrere delle condizioni ivi previste.

In merito, invece, all’individuazione degli elementi da considerare ai fini del confronto dei livelli di tassazione nominali estero ed italiano, la Circolare ha chiarito che, per quanto riguarda quello italiano, si tiene conto dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle società (“IRES”) vigente nel periodo d’imposta in cui sussiste il requisito del controllo, mentre non si considerano le eventuali addizionali.

Rileva, altresì, l’imposta regionale sulle attività produttive (“IRAP”), di cui si prende in considerazione l’aliquota ordinaria[9], a prescindere dal settore di attività i cui opera la controllata estera[10]. Le ragioni alla base dell’apparente mutamento di impostazione sull’IRAP, rispetto ai precedenti documenti di prassi, paiono rinvenibili nella stessa Circolare ove si richiamano i tradizionali criteri di individuazione della “black list”, seguiti per la redazione del Decreto, tra i quali rientrava il livello di imposizione significativamente inferiore a quello vigente in Italia, dato dalla sommatoria delle imposte sui redditi e dell’IRAP[11].

Inoltre, tale scelta interpretativa è giustificata da ragioni di coerenza con la scelta operata dal legislatore di abrogare il sistema formalizzato delle liste e di sostituirlo con criteri oggettivi in base ai quali un determinato Stato estero possa essere qualificato a fiscalità privilegiata o meno, a prescindere da valutazioni soggettive che attengono ad una specifica categoria di contribuenti o di attività.

Specularmente, dal lato estero, rilevano le imposte sui redditi applicate nell’ordinamento fiscale di localizzazione, da individuare facendo riferimento, qualora esistente, alla Convenzione per evitare le doppie imposizioni (“Convenzione”) vigente con lo Stato di volta in volta interessato, tenendo conto anche delle eventuali imposte di natura identica o analoga intervenute in sostituzione di quelle menzionate espressamente nella medesima Convenzione.

Nell’eventualità in cui nello Stato di residenza o di localizzazione della società controllata sia prevista un’imposta progressiva a scaglioni occorrerà calcolare la media aritmetica ponderata delle aliquote vigenti nell’ordinamento estero. Per il calcolo, è stato individuato un parametro reddituale teorico pari a Euro 1.000.000, da utilizzare per la ponderazione dell’ultimo scaglione altrimenti aperto.

Con riguardo all’individuazione dei regimi fiscali speciali, infine, la Circolare ha chiarito che si considerano tali i regimi applicabili alla generalità dei contribuenti che integrano i requisiti soggettivi o oggettivi previsti dalla norma istitutiva del regime e che incidono sull’aliquota, riducendola, o comunque incidono sulla base imponibile, mediante esenzioni o altre riduzioni della stessa, idonee a ridurre sostanzialmente il prelievo nominale[12].

Considerata la finalità antielusiva della disciplina CFC, l’Agenzia delle Entrate ha, perciò, interpretato il concetto di “livello nominale di tassazione” in modo estensivo, considerando come speciali anche i regimi di favore nei quali il trattamento agevolato non dipende formalmente da un’aliquota di favore, ma da altri elementi che riducono (totalmente o prevalentemente) la base imponibile comportando una tassazione inferiore.

3. La disapplicazione del regime CFC

Con riferimento alla disapplicazione del regime CFC, il comma 5 dell’art. 167 del TUIR, che – come ricorda l’Agenzia delle Entrate nella Circolare – non ha subìto alcuna modifica ad opera dei recenti provvedimenti normativi, ammette la disapplicazione della normativa in parola al ricorrere, alternativamente, di una delle seguenti circostanze esimenti: (i) la società o altro ente non residente svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento. Per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento (c.d. “prima esimente”); (ii) dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al comma 4 (c.d. “seconda esimente”).

Se per la prima circostanza esimente valgono, in quanto compatibili, i chiarimenti resi nei precedenti documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria, l’Agenzia delle Entrate ritiene invece necessario fornire alcune precisazioni circa la disapplicazione della disciplina CFC ai sensi della seconda esimente[13].

Si rileva necessario, in particolare, adattare le esemplificazioni già rese nella Circolare n. 51/E del 2010 alla formulazione attuale del comma 4 dell’art. 167 del TUIR. Al riguardo, la Circolare preliminarmente osserva che, nonostante le modifiche normative intervenute, si ritengono ancora valide le esemplificazioni sviluppate dall’art. 5, comma 3 del D.M. 21 novembre 2011, n. 429[14], in cui si ritiene sussistente la seconda circostanza esimente.

Adattando le esemplificazioni già rese con la Circolare n. 51/E del 2010 alla formulazione attuale del comma 4 dell’art. 167 del TUIR, l’Agenzia delle Entrate spiega come la seconda esimente ricorra quando la controllata: (i) gode di un regime fiscale privilegiato ai sensi dell’art. 167, comma 4 del TUIR, nella versione rispettivamente vigente negli esercizi 2015 e dal 2016 in poi, ma oltre il 75% dei suoi redditi sono prodotti in Stati o territori non privilegiati e sono ivi assoggettati a imposizione ordinaria senza godere di regimi speciali; oppure (ii) gode di un regime fiscale privilegiato ai sensi dell’art. 167, comma 4 del TUIR, nella versione rispettivamente vigente negli esercizi 2015 e dal 2016 in poi, ma svolge esclusivamente la propria principale attività, ovvero è fiscalmente residente ovvero ha la sede di direzione effettiva in uno Stato o territorio a regime fiscale non privilegiato, nel quale i redditi da essa prodotti sono integralmente assoggettati a tassazione, senza godere di regimi speciali; oppure (iii) è residente in uno Stato o territorio non privilegiato, senza godere di regimi speciali, ma opera in un ordinamento fiscale privilegiato, secondo la definizione dell’art. 167, comma 4 del TUIR, nella versione rispettivamente vigente negli esercizi 2015 e dal 2016 in poi, mediante una stabile organizzazione, il cui reddito è assoggettato integralmente a tassazione ordinaria nello Stato di residenza della casa madre.

Tuttavia, coerentemente con il passato, l’esimente in esame può essere soddisfatta anche dimostrando che l’investimento non ha dato origine a un significativo risparmio d’imposta, valorizzando il carico fiscale complessivamente gravante sui redditi della CFC[15].

La Circolare precisa che la mancanza di intenti o effetti elusivi alla base dell’investimento estero si considera, in tal caso, dimostrata qualora il contribuente provi che il tax rate effettivo è almeno pari al 50% dell’aliquota nominale vigente in Italia, ovvero del carico fiscale che sarebbe stato scontato laddove la controllata fosse stata residente in Italia[16].

In altri termini, la dimostrazione dell’esimente presuppone che il tax rate effettivo estero venga preliminarmente confrontato con l’aliquota nominale italiana, data dalla sommatoria delle aliquote IRES e IRAP. Se il tax rate estero risulta superiore al 50% dell’aliquota nominale italiana, così determinata, l’esimente si considera dimostrata.

Nell’eventualità in cui dal confronto risulti, invece, un’imposizione effettiva estera inferiore alla metà di quella italiana, la sussistenza dell’esimente può essere comunque provata attraverso il raffronto con l’imposizione che la controllata avrebbe effettivamente scontato qualora fosse stata residente in Italia (“tax rate virtuale domestico”). La Circolare osserva come, in tal caso, l’esimente si considera dimostrata qualora il tax rate effettivo sia superiore al 50% del tax rate virtuale domestico.

4. Determinazione del reddito estero da imputare al socio

La Circolare accoglie rilevanti delucidazioni relativamente alla quantificazione del reddito delle CFC. In particolare, l’Agenzia delle Entrate conferma l’applicazione delle regole di determinazione del reddito complessivo contemplate per le società “domestiche”[17] e, pertanto, non esclusivamente regolate dal TUIR, con la sola esclusione della disciplina che prevede la possibilità di rateizzare le plusvalenze[18].

Viene, inoltre, confermata l’applicabilità della disciplina sulle società di comodo e di alcune disposizioni speciali in materia di deducibilità degli interessi passivi[19][20]. Tale scelta è stata dettata da ragioni di coerenza e di continuità rispetto al passato, al fine di garantire una maggiore equivalenza della base imponibile del reddito estero, imputato per trasparenza in capo al socio italiano, rispetto a quella del reddito prodotto in Italia, ferma restando la modalità separata di tassazione del primo[21].

La Circolare ha altresì ribadito l’applicabilità alle CFC dell’istituto dell’aiuto alla crescita economica (“ACE”)[22]. Tale disciplina, difatti, introdotta dal legislatore allo scopo di agevolare gli incrementi di capitale proprio, attenuando le differenze tra il finanziamento mediante capitale di debito e quello mediante capitale di rischio, rappresenta un’agevolazione che incide sulla determinazione del reddito d’impresa, attraverso una variazione in diminuzione da operare in dichiarazione[23].

La “nuova” interpretazione è peraltro conforme alla necessità di garantire una maggiore equivalenza della base imponibile del reddito estero imputato per trasparenza in capo al socio italiano rispetto a quella del reddito prodotto in Italia, come evidenziato nella relazione illustrativa al Decreto internazionalizzazione[24].

La Circolare ha precisato che, dalla cerchia delle norme speciali esterne al TUIR e applicabili alle CFC, devono invece essere escluse quelle che presuppongono l’impiego di strumenti di tipo presuntivo, quali gli studi di settore e i parametri. La ragione di tale esclusione risiede nel fatto che (i) tali strumenti sono funzionali alla determinazione dei ricavi e non già alla determinazione del reddito d’impresa; inoltre, (ii) la loro connotazione statistico-probabilistica, caratterizzata dall’utilizzo di cluster applicabili a gruppi omogenei di soggetti e l’utilizzo, a tal fine, non solo di dati contabili ma anche extracontabili, renderebbe difficile e inadeguata la loro applicazione ad una società estera.

5. Le ulteriori novità in tema di CFC

La Circolare ha analizzato anche alcuni aspetti legati all’abrogazione del regime CFC per le società collegate[25]. In particolare, in primo luogo, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, ai fini della decorrenza della suddetta abrogazione, occorre fare riferimento al periodo d’imposta del socio italiano, e non a quello della collegata estera.

A norma dell’art. 3 del D.M. 7 agosto 2006, n. 268[26], difatti, il reddito imputato per trasparenza al socio viene assoggettato a tassazione separata, da ciascun partecipante, nel periodo d’imposta in corso alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero. Ne consegue, spiega l’Agenzia delle Entrate, che il reddito della partecipata estera, sebbene prodotto in un esercizio precedente al 7 ottobre 2015, non è assoggettato a tassazione per trasparenza se confluisce nel reddito prodotto nel periodo d’imposta 2015 “solare” dal soggetto partecipante residente.

In base agli esempi forniti dalla Circolare, è ancora soggetto a tassazione per trasparenza il reddito prodotto dalla società collegata estera avente periodo d’imposta 1 marzo 2014 – 28 febbraio 2015 qualora anche il socio residente abbia il medesimo periodo d’imposta 1 marzo 2014 – 28 febbraio 2015, in quanto quest’ultimo periodo non era in corso al momento dell’entrata in vigore dell’abrogazione.

Diversamente, non è soggetto a tassazione per trasparenza il reddito della società collegata estera con periodo 1 marzo 2014 – 28 febbraio 2015 qualora il socio italiano abbia periodo d’imposta 1 gennaio – 31 dicembre 2015, in quanto da tale periodo decorre l’abrogazione dell’art. 168 del TUIR.

Lo stesso art. 8, comma 4 del Decreto internazionalizzazione prevede un regime transitorio in base al quale, anche a seguito dell’art. 168 del TUIR, continuano ad applicarsi le disposizioni dell’art. 3, commi 3 e 4 del D.M. 7 agosto 2006, n. 268, cosicché (i) gli utili prodotti dalla collegata e tassati per trasparenza in capo al socio italiano non sono nuovamente assoggettati a tassazione al momento della loro percezione; (ii) le imposte eventualmente pagate all’estero a titolo definitivo dal socio residente riferibili agli utili già tassati per trasparenza costituiscono credito d’imposta nei limiti delle imposte complessivamente applicate a titolo di tassazione separata, ridotte delle somme ammesse in detrazione all’atto della tassazione per trasparenza; (iii) il costo della partecipazione nella società estera, già aumentato dei redditi imputati per trasparenza, è diminuito, fino a concorrenza di tali redditi, degli utili distribuiti.

L’art. 8, comma 4 del Decreto internazionalizzazione reca, inoltre, una presunzione per cui si considerano distribuiti per primi dalla collegata estera gli utili formati con redditi già assoggettati a tassazione in capo al socio italiano[27]. Sul punto, sembra evincersi la natura di presunzione assoluta di tale ordine di distribuzione; in base alla Circolare, difatti, anche se a decorrere dal 2015 la partecipazione di collegamento non ricade più nell’ambito della disciplina CFC, il socio italiano deve tenere memoria degli utili della collegata estera che sono stati tassati per trasparenza in vigenza della normativa CFC.

6. I nuovi obblighi dichiarativi

Per effetto della modifica apportata all’art. 167, comma 5, lett. b), ultimo periodo del TUIR, dall’art. 8, comma 1, lett. b) del Decreto internazionalizzazione, la presentazione dell’interpello probatorio ai fini della disapplicazione della disciplina CFC è divenuta, da obbligatoria, facoltativa[28].

Conseguentemente, ai fini di monitoraggio, l’art. 8, comma 1, lett. f) del Decreto internazionalizzazione ha aggiunto al testo dell’art. 167 del TUIR un nuovo comma 8-quater, ai sensi del quale: “Fatti salvi i casi in cui la disciplina del presente articolo sia stata applicata ovvero non lo sia stata per effetto dell’ottenimento di una risposta favorevole all’interpello, il socio residente controllante deve comunque segnalare nella dichiarazione dei redditi la detenzione di partecipazioni in imprese estere controllate”[29].

La Circolare ha fornito un rilevante chiarimento interpretativo con riguardo alla fattispecie in cui il socio controllante abbia compilato la parte del quadro FC relativa alla sussistenza delle circostanze esimenti. E’ stata superata l’impostazione adottata delle istruzioni per la compilazione dei modelli dichiarativi, da cui sembrava evincersi che il socio residente dovesse comunque rideterminare il reddito della CFC, sulla base delle disposizioni italiane, a prescindere dalla tassazione per trasparenza, e quindi anche nel caso in cui si possano far valere le esimenti.

Al riguardo, dunque, la Circolare ha chiarito che il socio di controllo sarà tenuto ad indicare in dichiarazione solamente l’utile o la perdita dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero, mediante la compilazione del solo rigo FC2 (o FC3 in caso di perdita) del quadro FC.

L’obbligo di rideterminazione del risultato di esercizio in base alle norme applicabili ai soggetti residenti, titolari di reddito d’impresa, difatti, sarebbe risultato sproporzionato a fronte della possibilità di dimostrazione delle esimenti da parte del socio italiano[30].

L’Agenzia delle Entrate, infine, ricorda che se il soggetto controllante omette l’indicazione delle proprie CFC, o effettua un’indicazione incompleta dei redditi derivanti dalle partecipate estere, gli sarà applicata la sanzione amministrativa pari al 10% del reddito (rectius, risultato di esercizio) conseguito dal soggetto estero partecipato e imputabile nel periodo d’imposta[31], anche solo in via teorica, al soggetto residente, in proporzione alla partecipazione detenuta[32][33].

 

[1] Cfr. art. 1, comma 1, lett. a) della Legge 21 novembre 2000, n. 342, che ha introdotto l’art. 127-bis (ora art. 167) nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“TUIR”). Ai sensi dell’art. 1, comma 2 della Legge n. 342/2000, la disposizione si applica ai redditi relativi al periodo di imposta che inizia successivamente alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti di cui al comma 4 dell’art. 127-bis del TUIR (G.U. n. 273 del 23 novembre 2001).

[2] In attuazione dell’art. 12 della Legge 11 marzo 2014, n. 23 (“Delega fiscale”), in tema di razionalizzazione della determinazione del reddito d’impresa e della produzione netta, è stato emanato il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (“Decreto internazionalizzazione”), pubblicato in G.U. n. 220 del 22 settembre 2015 ed entrato in vigore il 7 ottobre 2015.

[3] La Legge di stabilità 2016, in particolare, con le disposizioni contenute nell’art. 1, commi 142-144, ha recato incisive modifiche al dettato dell’art. 167 del TUIR. Si segnala, inoltre, come in precedenza erano stati abrogati gli artt. 168 e 168-bis del TUIR; per ulteriori dettagli al riguardo, vedi infra.[4] Il sistema era rimasto inalterato nonostante l’art. 1, comma 83 della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (“Legge finanziaria 2008”) avesse abrogato il comma 4 dell’art. 167 del TUIR, che richiamava espressamente la “black list”.

[5] Cfr. Camera dei Deputati, Ordine del giorno del 4 ottobre 2000.

[6] Ove erano elencati gli Stati e i territori facenti parte della “black list” limitatamente a determinati soggetti ed attività.

[7] Il nuovo sistema, quindi, non considera più l’adeguato scambio di informazioni e valuta il carattere privilegiato di un sistema fiscale estero sulla base del livello nominale di tassazione e non più sulla base del criterio formale di inclusione in una lista.

[8] Riguardo ai Paesi SEE, la Circolare chiarisce che, sebbene l’accordo sullo scambio di informazioni e il relativo protocollo aggiuntivo tra il Liechtenstein e l’Italia non sia stato ancora ratificato, anche il Liechtenstein è considerato un Paese “collaborativo” al pari di Norvegia e Islanda sulla base dell’accordo sullo scambio di informazioni sottoscritto dal governo del Principato con l’Unione Europea in data 28 dicembre 2015. Tale accordo, entrato in vigore a seguito della conclusione dei rispettivi procedimenti di ratifica, prevede l’implementazione dello scambio automatico di informazioni sulla base del Common Reporting Standard, elaborato dall’OCSE e recepito nella legislazione comunitaria con la Direttiva 2014/107 del 9 dicembre 2014 (“DAC 2”). L’Agenzia delle Entrate, pertanto, ha ritenuto non prevalente l’elemento formale della mancata ratifica, valorizzando invece la circostanza dell’entrata in vigore dell’accordo concluso dal Liechtenstein con l’Unione Europea.

[9] Attualmente pari al 3,9%.

[10] Tale posizione mette in luce un orientamento difforme rispetto a quello della stessa Agenzia delle Entrate relativamente alla disciplina del comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR. Cfr. Circolare n. 51/E del 6 ottobre 2010, par. 5.1.

[11] Tale riferimento è rinvenibile anche nella relazione di accompagnamento al D.M. 30 marzo 2015, che aveva modificato la “black list”. Per commenti, cfr. P. Arginelli, C. Silvani, “CFC, le anomalie dell’IRAP nel calcolo del tax rate”, Il Sole 24 Ore, edizione del 5 ottobre 2016.

[12] La scelta di considerare localizzati in Paesi a fiscalità privilegiata anche i soggetti esteri che fruiscono di regimi fiscali sostanzialmente analoghi in virtù di specifiche disposizioni dell’Amministrazione finanziaria dei medesimi Stati è in linea con quanto previsto in tema di regimi speciali nella previgente disciplina (cfr. art. 3, comma 2 del Decreto) e con precedenti chiarimenti di prassi (cfr. Circolare n. 18/E del 12 febbraio 2002, par. 2.3).

[13] Si veda sul tema l’articolo di S. Loconte, G. Lo Presti, “CFC dribblate con due esimenti”, Italia Oggi, edizione del 6 agosto 2016.

[14] Regolamento recante disposizioni in materia di tassazione dei redditi di imprese estere partecipate in attuazione dell’art. 127-bis, comma 8 del TUIR.

[15] La localizzazione della controllata in uno Stato o territorio a regime fiscale privilegiato, ai sensi del comma 4 dell’art. 167 del TUIR, infatti, implica, di per sé, la presunzione di elusività della partecipazione.

[16] La soglia del 50% considerata congrua ai fini della dimostrazione della seconda esimente si rende necessaria per ragioni di coerenza con le modifiche apportate dalle Leggi di stabilità 2015 e 2016 all’art. 167 del TUIR, in merito ai criteri di individuazione dei regimi fiscali privilegiati, non più basati, a partire dal 2016, sul rigido sistema formale di inclusione nella “black list”.

[17] Le disposizioni utilizzabili sono quelle ascritte ai soggetti IRES. In dottrina, M. Croatto, V. Ariemme, “Identificazione dei Paesi a fiscalità privilegiata, CFC rule e obblighi dichiarativi”, Il Fisco, 34, 2016, p. 1-3263.

[18] Cfr. art. 86, comma 4 del TUIR.

[19] Cfr. art. 96, comma 6 del TUIR.

[20] Cfr. Circolare n. 23/E del 26 maggio 2011, par. 2.1, che richiama la Risoluzione n. 331/E del 16 novembre 2007 in materia di società di comodo, e il par. 2.9 della citata circolare in materia di deducibilità degli interessi passivi.

[21] A seguito dell’abrogazione del riferimento all’art. 3, comma 115 della Legge 28 dicembre 1995, n. 549, in materia di interessi su titoli obbligazionari, ad opera dell’art. 4, comma 1, lett. b) del Decreto internazionalizzazione, l’unica disposizione extra TUIR applicabile rimane quella di cui all’art. 1, comma 465 della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 in materia di interessi sui prestiti dei soci delle società cooperative.

[22] Cfr. art. 1 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della Legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[23] Si ritengono, pertanto, superati i precedenti chiarimenti forniti al riguardo con la Circolare n. 12/E del 23 maggio 2014, par. 1.4.

[24] Si veda sul tema l’articolo di E. Reich, F. Vernassa, “CFC, per il reddito valgono le regole dei residenti”, Il Sole 24 Ore, edizione del 1 settembre 2016.

[25] Il regime di cui al “vecchio” art. 168 del TUIR è stato abrogato dal comma 3 dell’art. 8 del Decreto internazionalizzazione. In termini di decorrenza, l’art. 8, comma 4 del Decreto internazionalizzazione stabilisce che la suddetta abrogazione ha effetto dal periodo di imposta in corso al 7 ottobre 2015 (data di entrata in vigore del Decreto internazionalizzazione) ossia, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, a partire dal periodo d’imposta 2015.

[26] Decreto attuativo della disciplina soppressa.

[27] In quanto prodotti in vigenza dell’art. 168 del TUIR.

[28] Cfr. art. 11, comma 1, lett. b) della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. “Statuto del contribuente”).

[29] Per effetto e in applicazione di tale modifica legislativa, sono state apportate delle correzioni al quadro FC del Modello Unico 2016. L’obbligo di segnalazione ricade sui soggetti residenti tenuti a compilare il quadro FC.

[30] Si veda sul tema l’articolo di L. Miele, “Unico semplificato per le CFC”, Il Sole 24 Ore, edizione del 6 agosto 2016.

[31] La sanzione applicabile varia da un minimo di Euro 1.000 ad un massimo di Euro 50.000. La misura minima è, inoltre, applicabile nel caso in cui la CFC abbia conseguito un risultato negativo.

[32] Cfr. art. 8, comma 3-quater del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, introdotto ad opera dell’art. 3, comma 3 del Decreto internazionalizzazione.

[33] Si segnala, per ragioni di completezza, come successivamente alla pubblicazione della Circolare, l’Agenzia delle Entrate ha ulteriormente pubblicato, in data 16 settembre 2016, il Provvedimento prot. n. 143239 avente ad oggetto: “Disposizioni in materia di imprese estere controllate. Criteri per determinare con modalità semplificata l’effettivo livello di tassazione di cui al comma 8-bis dell’art. 167 del TUIR”. L’esame di tale documento esula dal presente elaborato.

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