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Attualità

Al vaglio della Corte UE la mancata esenzione da ritenuta sui dividendi percepiti da holding comunitarie controllate da soggetti residenti in Paesi Terzi

28 Febbraio 2017

Stefano Massarotto e Giacomo Ficai, Studio Tributario Associato Facchini Rossi & Soci

Di cosa si parla in questo articolo

L’Avvocato Generale, nell’ambito della causa C-6/16, (conclusioni, presentate in data 19 gennaio 2017), analizza le condizioni alle quali uno Stato UE può negare, per motivi antielusivi, l’applicazione dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista dalla Direttiva Madre-figlia[1] ai dividendi distribuiti da società ubicate nel proprio territorio a società ubicate in altri Stati Membri dell’UE, che siano a loro volta controllate da soggetti residenti in Paesi terzi[2]. Inoltre, vengono forniti importanti indicazioni in merito agli elementi potenzialmente rilevanti al fine di valutare la natura artificiosa di una holding di partecipazioni.

Il caso è di assoluto rilevo ai fini italiani. Infatti, in attuazione di una specifica facoltà prevista dalla Direttiva, l’art. 27-bis, comma 5 del D.P.R. n. 600/1973, prevedeva – nella versione in vigore per le distribuzioni di dividendi effettuate fino al 31 dicembre 2015 – una specifica clausola “antiabuso” che subordinava l’applicazione dell’esenzione alle società madri UE controllate da soggetti residenti in Stati extra UE alla dimostrazione che parte di tale società madre “… di non detenere la partecipazione allo scopo esclusivo di beneficiare del regime in esame”.

La fattispecie all’esame della Corte di Giustizia

La questione sottoposta all’esame della Corte di Giustizia riguarda la compatibilità con la disposizione antiabuso di cui all’art. 1, par. 2, Direttiva Madre-figlia[3], e con le libertà fondamentali, di una disposizione francese (di seguito, l’“Art. 119ter”) che, con riferimento ai dividendi distribuiti da società figlie francesi a società madri aventi sede in un altro Stato Membro dell’UE, a loro volta direttamente o indirettamente controllate da soggetti residenti in Stati non appartenenti all’UE, condiziona l’applicazione dell’esenzione da ritenuta alla fonte sui dividendi alla dimostrazione da parte di tali società madri che la catena partecipativa non ha “…come fine principale o fra i suoi fini principali quello di trarre vantaggio dall’esenzione”.

Le conclusioni dell’Avvocato Generale

Secondo l’Avvocato Generale la disposizione francese è in contrasto sia con l’art. 1, par. 2, della Direttiva Madre-figlia, sia con il principio della libertà di stabilimento, in quanto l’inversione dell’onere della prova in capo alle società madri ubicate in un altro Stato Membro, per il sol fatto che esse sono controllate da soggetti non residenti nell’UE, e senza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire sufficienti indizi di abuso del diritto o dell’esistenza di una costruzione di puro artificio, eccede quanto è necessario al fine di prevenire l’elusione e l’evasione fiscale. In particolare:

  • Il contrasto con l’art. 1, par. 2, della Direttiva Madre-figlia discende dalla constatazione che il mero richiamo al controllo diretto o indiretto della società madre da parte di soggetti residenti in Stati terzi non rappresenta un adeguato indizio di abuso del diritto, posto che “…non può in nessun modo dirsi, genericamente, che il trattamento fiscale di distribuzioni di utili a società al di fuori dell’Unione sia più favorevole nello Stato membro della società madre o della società madre di quest’ultima rispetto alla Francia” (cfr. punto 29) e, comunque, la contestazione di una forma di abuso del diritto deve fondarsi su “… un esame delle obiettive e verificabili circostanze del caso di specie”, non essendo a tal fine ammissibile ricorrere a “…una presunzione generale di realizzazione di elusioni fiscali” (cfr. punto 30);
  • con riferimento alla libertà di stabilimento, l’Avvocato Generale rileva che una norma come quella in esame può essere compatibile con tale libertà solamente nella misura in cui è volta a contrastare le cd. costruzioni di puro artificio. A questo proposito, precisa altresì che:
    o perché possa ritenersi esistente una “costruzione di puro artificio”, deve risultare da elementi oggettivi che, malgrado il formale soddisfacimento dei presupposti per la concessione dell’esenzione fiscale, lo scopo perseguito con la libertà di stabilimento non viene conseguito;
    o nel caso di specie, tale contrarietà allo scopo può ritenersi sussistente, quando, sulla base di una valutazione complessiva delle circostanze, “…risulti che l’esenzione dalla ritenuta alla fonte vada a beneficio non della società che percepisce i dividendi, avente sede nell’altro Stato membro, ma in realtà, direttamente, di una persona di uno Stato terzo. Infatti, la libertà di stabilimento tutela fin dal principio solo le persone appartenenti a Stati membri” (cfr. punto 56);
    o al fine di valutare l’esistenza di una costruzione di puro artificio, occorre prestare attenzione alla “reale natura” della società intermedia: pertanto, “… si riterrà esistente una struttura artificiosa qualora la società rappresenti soltanto una sede fittizia nel senso di una società “fantasma”. Anche nel caso in cui vi sia una presenza fisica, l’artificiosità potrebbe peraltro risultare dalle circostanze finanziarie e personali della specie. Al riguardo, appaiono decisivi, ad esempio, gli effettivi poteri decisionali degli organi societari, la loro dotazione di mezzi finanziari propri o l’esistenza di un rischio commerciale” (cfr. punto 57).

Considerazioni

Le conclusioni in commento, pur non essendo vincolanti per la Corte di Giustizia, meritano comunque di essere segnalate in quanto rappresentano una prima presa di posizione su una tematica che, nel corso dei prossimi mesi, dovrà essere ripetutamente esaminata dai Giudici Comunitari: infatti, sono attualmente pendenti diverse cause concernenti la compatibilità con l’art. 1, par. 2, della Direttiva Madre-figlia e le libertà fondamentali, di disposizioni nazionali che subordinano l’applicabilità dell’esenzione prevista da tale Direttiva alla circostanza che la società percettrice dei dividendi sia la beneficiaria effettiva degli stessi[4].

Il tema è inoltre di particolare impatto ai fini italiani.

Come detto, infatti, per le distribuzioni di dividendi effettuate fino al 31 dicembre 2015 da società figlie residenti in Italia trova applicazione una norma antielusiva – l’art. 27-bis, comma 5 del D.P.R. n. 600/1973 – sostanzialmente uguale all’art. 119-ter francese. In quest’ambito è noto che l’Amministrazione finanziaria, spesso nega tout-court l’esenzione da ritenuta, “con l’effetto di introdurre surrettiziamente nella direttiva madre-figlia clausole ad essa del tutto estranee, evitando, nel contempo, di motivare in modo specifico l’effettivo oggetto dei rilievi”[5].

In quest’ambito, qualora la Corte di Giustizia dovesse confermare le conclusioni in commento, possono ipotizzarsi le seguenti conseguenze nell’ordinamento tributario italiano:

  • l’impossibilità per l’Amministrazione finanziaria di avvalersi della presunzione prevista al comma 5, dell’art. 27 – bis, D.P.R. n. 600 del 1973, per emettere atti impositivi volti a negare l’esenzione da ritenuta in relazione a distribuzioni di dividendi effettuate prima del 2016 a favore di società madri comunitarie controllate da soggetti residenti in Stati terzi;
  • l’illegittimità di quegli atti impositivi già emessi ed aventi ad oggetto distribuzioni di dividendi ante 2016 che, a seguito del venire meno della sopra menzionata presunzione, si dovessero rilevare non adeguatamente motivati.

Occorre infine rammentare che a seguito della modifica dell’art. 1, par. 2, della Direttiva Madre-figlia del 2015[6], l’inversione dell’onere della prova prevista al comma 5 è stata sostituita, a partire dalle distribuzioni di dividendi effettuate dal 1° gennaio 2016, dal rinvio alla norma antiabuso generale (art. 10 – bis, Legge 27 luglio 2000, n. 212)[7].

Resta quindi da valutare l’eventuale rilevanza dei principi affermati nelle conclusioni in merito alla nozione di costruzione di puro artificio, ai fini dell’interpretazione del vigente art. 1 della Direttiva Madre-figlia (così come modificato dalla Direttiva 2015/121), nonché dell’art. 10 – bis, Legge n. 212 del 2000, al quale pone espresso riferimento la norma italiana di recepimento della predetta Direttiva 2015/121.

 


[1] Come noto, la cd. Direttiva Madre-figlia (Direttiva 90/435/CEE poi rifusa nella Direttiva 2011/96/UE), prevede che i dividendi distribuiti da una società residente in uno Stato Membro dell’UE (cd. società figlia) ad una società residente in un altro Stato membro dell’UE che possiede almeno il 20% del capitale della prima (cd. società madre), siano esentati da imposizione nello Stato della figlia.

[2] Il caso oggetto della causa C-6/16 riguarda il mancato riconoscimento dell’esenzione da ritenuta ai dividendi distribuiti nel 2005 e nel 2006 da una società francese alla propria controllante lussemburghese la quale, a sua volta, era controllata, per il tramite di una società residente a Cipro, da una società ubicata in Svizzera.

[3] L’art. 1, par. 2, della Direttiva Madre-figlia, nella versione applicabile ai fatti di causa, stabiliva che “La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi”.

[4] Cfr. cause C – 116/16 e C- 117/16. Inoltre, si rileva che analoghe questioni dovranno essere affrontate con riferimento alla Direttiva 2003/49/CE (cd. Direttiva Interessi Royalties), che accorda l’esenzione da ritenuta nello Stato della fonte per i pagamenti di interessi effettuati tra società appartenenti ad uno stesso gruppo e residenti in Stati Membri diversi (cfr. cause C – 115/16, C – 118/16, C – 119/16 e C – 299/16).

[5] Così Assonime Note e Studi 17/2016, Imprese multinazionali: aspetti societari e fiscali, allegato 2, pag. 11.

[6] L’art. 1, Direttiva 2015/121/UE, ha modificato l’art. 1 della Direttiva Madre-figlia come segue:

2. Gli Stati membri non applicano i benefici della presente direttiva a una costruzione o a una serie di costruzioni che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della presente direttiva, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti.

Una costruzione può comprendere più di una fase o parte.

3. Ai fini del paragrafo 2, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.

4. La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l’evasione fiscale, la frode fiscale o l’abuso”.

[7] Al riguardo, il nuovo art. 27 – bis, comma 5, D.P.R. n. 600 del 1973, dispone quanto segue “La direttiva (UE) 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015, è attuata dall’ordinamento nazionale mediante l’applicazione dell’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212”.  Come precisato al comma 3, art. 26, Legge 7 luglio 2016 n. 122, tale disposizione si applica “…alle remunerazioni corrisposte dal 1° gennaio 2016”.  Per approfondimenti sul tema, cfr. L. ROSSI – G. FICAI, Modifiche “antielusive” alla Direttiva Madre Figlia, Corriere Tributario, IPSOA, n. 22/2015, pagg. 1699 e ss.

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