Nel contesto di una controversia relativa alla contestazione di esterovestizione nei confronti di una società svizzera ma ritenuta fiscalmente residente in Italia, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale sull’articolo 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000.
Come noto, tale norma, introdotta dal d.lgs. n. 87 del 2024, riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata, in dibattimento, con la formula “perché il fatto non sussiste”, anche nei confronti dell’ente, della società o dei soci nel cui interesse ha agito l’imputato.
Nel caso di specie, in parallelo al giudizio tributario sugli avvisi di accertamento, nel processo penale svoltosi a carico del legale rappresentante della società svizzera, il Tribunale di Torino aveva escluso, con sentenza passata in giudicato, che la società svizzera disponesse di una stabile organizzazione in Italia, assolvendo l’imputato dai reati di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 per le annualità 2015 e 2016 “perché il fatto non sussiste”.
In particolare, la sentenza penale dibattimentale aveva accertato che l’esterovestizione contestata non potesse sussistere, in considerazione delle lacune probatorie rilevate dal giudice penale, dando rilievo ad alcune dichiarazioni testimoniali di un militare della Guardia di Finanza che, secondo il giudice penale, “non ha precisato quali documenti riferibili a [società svizzera] siano stati rinvenuti presso la sede [italiana], né tale documentazione è stata prodotta nel corso del processo. È dunque evidente che non vi sono elementi sufficienti per affermare che la S.A. avesse una stabile organizzazione in Italia e ivi fosse localizzata la gestione amministrativa della medesima. L’imputato deve pertanto essere assolto dai reati contestati … perché il fatto non sussiste”.
La Corte di Giustizia Tributaria ha riconosciuto che, in applicazione del citato art. 21-bis, tale sentenza dovrebbe produrre effetto vincolante anche nel processo tributario, precludendo la possibilità per il giudice di rivalutare gli stessi fatti materiali (cioè la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia), con conseguente annullamento “automatico” degli avvisi di accertamento relativi a quelle annualità.
La Corte ha tuttavia ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma, ritenendo che l’automatismo previsto determini una compressione del diritto di difesa dell’Agenzia delle Entrate, soggetto titolare dell’interesse alla corretta imposizione, che resta estranea al processo penale dal quale discende il giudicato, così in lesione dell’art. 24 Cost, indipendente dalla facoltà ad essa riservata di costituirsi parte civile.
In proposito, la Corte ha ricordato l’indirizzo espresso dalla Cassazione (Sez. Un., sent. 29862/2022), secondo cui il credito fiscale e le relative sanzioni non possono costituire oggetto dell’azione risarcitoria esercitabile in sede penale mediante la costituzione di parte civile. Secondo detto orientamento nomofilattico, il danno patrimoniale azionabile in sede penale sarebbe infatti “necessariamente diverso dall’imposta evasa, dalle sanzioni e dagli interessi moratori previsti dalla legislazione speciale”, e riferibile solo ad eventuali ulteriori pregiudizi subiti dalla pubblica amministrazione.
A giudizio della Corte potrebbe porsi poi un’irragionevole disparità di trattamento – in contrasto con l’art. 3 Cost. – “fra gli effetti assolutori extra penali per reati non tributari e quelli per reati tributari”.
In particolare, l’ipotizzata disparità di trattamento intercorrerebbe rispetto a quanto previsto dall’art. 652 c.p.p., che subordina l’efficacia del giudicato penale dibattimentale “perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non lo ha commesso” nel processo civile o amministrativo alla partecipazione, almeno potenziale, del “danneggiato” mediante costituzione di parte civile, laddove, di contro, nel processo tributario, l’art. 21-bis prevede un automatismo generalizzato e incondizionato.
Inoltre, tale disparità sussisterebbe anche rispetto all’art. 651 c.p.p., che limita l’efficacia del giudicato penale di condanna al solo accertamento del fatto in sede civile o amministrativa nei confronti dell’imputato, laddove secondo l’interpretazione consolidata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 2115/2024) non si produrrebbe un’analoga efficacia automatica a favore dell’erario per le sentenze penali di condanna.
Ritenendo dunque sussistenti i presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza, e reputata l’impossibilità di fornire alla norma un’interpretazione costituzionalmente orientata, la Corte ha disposto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Si fa presente che il Collegio non ha richiamato i contrasti interpretativi in sede nomofilattica tuttora aperti circa l’effettiva estensione applicativa della norma, in particolare se gli effetti del giudicato penale si proiettino anche sulla pretesa relativa al tributo, oltre che alle sanzioni, come segnalato dal recente rinvio alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 5714/2025 del 4 marzo 2025, resa pubblica alcuni giorni prima dell’ordinanza di rinvio in commento.