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Alle origini del prestito vitalizio ipotecario: il Gerodiritto

26 Ottobre 2016

Chiara Franco

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Il Gerodiritto. 1.1 Gli strumenti negoziali a tutela dell’anziano in Italia. 1.2. La cessione del quinto. 1.3. Il contratto  oneroso di rendita vitalizia. 1.4. I contratti di vitalizio improprio. 1.4.1 Il contratto di mantenimento vitalizio. 1.4.2 (segue). Il contratto di vitalizio alimentare. 1.4.3 Il contratto di vitalizio assistenziale.1.5 La donazione modale. 1.6 La clausola testamentaria di assistenza, i trust autodichiarati, i negozi di destinazione a favore dello stesso costituente. 2. Il fenomeno house rich, cash poor. L’“inadeguatezza” del contratto di vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto e l’esigenza di un “legal transplant”.2.1. Il reverse mortgage. 2.2  L’evoluzione dell’equity release schemes: il sale model e il loan model. 2.3 La diffusione dell’ equity release schemes in Inghilterra. 2.4 Segue: l’home equity conversion mortgages  negli USA. 2.5 In Francia: il pret viager hypothecaire. 3. Il prestito vitalizio ipotecario: la “doppia nascita”. 3.1 L’art. 11-quaterdecies della legge 248/2005. 3.2 La proposta di legge DDL 2272 bis A. 3.3 Il rilancio dello strumento nella l. 44/2015 e il decreto del MISE 22 dicembre 2015, n. 226. 4. Il prestito vitalizio ipotecario: cenni.4.1. Uno sguardo generale all’istituto.

 

1. Il Gerodiritto.

1.1 Gli strumenti negoziali a tutela dell’anziano in Italia.

Con il termine “Gerodiritto” intende farsi riferimento a tutti quegli strumenti negoziali adoperati da un soggetto di una certa età che, per migliorare la propria qualità della vita, investe la ricchezza accumulata nel corso degli anni per ottenere dei vantaggi, come l’erogazione di credito, o allo scopo di ricevere assistenza. Una definizione così generica è imposta dalla diversità degli strumenti tra loro, sia in relazione alla fonte da cui essi derivano (legislativa, giurisprudenziale o dottrinale), sia guardando alle finalità perseguite dal soggetto (ottenere credito o assistenza, e, in relazione a quest’ultima, le diverse modalità in cui essa può esplicarsi).

Al giorno d’oggi, la diffusione di questi istituti nella prassi è dovuto ad una serie di fattori:

– la popolazione italiana è tra le più “vecchie”: il 21,7% degli italiani ha più di 65 anni, gli ultraottantenni rappresentano il 6,5% della popolazione e, nel 2014, in Italia risiedevano circa 19 mila ultracentenari;

– la longevità influisce sul diritto: inseguendo il mito dell’ “eterna giovinezza”, si stipulano dei contratti che servono ad agevolare l’accesso al credito di chi, non essendo più lavoratore, non sembrerebbe essere apprezzato dagli istituti di credito;

– nel contesto italiano la maggior parte della ricchezza è concentrata nella popolazione più anziana: i dati Istat mostrano come il 39% delle famiglie italiane, con capo-famiglia pensionato, possieda il 73% delle attività finanziarie;

– l’Italia è una Repubblica “fondata sul mattone”:la ricchezza degli italiani in termini di abitazioni oscilla tra i 4.200 miliardi di euro e i 5.400 miliardi[1].

Questi coefficienti hanno portato alla rivalutazione di alcuni negozi giuridici che, se inizialmente non erano stati pensati per un soggetto in età avanzata, nell’attuale contesto socio-economico sembrano a questo dedicati (come nel caso della cessione del quinto, che dal 2005 è usufruibile anche dai pensionati). In un’altra direzione, la giurisprudenza, partendo dal contratto di rendita vitalizia, ha consacrato come autonomi i contratti che a questo si rifanno (il contratto di mantenimento e il contratto di vitalizio assistenziale), mentre la dottrina procede alla configurazione di nuove figure (contratto di vitalizio alimentare).

La sfida più grande che il mondo giuridico ha dovuto affrontare è quella del fenomeno “house rich, cash poor” (ossia la mancanza di liquidità, in particolare per gli anziani, a fronte di un imponente patrimonio immobiliare) e, in un primo momento, il contratto di vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto sembrava aver dato una risposta valida alle esigenze dei contraenti, dal momento che, pur allungando i tempi di domanda e offerta, i loro interessi erano (relativamente) soddisfatti dall’operazione economica. Successivamente alla crisi economica degli ultimi anni, la mancanza di domanda ha portato alla sfiducia degli offerenti, inoltre i proprietari degli immobili non godono della necessaria “tranquillità” per poter aspettare di vedere saldato il proprio credito. In questo scenario, si decide di “trapiantare” in Italia un istituto tipico del common law, ribattezzandolo “prestito vitalizio ipotecario” .

Partire dall’analisi degli strumenti di “Gerodiritto” già solidi nel nostro ordinamento è necessario affinché si possano comprendere le peculiarità del prestito vitalizio ipotecario, che, se da un lato è “figlio della fretta”, e quindi poco attento agli interessi in gioco, dall’altro potrebbe effettivamente soddisfare le esigenze del consumatore più anziano, magari con sue alcune rimodulazioni in seguito a quelli che saranno i problemi che si paleseranno in sede d’applicazione.[2]

1.2. La cessione del quinto.

La cessione del quinto dello stipendio rientra tra i contratti di finanziamento chirografari e rappresenta una delle forme di prestito personale maggiormente utilizzate dalla clientela più anziana. Nella disciplina originaria del Testo Unico D.P.R. 180/1950 era riservata esclusivamente agli impiegati civili e militari e i salariati delle amministrazioni dello Stato in attività di servizio, in quanto parti di un rapporto di impiego e di lavoro stabile (intercorrente da minimo quattro anni) e beneficiari di stipendi o salari fissi e continuativi.

Con le modifiche apportate dalla Legge Finanziaria del 2005, il legislatore ha esteso anche ai pensionati[3] la facoltà di contrarre prestiti verso cessione di quote della pensione fino al raggiungimento della soglia del “quinto”. L’operazione è particolarmente sicura, perché i debitori vengono ritenuti “affidabili” dal punto finanziario in considerazione della loro situazione complessiva, (possono essere anche cattivi pagatori o protestati e non sono necessarie garanzie aggiuntive): il rischio insolvenza è ridotto a zero dall’istituto previdenziale (o dal datore di lavoro) che provvede direttamente a trattenere la quota che dovrà essere girata alla società finanziaria creditrice. Per quanto riguarda il rimborso della rata del prestito da parte dei pensionati, è possibile cedere, al fine di evitare un indebitamento eccessivo, fino a un quinto della propria pensione netta (20%, salvaguardando la pensione minima di sopravvivenza di 500 euro), e se uno stesso soggetto è titolare di più pensioni queste sono cumulabili (naturalmente, se queste sono erogate dal medesimo ente pensionistico).

Il risultato, a prima vista, sembrerebbe vantaggioso per il finanziato per una pluralità di motivi: l’operazione si risolve tutta sul terreno della liquidità; non è richiesta alcuna motivazione sulla destinazione del finanziamento; a occuparsi del rimborso delle rate è direttamente l’ente previdenziale, il rinnovo del prestito è facilmente concesso[4] con l’estinzione anticipata del vecchio debito e riallungando il piano di ammortamento.

In realtà, a fronte della facilità con cui al pensionato è concesso il credito, la finanziaria si tutela prevedendo che, contestualmente all’accensione del finanziamento, la stipulazione di un’ assicurazione premorienza obbligatoria[5], il cui costo è parametrato all’età e al sesso del richiedente: in caso del decesso del finanziato anticipatamente rispetto all’estinzione del debito, questa non subirà alcuna perdita.

Il costo complessivo risulta molto gravoso per il pensionato, che godrà di un capitale netto erogato di molto inferiore rispetto a quello che dovrà poi restituire cedendo il suo quinto: oltre agli interessi, vengono detratti, dal montante lordo richiesto dal pensionato, le commissioni del cessionario, le commissioni dell’agente o del mediatore creditizio, gli oneri erariali, le spese e i costi della polizza assicurativa. Proprio in relazione all’assicurazione premorienza, si riscontra come, a parità del TAN applicato alla cessione del quinto, un soggetto più anziano si ritroverà a dover pagare un TAEG molto più elevato: con una sostanziale elusione dell’art. 644, comma 4, c.p., laddove è previsto che per “la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

In sostanza, nel calcolare il tasso usurario, dovrebbe essere effettuata una sommatoria che ricomprenda tutti i costi che il debitore dovrà sopportare: ma la Banca d’Italia, fino all’agosto del 2009, sembrava aver dimenticato che, nel rilevare il TAEG, in base al quale è determinato il superamento del tasso usura (l. 108/96), si dovesse tener conto del costo della polizza assicurativa. Questa voce è stata considerata solo da tale momento: con la pronta reazione delle Banche che, sostenendo di essersi basate sulle Istruzioni della Banca d’Italia, hanno sostenuto che il costo della polizza non debba essere preso in considerazione ai fini del rispetto del tasso usurario.

Il dibattito, a quel punto, si è incentrato sulla valenza delle Istruzioni, considerando le conseguenze economiche a cui andrebbero incontro i finanziatori: l’art. 4 della l. 108/96, recante Disposizioni in materia d’usura, sostituiva il secondo comma dell’art. 1815 c.c. e, laddove prima i convenuti interessi usurari erano dovuti solo nella misura legale, sono ora qualificati come nulli, con la conseguenza che il prestito diventa gratuito, al debitore è dovuta la restituzione di quanto illegittimamente pagato e lo stesso è obbligato per il rimborso del solo capitale. La giurisprudenza, sposando l’orientamento più favorevole ai finanziati, da un lato ha affermato che le spese di assicurazione devono essere prese in considerazione ai fini del tasso usurario[6], e dall’altro ha specificato che le Istruzioni della Banca d’Italia non hanno efficacia precettiva nei confronti dei giudici, i quali accertano il TEG applicato alla singola operazione, né devono essere osservate dagli operatori finanziari nel momento in cui stabiliscono il tasso di interesse del singolo rapporto, “e ciò sia perché le stesse non sono finalizzate a stabilire il TEG, sia perché sono disposizioni non suscettibili di derogare alla legge”. [7]

Posto che l’usura c’è, si tratterà di usura genetica o sopravvenuta?[8] Le modifiche delle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia, che sopravvengano nello svolgimento del rapporto, sono state configurate più di una volta dall’Arbitro Bancario Finanziario[9] come ipotesi di usura sopravvenuta[10], con la conseguenza che al cliente sono inopponibili i tassi soglia eccedenti, sopravvenuti nel corso del contratto e, in base all’ art. 1399 c.c., il tasso sarebbe legalmente ridotto al limite rilevato. L’eccessiva sproporzione delle prestazioni, ingiustificata dal punto di vista giuridico sembra rinviare direttamente alla figura dell’ usura originaria: la precedente interpretazione della Banca di Italia, pertanto, sembra porsi in contrasto alla disciplina legislativa, travalicando la discrezionalità consentitale dalla l. 108/96.[11]

1.3. Il contratto oneroso di rendita vitalizia.

Lo strumento principe del Gerodiritto previsto dal codice civile è quello della rendita vitalizia, disciplinato agli art. 1872 ss. c.c., che, pur non avendo attualmente una rilevante applicazione pratica, era già nota al diritto romano per poi trovare piena affermazione nel Medio Evo[12] . A conferma della sua storicità, nel codice non si rinviene una “norma definitoria”: in linea di massima, questo rapporto giuridico prevede che un soggetto, il cosiddetto vitaliziante, si obblighi ad una prestazione periodica, di denaro o di altre cose fungibili, a favore di un altro, il vitaliziato, per tutta la durata della vita di un determinato soggetto, che può essere il beneficiario stesso, un’altra persona (anche se importa una liberalità, non si richiedono le forme della donazione) o anche più persone (in quest’ultimo caso, la parte spettante al creditore premorto si accresce a favore degli altri, salvo patto contrario). L’obbligazione di rendita, a prescindere dalla fonte da cui scaturisce il rapporto, è costante[13]. Analizzando il rapporto generato dalla stipulazione del contratto oneroso, si vedrà come questo sia obbligatorio e sinallagmatico: a fronte delle prestazioni periodiche, la cui causa è unica, il vitaliziato aliena un bene mobile o immobile o cede un capitale. Si può notare come la prestazione del vitaliziato sia istantanea (il contratto ha inoltre natura consensuale, salvo diversa pattuizione delle parti), mentre la prestazione del vitaliziante, sì determinata nel suo essere periodica, è caratterizzata dall’indeterminatezza del termine.

Si è alla presenza di un contratto aleatorio: la durata della prestazione del vitaliziante rende impossibile calcolare quale delle due parti sarà avvantaggiata dall’esecuzione del contratto e, anche se “l’esistenza del rischio circa l’ammontare di quella che potrà essere la prestazione di almeno una delle parti non contrasta con la natura del contratto, che resta pur sempre a prestazioni corrispettive”[14], la causa è ormai permeata dall’alea, dalla una non corrispondenza iniziale oggettiva, necessaria all’esistenza del contratto.[15] L’oggetto e la causa del contratto sono quindi legati alla durata indeterminata di una vita umana: questo distingue la rendita vitalizia dalla “cugina” rendita perpetua, che si configura come contratto commutativo, laddove al diritto perpetuo di una parte, trasmissibile agli eredi, fa specchio il diritto potestativo di riscatto del debitore. La necessità dell’indeterminatezza della vita umana, e quindi della prestazione complessiva che il vitaliziante dovrà sopportare, emerge con chiarezza dal dato testuale, ossia dalla previsione espressa di nullità del contratto ex art. 1876 c.c. nel caso di rendita costituita su persona già defunta[16]. La giurisprudenza, facendo leva su quest’ultimo e tenendo conto dell’interpretazione “storica” dell’istituto, ha elaborato due modelli per i quali l’alea debba ritenersi insussistente (e, di conseguenza, in mancanza di essa il contratto nullo per difetto di causa) dato che le parti, al momento della conclusione del contratto, in relazione al rapporto tra il valore economico delle prestazioni delle o delle condizioni fisiche del vitaliziato, erano effettivamente in grado di prevedere quali sarebbero state le sorti economiche dell’operazione, non sussistendo così il requisito dell’equivalenza del rischio:

– in ordine al rapporto tra il valore complessivo delle prestazioni dovute dal vitaliziante e il valore del cespite patrimoniale ceduto in corrispettivo: quando l’entità della rendita non sia superiore al frutto dei beni alienati dal vitaliziante o sia ad esso superiore in misura ridotta, potendosi escludere, considerando “la probabile durata della vita contemplata, ogni alternativa di guadagno o di perdita”[17];

– in relazione alle condizioni di età e di salute del vitaliziato: quando il beneficiario della rendita sia affetto da grave malattia oppure in età “particolarmente avanzata”, rendendo così prefigurabile con ragionevole certezza, già al momento della conclusione del contratto, il tempo del suo decesso.[18] La sussistenza dell’alea è un elemento oggettivo della fattispecie, il che vuol dire che il contratto è affetto da nullità anche quando, in buona fede, una delle parti abbia ignorato che il vitaliziato o il soggetto in base al quale si determina la durata della prestazione del vitaliziante sia affetto da una malattia che, per natura o gravità, sussista al momento della conclusione del contratto e renda certa o estremamente probabile la sua prossima morte. [19]

L’esistenza dell’alea deve essere verificata in modo particolarmente stringente quando viene ceduto un immobile: in tal caso ben potrebbe trattarsi di un contratto simulato per nascondere una donazione, al fine di eludere i diritti spettanti ai legittimari. L’alea andrà pertanto “verificata tenuto conto del valore dell’immobile trasferito al vitaliziante rispetto all’importo della rendita da erogare al vitaliziato per la probabile durata della vita dello stesso, e resta esclusa ove ricorra un’obiettiva sproporzione tra valore e rendita”[20]: se, in relazione all’età del soggetto, “il canone versato è così sproporzionato rispetto al valore dei beni trasferiti”[21], questa dovrà escludersi, in quanto “la prestazione posta a carico dell’onerato deve essere tale da poter potenzialmente intaccare il costo del cespite trasferito”.[22]

Per quanto riguarda la risoluzione del contratto, l’art. 1877 c.c. si riferisce in modo esplicito alla sola rendita vitalizia costituita a titolo oneroso e al caso in cui il promittente non dia o diminuisca le garanzie pattuite (equiparando l’omissione di cautele alla diminuzione delle medesime): se il creditore ha visto rafforzata la propria posizione dalla costituzione di una garanzia, la risoluzione del rapporto dipende dalla natura sinallagmatica di questo, e quindi un eventuale terzo beneficiario non può avvalersi di questa speciale sanzione rescissoria.

In realtà, la prestazione di garanzie reali o personali non è prescritta come elemento essenziale del contratto oneroso (a differenza di quanto disposto all’art. 1864 c.c., in tema di rendita perpetua): nel caso in cui la prestazione del vitaliziato consista nell’alienazione di un immobile, opera la garanzia dell’ipoteca legale, ex art. 2817 n.1 c.c., ma questa è rinunciabile senza intaccare la validità del contratto (nella pratica, il creditore cerca di tutelarsi quanto più possibile dall’inadempimento del debitore). Viceversa, l’art. 1878 c.c. che, in mancanza di pagamento delle rate scadute, prevede la soddisfazione coattiva, è riferibile non solo alle parti del contratto, ma anche ai terzi beneficiari che non ne siano costituenti: pur essendo un contratto a prestazioni corrispettive, il mancato pagamento delle rate scadute non è causa di risoluzione, a meno che le parti non abbiano convenuto diversamente con un’apposita clausola, essendo la norma derogabile. Viene sancito espressamente anche il divieto di riscatto, giustificato dall’impossibilità di determinare il quantum dovuto, pur se questo può essere superato dalla convenzione contraria, non essendo considerato dalla dottrina un “divieto di ordine pubblico”[23]. Tuttavia, la superabilità del divieto sembra porsi in contrasto con quello che è stato tradizionalmente considerato lo scopo del contratto di rendita vitalizia, in particolar modo quando la fonte sia quella del contratto oneroso, ovvero l’affidamento del beneficiario, fino alla fine dei suoi giorni, sulla prestazione del vitaliziante: l’alea del contratto va riferita infatti al costo complessivo dell’operazione, non al “se”.

Creare questa “scappatoia” al momento della conclusione del contratto vuol dire privare il beneficiario della tranquillità che, pur non volendo far riferimento alla funzione “previdenziale” da sempre ricondotta all’istituto, pur costituisce parte della causa del contratto stesso. In ogni caso, la rendita è dovuta per tutto il tempo per il quale sia stata costituita, per quanto gravosa sia divenuta la sua prestazione: nonostante sia un contratto a prestazioni corrispettive, la natura aleatoria di questo rende irrilevante la eccessiva onerosità che sia sopravvenuta alla conclusone dello stesso.

Per quanto concerne le modalità del pagamento della rendita, l’art. 1880 c.c. disciplina esclusivamente il caso in cui questa sia costituita per atto inter vivos: in assenza di diverso accordo delle parti, ciascuna rata è dovuta dal giorno in cui è scaduta; viceversa, il creditore è tenuto in proporzione del numero dei giorni vissuti da colui sulla vita del quale è costituita (c.d. sistema delle rate posticipate)[24].

Dal momento che il rapporto di vitalizio si configura come obbligazione di durata ad esecuzione periodica, bisogna considerare che, durante la vita del contratto, ci possano essere delle novazioni per quanto riguarda le parti. Dal punto di vista del soggetto passivo, oggetto della prestazione del vitaliziante è la dazione di denaro o altre cose fungibili, quindi questi potrà essere sostituito nel debito per atto inter vivos[25] (previo consenso del vitaliziato-ceduto); nel caso di premorienza di debitore rispetto al vitaliziato, succederanno gli eredi, che saranno tenuti pro quota al pagamento (ex art. 752 c.c., nomina hereditaria ipso iure dividuntur).

È ben possibile che, fin dall’origine, tenuti alla prestazione della rendita siano una pluralità di soggetti: se l’obbligo non è ripartito pro quota, queste si presumono uguali. Questo anche dal lato del creditore: l’art. 1874 c.c. prevede espressamente la possibilità di costituire la rendita a favore di più persone, sancendo che la parte spettante al creditore premorto si accresca a favore degli altri, sempre facendo salvo il patto contrario o il caso in cui l’intenzione dei contraenti sia dubbia. I vitaliziati saranno in questo caso tutti parti contrattuali (a differenza di quanto accade nel vitalizio a favore di un terzo che, invece, non entrerà mai a far parte del rapporto sinallagmatico[26]) configurandosi quindi una rendita congiunta soggetta alla disciplina della solidarietà.

Infine, in relazione alla forma del contratto, la rendita vitalizia costituita a titolo oneroso “deve farsi per atto pubblico o per scrittura privata” (art. 1350, n. 10 c.c.)[27], indipendentemente dal bene oggetto della rendita e, nel caso in cui questa venga costituita a fronte della cessione di un bene immobile, si dovrà procedere alla trascrizione (quindi sarà necessario che l’accordo sia “consacrato” da un atto pubblico, da una scrittura privata autenticata o da una sottoscrizione giudizialmente accertata).

1.4. I contratti di vitalizio improprio.

Nella prassi, lo scopo del contratto di rendita vitalizia, individuato dalla “tranquillità”[28] del creditore al percepimento della rendita, si è evoluto in relazione alla prestazione del vitaliziante, caratterizzata da un “accrescimento” permeato da una finalità previdenziale o assistenziale: il debitore non è tenuto alla mera dazione di una res, ma deve provvedere alle esigenze di vita del vitaliziato e a tali esigenze dovrà conformare la sua prestazione.

Questi contratti atipici, definiti anche come “vitalizi impropri”, vengono stipulati per “soddisfare molteplici e diverse esigenze della parte beneficiaria della prestazione di vitalizio, esigenze che difficilmente sarebbero assolte ricevendo una rendita e, concludendo un tipico contratto di rendita vitalizia”[29]. Si assiste quindi ad un “rafforzamento” dell’alea: se, nel modello di riferimento costituito dalla rendita vitalizia, questa è direttamente correlata alla durata della vita del creditore, quindi al quantum, ad un sacrificio principalmente economico, con l’affermarsi di questi contratti atipici è anche il quomodo della prestazione a non essere preventivabile nel calcolo del rischio.

La giurisprudenza ha consacrato come validi il contratto di mantenimento vitalizio e il contratto di vitalizio alimentare mentre la dottrina, dal suo canto, ha estrapolato dal contratto atipico di mantenimento vitalizio la figura del contratto di vitalizio assistenziale.

1.4.1 Il contratto di mantenimento vitalizio.

Il contratto di mantenimento vitalizio è quel contratto aleatorio con il quale una parte si obbliga, a fronte della cessione di un bene mobile, di un bene immobile o di un capitale, a fornire “assistenza di ogni genere” e “alloggio e vitto e ogni altro genere utile e necessario al sostentamento ed abbigliamento”[30].

Questa figura atipica presenta diverse analogie con il contratto di rendita vitalizia: sono entrambi contratti consensuali; sono legati all’elemento aleatorio della durata della vita del beneficiario della prestazione; possono essere entrambi a titolo gratuito o a titolo oneroso (configurandosi, in quest’ultimo caso, come contratto a prestazioni corrispettive); sul piano degli effetti, sono obbligatori in relazione alla prestazione del beneficiato e reali per quanto riguarda l’acquisto del bene del soggetto obbligato alla prestazione. La peculiarità del contratto di mantenimento vitalizio è che l’alea è “doppia”. In relazione alla componente aleatoria, per la parte comune che essa presenta al contratto di rendita vitalizia, si ci dovrà rifare al criterio dell’equivalenza del rischio, da effettuarsi alla stregua dei due modelli ricavati dalla giurisprudenza: la comparazione delle prestazioni dovrà essere effettuata sulla base di dati omogenei (capitalizzazione della rendita reale del bene, del capitale trasferito e capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitalizzante)[31], da valutarsi al momento della conclusione del contratto; inoltre, dovranno considerarsi le obiettive condizioni di salute e l’età del beneficiario (anche nel caso del contratto di mantenimento, l’alea non sussiste se questi era affetto da una grave malattia tale da prefigurarne la morte entro un breve arco temporale, o in relazione all’età particolarmente avanzata)[32].

Al primo “strato” di alea, è da aggiungere il secondo, in quanto il contenuto della prestazione del debitore che non è predeterminabile a priori. Il debitore, oltre all’incertezza del termine del contratto, non è in grado di valutare preventivamente quale ne sarà l’effettiva modalità di esecuzione, dal momento che questa è destinata a variare giornalmente, in relazione alle condizioni di salute e alle esigenze del beneficiario, e richiedendo una serie di attività che, essendo afferenti alla quotidianità, non sono tutte preventivabili: ad es., vitto, alloggio, assistenza medica, pulizia della casa, cura della persona, compagnia, trasporto, ecc., arrivando a ricomprendere perfino un’assistenza “morale e spirituale”.

La prestazione continuativa è quantitativamente e qualitativamente variabile (a differenza del contratto di rendita vitalizia, non è qualificabile come periodica), riferendosi alla sfera personale e privata del beneficiario, e difatti questa serie di obblighi sembrano essere strutturalmente caratterizzati da un forte intuitu personae, soprattutto in relazione agli obblighi di fare.

La relazione contrattuale delle parti è quindi descrivibile con il sintagma do ut facias (a differenza del contratto di rendita vitalizia, laddove il sinallagma è quello del do ut des). Proprio per questo, si ritiene che la prestazione sia un facere infungibile: quindi, non solo non trasmissibile agli eredi ma, soprattutto, non suscettibile si esecuzione specifica. Non si può protendere per l’applicazione analogica dell’art. 1878 c.c. che, nel caso di inadempimento del vitaliziante, prevede lo strumento dell’esecuzione coattiva; viceversa, l’unica evoluzione del momento patologico è data dalla risoluzione per inadempimento, che nel modello-madre è esclusa.

Sarebbe pertanto preferibile, per dirimere ogni dubbio, inserire nel contratto di mantenimento una clausola risolutiva espressa, ex art. 1456 c.c., per stabilire quali sono le modalità stabilite nel contratto che, se non rispettate, portano alla sua risoluzione di diritto dopo la dichiarazione della parte interessata, in modo da sciogliere i dubbi interpretativi in relazione all’importanza dell’inadempimento. Infatti, da contraltare alle molteplici modalità di esecuzione della prestazione (che sono di natura tale da non poter configurare un inadempimento tale per cui l’unica soluzione è da trovare nella cessazione del rapporto), fanno quei casi in cui la gravità dell’inadempimento puòaddirittura privare il creditore del minimo indispensabile per la sopravvivenza.[33]

Una parte della dottrina[34] ha sostenuto che, in realtà, non tutte le prestazioni sarebbero completamente infungibili, con la possibilità che il rapporto non si estingua nel caso di premorienza del debitore (con trasmissione dell’onere a carico degli eredi, almeno in forma di equivalente monetario) o di inadempimento (il creditore dovrebbe affidare l’esecuzione della prestazione ad un terzo, ponendo le spese a carico dell’inadempiente). In realtà, accedendo a tale impostazione, si rischierebbe di snaturare quella che è la causa del contratto, la cui sussistenza è legata, oltre che all’alea, alle prestazioni di natura assistenziali, infungibili non in sé, ma in relazione alla relazione personale e fortemente condizionata dall’intuitu personae: ed è proprio questa caratteristica del contratto che, scagionandolo come species del più ampio genus dettato dalla rendita vitalizia, ha portato alla sua configurazione autonoma da parte della giurisprudenza. [35]

1.4.2 (segue). Il contratto di vitalizio alimentare.

L’ampiezza della prestazione serve anche a differenziare il contratto di mantenimento dal contratto di vitalizio alimentare (detto anche vitalizio improprio)[36]: in questo caso, a fronte della cessione del bene mobile, del bene immobile o del capitale, il debitore di obbliga alla corresponsione di alimenti fino all’evento morte. La duplice alea è quindi delineata dalla durata del contratto e dalle condizioni di vita del vitaliziato. Infatti, l’ammontare della prestazione dovrà essere determinato, in virtù del richiamo all’obbligazione alimentare, in base ai parametri previsti all’art. 438 c.c.: lo stato di bisogno dell’alimentando, le sue esigenze materiali, morali e sociali, la composizione del suo nucleo familiare; inoltre, si dovrà aver riguardo anche a quelle circostanze estrinseche alla sua sfera soggettiva (ad es., la svalutazione monetaria). Gli alimenti sono erogati in denaro, salvo trasformazione della prestazione in natura. [37]

Le condizioni del vitaliziato, in conclusione, si inseriscono nell’alea del contratto, determinandone la sua autonomia rispetto alla figura del contratto di mantenimento, con cui ha pur sempre in comune la natura anche assistenziale e spirituale della prestazione, che configura il facere infungibile in quanto legato all’intuitu personae (con la conseguente inapplicabilità del rimedio di cui all’art. 1878 c.c.).[38]

1.4.3 Il contratto di vitalizio assistenziale.

La dottrina ha poi individuato il contratto di vitalizio assistenziale “con cui una parte si obbliga per tutta la durata della vita del beneficiario a prestargli assistenza materiale e morale, in cambio del trasferimento di un bene mobile o immobile”.[39] Anche qui ci si trova di fronte a un facere infungibile, ma che sarebbe, per così dire, meno ampio rispetto al contratto di mantenimento,essendo l’accento posto su un’assistenza, quindi su un facere mitigato: e infatti l’individuazione nella figura difficilmente riesce a staccarsi dalla donazione modale con onere a carico del destinatario di prestare cura o assistenza o in generale di provvedere alle esigenze del donante.

Il contratto di vitalizio assistenziale è anch’esso caratterizzato dalla doppia alea, determinata dall’incertezza della durata di vita del vitaliziato e dalla “variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto allo stato di salute del vitaliziato stesso”[40] . Essendo il facere configurabile come infungibile, anche in questo caso, non si applicherà l’art. 1878 c.c., ma si avrà la risoluzione del contratto a seguito di inadempimenti di non scarsa importanza.[41]

1.5 La donazione modale.

Ricercando nella donatio cum onere la ratio sottesa agli strumenti di gerodiritto finora analizzati, bisogna far riferimento ai casi in cui il motivo che acquista rilevanza è quello di vedersi garantita, a fronte della cessione di un bene mobile o immobile, un’assistenza materiale e/o spirituale da parte del donatario. È da sempre ammesso, infatti, che lo spirito di liberalità sia accompagnato da un onere nei confronti del beneficiario (cuius est dare, eius est disponere!) , tant’è vero che, in negativo, l’onerato non è mai tenuto all’adempimento per la parte in eccedenza, ex art. 793 c.c.

A differenza della donazione condizionata, in questo caso l’onere imposto è una vera e propria obbligazione il cui inadempimento, se espressamente previsto, porterà alla risoluzione della stessa. Lo spirito di liberalità andrebbe a confutare l’esistenza di un’alea: se l’alea, infatti, presuppone che i soggetti non siano in grado di definire quale sia il “prezzo” del rapporto, nel caso della donazione si presuppone che sia ben configurabile uno “svantaggio” del donante a fronte del donatario. Sembra tuttavia inevitabile operare con strumenti a carattere presuntivo: ad esempio, la sussistenza del rapporto di parentela è un elemento che depone a favore dell’intento liberale. Le conseguenze, naturalmente, non sono di poco conto: la risoluzione dovrà essere espressamente prevista, ed è soggetta alla collazione e alla riduzione.

1.6 La clausola testamentaria di assistenza, i trust autodichiarati, i negozi di destinazione a favore dello stesso costituente.

Si è palesata, talvolta, la possibilità di finalizzare lo strumento principe del “Gerodiritto”, il testamento, alla finalità dei contratti di rendita c.d. impropri, apponendo la condizione di assistenza materiale e morale. Il primo rilievo, che depone in favore della soluzione negativa, è che la condizione è un evento futuro e incerto, mentre una condizione di assistenza, al momento dell’apertura della successione, è già più che avverata, sorpassata.

Essendo il testamento un negozio che non produce effetti in vita, e l’assistenza collocandosi prima, mancherebbero i requisiti della collocazione nel futuro: chi deve assistere o sa del testamento o non sa, ma, se non sa nulla, non è obbligato, non essendo il testamento un atto recettizio. Se invece l’assistente sa e partecipa all’avveramento di una “condizione”, sembrerebbe configurabile un patto successorio: c’è una compartecipazione nelle finalità del testatore e c’è un accordo i cui effetti si dispiegherebbero dopo la morte di uno dei due contraenti.

Si possono menzionare, inoltre, i cosiddetti trust “autodichiarati”, che la giurisprudenza tributaria[42], con obiter dicta che valgono anche in ambito civilistico, ha ritenuto nulli (dal momento che il disponente e il trustee coincidono, limitandosi così l’operazione ad una sorta di gestione destinata in favore di un beneficiario) o i negozi di destinazione il cui beneficiario è lo stesso soggetto costituente.

In entrambi i casi si è posto il problema della individuazione di una causa concreta diretta a realizzare un interesse ulteriore, piuttosto che la semplice prefigurazione di uno scopo, che giustificherebbe l’effetto segregativo e la conseguente limitazione del diritto di soddisfazione proprio dei creditori.

2. Il fenomeno house rich, cash poor. L’“inadeguatezza” del contratto di vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto e l’esigenza di un “legal transplant”.

I vari strumenti di “Gerodiritto” finora esaminati, tuttavia, non risolvono il problema di liquidità della fascia più anziana della popolazione, a fronte della ricchezza del suo patrimonio immobiliare: si tratta del fenomeno “house rich, cash poor”, probabilmente causato sia dalla scarsa propensione della popolazione italiana all’indebitamento, soprattutto in vista della necessità di non svuotare l’asse ereditario, sia dalla mancanza di strumenti adeguati a convertire la ricchezza “statica” in ricchezza “dinamica”.

La Fondazione Cariplo, in uno dei suoi Quaderni dell’Osservatorio[43], ha riunito in un unico database tre indagini campionarie della Banca d’Italia ( del 2006, del 2008 e del 2010) sui redditi e sulla ricchezza delle famiglie italiane: in Italia ci sono 254.000 famiglie di anziani senza figli che hanno un reddito inferiore a 20.000 euro e una casa di proprietà di valore superiore a 200.000 euro. Ne risulta che questi nuclei familiari vivono in case sovradimensionate rispetto alle loro esigenze e fruiscono di una capacità reddituale che, se di per sé bassa, è ulteriormente intaccata dalle spese di gestione dell’immobile: il patrimonio è “squilibrato”, in quanto l’immobile rappresenta una “ricchezza-ombra” destinata essenzialmente agli eredi. Il fenomeno è stato oggetto di interesse da parte della letteratura accademica anglosassone, che, a partire dagli anni Novanta, [44] ha coniato l’espressione equity release, “che non sembra avere un omologo in altre lingue” essendo “un termine, economico più che giuridico, che descrive la parte di valore disponibile detenuta da un soggetto su un determinato bene”, quindi si riferisce all’“idea economica della proprietà, individuandone il valore che può essere utilizzato anche per altri scopi”[45].

La trasformazione della ricchezza immobiliare in liquidità può avvenire, in via generale, o prevedendo un’emissione di debito (in Italia, il “rinato” prestito vitalizio ipotecario) o creando un diritto reale limitato in relazione al bene immobile: si tratta della cessione della nuda proprietà con riserva di usufrutto, che, ad oggi, rappresenta la modalità più diffusa attraverso la quale i proprietari più anziani cercano di “riequilibrare” la propria ricchezza.

Il diritto di usufruttoè diritto reale di godimento su cosa altrui a contenuto generale[46]: l’usufruttuario può quindi godere e disporre della res, traendone ogni utilità che questa può dare (compresi i frutti), ma nel rispetto della destinazione economica del bene[47].

Oggetto del diritto di usufrutto può essere un bene mobile o immobile, un credito, un titolo di credito, un’azienda, un’universalità e persino beni immateriali: tuttavia, dal momento che lo ius utendi fruendi nepresuppone la restituzione al nudo proprietario, il bene dovrà essere inconsumabile.[48]

Il diritto di usufrutto, infatti, è “per sua essenza” temporaneo, essendo restrittivo del diritto assoluto del nudo proprietario: in nessun caso l’usufrutto potrà eccedere la durata della vita dell’usufruttuario[49] e, se costituito a favore di una persona giuridica, non può durare più di trent’anni. La legge individua poi altri casi di estinzione dell’usufrutto all’art. 1014 c.c., ossia per la prescrizione del diritto (non uso durato per vent’anni); per la riunione dell’usufrutto e della nuda proprietà nella stessa persona (consolidazione); per il totale perimento della cosa su cui l’usufrutto è costituito (in caso di perimento parziale, si ha invece una modificazione); per abuso del diritto, che il legislatore, all’art. 1015, ha individuato nelle ipotesi (non tassative) dell’alienazione, del perimento, della mancanza delle ordinarie riparazioni.

In riferimento ai modi di costituzione del diritto di usufrutto, l’art 978 c.c. prevede una tricotomia: legge (usufrutto legale del genitore e di quello spettante al coniuge superstite); volontà dell’uomo; usucapione (art. 1158 c.c.; art. 1159 c.c.; art. 1162 c.c.).

Il negozio giuridico può essere mortis causa (testamento) o inter vivos: in quest’ultimo caso mediante un contratto di alienazione che abbia per oggetto la costituzione di un usufrutto o mediante un contratto che abbia ad oggetto il trasferimento della nuda proprietà (è possibile anche creare un diritto di usufrutto a favore di un terzo). La disciplina varierà naturalmente a seconda del contratto costitutivo, ma in ogni caso è necessario che questo sia stipulato in forma scritta, a pena di nullità, ed è soggetto a trascrizione.

Nonostante non sia possibile determinare la durata dell’esistenza del diritto relativo (salvo pattuizione delle parti), il contratto non è aleatorio, dal momento che “il valore del diritto, seppure con valutazione probabilistica, è determinato in modo obiettivo sulla base di coefficienti rapportati alla vita dell’usufruttuario e secondo un meccanismo stabilito dalla legge”[50]. Infatti, nei contratti aleatori, l’alea non deve necessariamente essere bilaterale, potendo prevedersi che sia a carico esclusivo di una delle parti, ma deve comunque caratterizzare il negozio “ nella sua interezza e nella sua formazione, sicché per la natura del negozio o per le specifiche pattuizioni stabilite dai contraenti divenga radicalmente incerto per una o per tutte le parti il vantaggio economico in relazione al quale le parti si espongono”[51].

Configurandosi come un contratto commutativo, è perciò applicabile la disciplina ex art. 1448 c.c.: la rescissione per lesione ultra dimidium (sussistendo i requisiti dello stato di bisogno[52], la consapevolezza della sua esistenza e l’averne tratto vantaggio), soprattutto in considerazione del fatto che l’alienante la nuda proprietà del bene immobile sia un soggetto anziano, si riflette sulle valutazioni di opportunità che l’acquirente deve svolgere prima di concludere il contratto.

Inoltre, giocano a svantaggio l’incertezza sul quando relativamente all’immissione nel possesso della res e allo stato in cui questa si troverà (anche se occorre considerare che le spese straordinarie sono a carico del nudo proprietario, quindi, presumibilmente, eventuali problemi di manutenzione dovrebbero rientrare nell’ordinarietà[53]), l’impossibilità di ricavare dal bene una rendita e la possibilità che, in base al disposto dell’art. 999 c.c., le locazioni concluse dall’usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell’usufrutto [54], continuino per la durata stabilita, ma sempre non oltre il quinquennio successivo alla cessazione[55].

La norma “realizza un equo contemperamento tra il diritto del nudo proprietario e quello del conduttore, al quale è così assegnato un congruo termine per reperire altro immobile, e prevale sulla disciplina di cui alla legge 27 luglio 1978, n.392”,[56] dettando una disciplina speciale rispetto alla c.d. legge sull’equo canone.

Dal momento che l’art. 999 c.c. introduce una deroga al principio dell’efficacia personale del rapporto obbligatorio, la norma “ha natura eccezionale e non può trovare applicazione se non nei casi espressamente previsti, quindi esclusivamente nei contratti di locazione che abbiano per oggetto immobili urbani e i fondi rustici”[57] . Infatti, la posizione di terzietà del nudo proprietario rispetto ai contratti conclusi dall’usufruttuario ed aventi ad oggetto il bene dato in usufrutto[58] è già compromessa dall’art.999 c.c. e, qualora al primo sia opponibile il contratto, al momento della cessazione dell’usufrutto si verifica un fenomeno di cessione ex lege del contratto: la comunicazione dell’evento modificativo della titolarità del rapporto non ha lo scopo di acquisire il consenso del conduttore, ma ha il solo obiettivo di porlo in grado di adempiere ai propri doveri nei confronti del soggetto subentrato ex lege nella posizione di locatore. [59]

Per ovviare al rischio di ritrovarsi un conduttore “non gradito”, il nudo proprietario ha due possibilità:

– stipulare una clausola risolutiva espressa di divieto di utilizzo indiretto della cosa, di modo che, nel momento in cui l’usufruttuario conceda la res in locazione, ecceda i limiti del suo godimento;

-divenire egli stesso conduttore, stipulando un contratto di locazione con l’usufruttuario determinando, al momento della cessazione dell’usufrutto, la caducazione del rapporto di locazione per confusione.

Dal punto di vista dei vantaggi, il nudo proprietario ha un risparmio sull’acquisto, poche spese (nessuna imposta comunale e le sole spese condominiali straordinarie), la possibilità di chiedere le agevolazioni previste per la prima casa e, infine, la sicurezza tipica di un investimento immobiliare.

Guardando alla posizione in cui si viene a trovare il proprietario che abbia alienato la nuda proprietà riservandosi il diritto di usufrutto del bene immobile, il vantaggio principale riguarda la possibilità per l’usufruttuario di monetizzare il valore del bene, continuando a conservarne la disponibilità e a goderne delle utilità, garantendosi le rendite ricavate dal compenso ricevuto; inoltre, ha la possibilità di locare l’immobile a terzi, a lui spettando i frutti civili, e di concedere ipoteca sull’usufrutto.[60]

L’usufruttuario è legittimato ad agire per la vindicatio usufructi e per tutte le azioni possessorie e petitorie relative al possesso della cosa; nel caso in cui le ingerenze dei terzi ledano anche il diritto del nudo proprietario, è tenuto a fargliene denuncia (in caso di omissione, risponde dei danni che ne siano eventualmente derivati al proprietario), ma può agire in giudizio solo in nome proprio e per il proprio interesse[61]. La legittimazione dell’usufruttuario ad agire contro le usurpazioni e le turbative di terzi è, quindi, autonoma e indipendente rispetto a quella riconosciuta al nudo proprietario.[62] In base all’art. 1013 c.c., le spese processuali delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto l’usufrutto sono sopportate dal proprietario e dall’usufruttuario in proporzione del rispettivo interesse.

Un altro vantaggio, relativo al profilo fiscale dell’operazione, è dato dalla riduzione della base imponibile dell’immobile, costituito in questo caso dal valore della sola nuda proprietà e prevista solo al momento della cessione di questa.

Con riguardo agli obblighi dell’usufruttuario[63], oltre alla diligenza del buon padre di famiglia da adoperare nell’uso della cosa e all’obbligo di restituzione alla cessazione dell’usufrutto, questi è tenuto alle spese e agli oneri relativi alla custodia, alla manutenzione ordinaria e all’amministrazione della res, è tenuto, per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte e i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito, nonché gli interessi sulle somme sostenute dal nudo proprietario per le riparazioni straordinarie e per le imposte e i pesi che gravano sul diritto di proprietà; se previsto nell’atto costitutivo, l’usufruttuario può essere inoltre tenuto al pagamento di un canone periodico in favore del proprietario.

Prima di conseguire il possesso del bene, l’usufruttuario è tenuto a sue spese all’inventario dei beni mobili e alla descrizione dei beni immobili, nonché a prestare la cautio fructuaria, da cui sono dispensati i genitori che hanno l’usufrutto legale sui beni dei figli minori e il venditore o il donante con riserva d’usufrutto (in quest’ultimo caso, se l’usufruttuario cede il suo diritto, il cessionario è tenuto a prestare garanzia). Le conseguenze derivanti dalla mancata o alla insufficiente prestazione della cauzione sono descritte all’art. 1003 c.c. che, in relazione ai beni immobili, prevede che questi siano locati o messi sotto amministrazione (affidata, con il consenso dell’usufruttuario, al proprietario o a un terzo scelto di comune accordo delle parti o, in mancanza, nominato dall’autorità giudiziaria) salva la facoltà per l’usufruttuario di farsi assegnare per propria abitazione una casa compresa nell’usufrutto.

La garanzia prestata dall’usufruttuario serve ad assicurare l’adempimento delle obblighi posti a carico dell’usufruttuario, che può perciò esserne dispensato dall’atto costitutivo o può essere oggetto di rinuncia da parte del proprietario (se tacita, deve risultare chiaramente e non può desumersi dalla semplice volontaria trasmissione del possesso, ed eventualmente può essere richiesta successivamente se, durante l’esecuzione del contratto, si verifichino le circostanze previste all’art. 1015.2 c.c.).

Il nudo proprietario, se ha consentito che l’usufruttuario conseguisse il possesso dei beni senza prestazione di idonea garanzia, può in ogni caso proporre domanda di accertamento giudiziario di prestarla[64], ma la mancata prestazione della garanzia non può essere fonte di responsabilità ex art. 1218 c.c., essendo un onere, piuttosto che un obbligo, a cui l’usufruttuario è tenuto.

Il mercato della vendita della nuda proprietà della casa di abitazione con riserva di usufrutto, nonostante sembri rappresentare una risposta soddisfacente al fenomeno “house rich, cash poor” e abbia subito un incremento del 20% nel 2014 rispetto all’anno precedente, è attualmente limitato al 9,5% del totale delle transazioni immobiliari[65].

Corresponsabili della crisi generale del mercato immobiliare sono le diverse criticità dell’istituto: già alla data della sottoscrizione del contratto, la proprietà dell’immobile esce dal patrimonio dell’usufruttuario, e di conseguenza dal patrimonio familiare, senza alcuna possibilità di riscatto da parte degli eredi; la mancanza di un mercato trasparente e sicuro, tant’è vero che, da più parti, si è auspicato l’intervento di un soggetto terzo, ad esempio un’agenzia pubblica o una fondazione, che aiuti i soggetti anziani nell’operazione[66]; la determinazione del prezzo dell’immobile che, determinata sulla base del coefficiente medio elaborato dal Ministero dell’Economia e delle finanze[67] risulta sfavorevole, a parità di condizione anagrafica, per quei soggetti le cui condizioni di salute siano più gravi rispetto ai coetanei, a vantaggio del nudo proprietario; la mancanza di tutela per un soggetto debole, quale l’anziano in cerca di liquidità; infine, il prezzo di vendita è calibrato in relazione all’aspettativa di vita dell’usufruttuario, per cui future rivalutazioni dell’immobili potrebbero andare a vantaggio esclusivo dell’acquirente la nuda proprietà.

Sulla base di queste ultime considerazioni, il legislatore, a più riprese, ha volto lo sguardo verso altri ordinamenti, alcuni a noi più vicini, come quello francese, altri, invece, “lontani” e appartenenti alla tradizione giuridica del common law. Proprio in questi ultimi la disciplina reverse mortgage (mutuo al contrario) è ben presente nella cultura giuridica, dal momento che la struttura e i principi dell’istituto sono consolidati nei precedenti giudiziari, rappresentando l’evoluzione del mortgage, termine cheidentifica il “nostro” mutuo ipotecario, essendo un finanziamento destinato esclusivamente all’acquisto di beni immobili, e si riferisce in modo indifferenziato alla garanzia, al relativo credito o all’operazione finanziaria nel suo complesso. [68]

2.1. Il reverse mortgage.

Nei sistemi di common law, fin dal Medioevo, il debitore ( c.d. mortagor), a garanzia del suo adempimento, trasferiva al suo creditore (c.d. mortagee) un diritto reale su un proprio immobile, riservandosi il diritto di riacquistarlo laddove avesse poi adempiuto regolarmente. Condizione risolutiva del trasferimento del diritto avente ad oggetto la piena proprietà del bene immobile era l’adempimento del debitore ma, nelle more di questo, il creditore acquistava sia il possesso del bene, sia i frutti da questo prodotti, che a lui restavano in caso di inadempimento dell’obbligazione, evitando così una qualsiasi procedura esecutiva o pronuncia giudiziale. Successivamente, nello schema contrattuale si è sostituita la condizione risolutiva con un obbligo di trasferimento in capo al creditore, e, nel caso di inadempimento da parte del debitore, il giudice si limitava a dichiarare l’estinzione del suo diritto al riacquisto del bene, configurandosi come un’ alienazione in garanzia, attraverso la quale il creditore spossessava il debitore e godeva delle disponibilità del bene immobile fino al suo adempimento.

La disciplina sopra esposta, pertanto, risultava nettamente a vantaggio del solo creditore: gli eventuali effetti del possesso medio tempore e, in caso di inadempimento, anche l’eccedenza del valore economico del bene, restavano nella sfera patrimoniale di questi; il termine perentorio per l’adempimento posto in capo al debitore, pena la perdita definitiva del bene dato in garanzia; le numerose situazioni qualificabili come inadempimento. I precedenti giudiziari prima e le riforme in materia di diritto immobiliare del 1925 poi, hanno riequilibrato la disciplina, e, attualmente, seppur gravato dalla garanzia concessa al creditore, il possesso e la piena disponibilità del bene restano a capo del debitore-proprietario. In caso di inadempimento, il creditore può ottenere la proprietà del bene: è necessario un provvedimento giudiziale, ma comunque si evita la procedura esecutiva, con l’obbligo di restituzione dell’eventuale eccedenza al debitore.

Questo non è l’unico scenario possibile: si può chiedere la vendita giudiziale, con la ripartizione del ricavato tra i creditori che hanno una garanzia sul bene immobile, rispettando l’ordine di preferenza (ferma restando la devoluzione del residuo al debitore); oppure, lo stesso creditore, a seguito di un processo imparziale di stima del bene e in forza di una procura a vendere conferita ex lege, può agire come trustee del debitore per la ripartizione del ricavato tra i creditori (sussistendo sempre l’obbligo di restituzione dell’eccedenza al debitore).

Lo scopo vincolato del mortgage ha spinto la prassi di common law ad elaborarne delle varianti e, ai nostri fini, ad elaborare una categoria di prestiti finanziari, denominata Equity release, che, monetizzando il valore del bene immobiliare, consentissero al debitore di impiegare il proprio finanziamento senza alcun vincolo di destinazione, non in un’ottica di liquidazione (liquidation) del valore del bene, ma di conversione di un cespite (asset) statico in un controvalore liquido (e, quindi, finanziariamente disponibile), erogato sia in un’unica che in più soluzioni periodiche.

2.2 L’evoluzione dell’equity release schemes: il sale model e il loan model.

All’interno della categoria del reverse mortgage sono individuabili alcuni schemes dedicati alla clientela più anziana e volti a risolvere le esigenze derivanti dal fenomeno “house rich, cash poor”: il soggetto finanziato continua a detenere in ogni caso il possesso del bene offerto in garanzia, ma in un caso (sale model) prevede il trasferimento della nuda proprietà del bene già al momento della sottoscrizione del contratto[69], nell’altro (loan model) si ha un prestito garantito da un’ipoteca sul bene immobile.

Il loan model, più conosciuto come lifetime o reverse mortgage, è un prestito garantito da un immobile residenziale e commisurato ad esso, riservato alla fascia più anziana della popolazione, tendenzialmente per soggetti over 60.

La prima regolamentazione nel mercato britannico si è avuta nel 1965, con il First Home Revertion Plan, dove lo strumento si rilevava poco affidabile, a causa di una disciplina poco trasparente e sicura per il debitore, dei costi elevati e costituendo la causa di un sovraindebitamento (cross-over) proprio per quei soggetti che difficilmente avrebbero potuto godere di un incremento del proprio patrimonio negli anni a venire.

Per questi motivi, gli enti erogatori si sono muniti di codici di autocondotta che, nel 1991, portarono alla nascita dello SHIP (Safe Home Income Plan), istitutoattraverso il quale gli operatori del mercato proponevano una regolamentazione del prodotto e degli standards minimi di sicurezza da adoperare a tutela dei clienti, adottando un codice di condotta (Code of practice ) vincolante per i suoi membri[70].

Nel 2013, con l’adesione allo SHIP di nuovi enti eroganti, consulenti legali, consulenti finanziari e periti per la valutazione immobiliare, si ha la nascita dell’ERC (Equity Release Council) “che ha il compito di promuovere elevati standards di condotta e buona pratica nella prestazione e nella consulenza di equity release”. [71] I membri dell’ERC hanno il dovere di agire in buona fede, privilegiando l’interesse del loro cliente ed evitando ogni sorta di conflitto di interesse, con la competenza e la massima diligenza in ogni loro comportamento; hanno inoltre l’obbligo di attenersi alle regole di condotta della FSA (Financial Service Authority), che includono obblighi di informazione al cliente da parte di un esperto qualificato.

Le maggiori garanzie di sicurezza del prodotto hanno portato ad un incremento notevole della sua diffusione, favorita anche dalla diversificazione delle modalità di erogazione e rimborso del prestito: il record si è avuto nel 2014, con un totale di finanziamenti erogati pari a 1.38 miliardi di sterline a più di 22 mila consumatori.

2.3 La diffusione dell’ equity release schemes in Inghilterra.

In Inghilterra, ponendo l’accento sulla durata vitalizia del prestito, si utilizza più frequentemente la denominazione di lifetime mortgage: al finanziato, che deve avere più di 55 anni, viene erogata una somma parametrata al valore dell’immobile offerto in garanzia in un range che varia in funzione della sua età , a prescindere da quale possa essere la sua situazione patrimoniale, e ha il diritto di vivere nella sua proprietà per tutta la vita o fin quando non abbia l’esigenza di traferirsi in una casa di cura, purché l’immobile rimanga la sua residenza principale e rispetti le condizioni del contratto di finanziamento (si vuole evitare il rischio che il soggetto anziano si “disinteressi” della manutenzione della res offerta in garanzia, a spese del finanziatore), o anche di trasferirsi in una nuova casa di proprietà, purché questa sia ritenuta idonea dall’ente erogatore come garanzia del prestito.

La parametrazione del credito concesso all’età del finanziato è dovuta al fatto che, a seguito della capitalizzazione annuale degli interessi, è ben possibile che si assista ad una crescita esponenziale del debito. L’immobile è oggetto di valutazione di un perito scelto da entrambe le parti (o da una sola di esse, con il consenso dell’altra), e deve essere da libero da ipoteche, costituendo l’unica garanzia di cui può avvalersi l’ente erogatore.

Per quanto riguarda la modalità di erogazione del prestito, nella prassi si è avuta una diversificazione che guarda alle diverse esigenze del richiedente.

Questa può aversi:

– in un’unica soluzione (lump sum): questa è la modalità richiesta maggiormente dai soggetti tra i 55 e i 64 anni, che accedono al prestito prima del pensionamento per situazioni di emergenza, piuttosto che di pianificazione economica;

– con versamenti periodici di carattere vitalizio (income o life annuity);

– con l’apertura di una linea di credito (drawdown mortgage) di cui il soggetto potrà usufruire a seconda delle sue esigenze: questa forma interessa maggiormente i soggetti over 70, che utilizzano il finanziamento come fonte di ricchezza supplementare, ed è utilizzata dai soggetti che hanno una capacità reddituale maggiore.

In relazione al rimborso del finanziamento, guardando in particolare a quella che è la restituzione degli interessi, che maggiormente ha suscitato il timore di manovre speculative da parte degli enti erogatori, si possono distinguere:

roll-up mortgage: costituisce quella che è l’ipotesi tipica di reverse mortgage, prevedendo la restituzione del finanziamento al decesso del contraente, anche relativamente agli interessi, che vengo capitalizzati annualmente, senza alcun esborso da parte del finanziato;

intersert-only mortgage: il finanziato paga mensilmente gli interessi e le spese relative al contratto;

drawdown-mortgage: il finanziato preleva periodicamente una somma, pagandone gli interessi, in base alle sue esigenze.

In ogni caso, al momento della sottoscrizione del contratto, al finanziato è mostrato un prospetto contenente la completa previsione dei costi del suo finanziamento (ad es., imposte dovute per la stipula del contratto, di istruttoria e di perizia, di assicurazione contro incendio o danni, di penale in caso di estinzione anticipata, pagamenti dovuti ai professionisti coinvolti nell’operazione) in modo da potersi avvalere della consulenza del suo legale e, molto spesso, in sede di sottoscrizione è richiesta la firma dei suoi eredi.

Ogni prodotto finanziario deve essere fornito della clausola “no must equity guarantee”, in base alla quale dopo la vendita del bene, il pagamento delle spese legali, il compenso del perito a cui è affidata la valutazione dell’immobile e la retribuzione dovuta agli agenti finanziari, qualora il ricavato non sia sufficiente a rimborsare integralmente il prestito, non è in alcun modo possibile rivalersi sugli eredi che, restituendo la somma prestata entro un certo tempo (di solito, entro un anno) dopo il decesso del contraente, possono riottenere la proprietà del bene immobile.

Nel corso dell’esecuzione del contratto, inoltre, si possono verificare delle situazioni che portano alla sua risoluzione e alla restituzione anticipata del prestito: ad es., in caso di alienazione del bene, di creazione di diritti reali limitati su questo, di dichiarazione di fallimento del debitore, di inadempimento relativamente agli obblighi di manutenzione, pagamento delle imposte e assicurazione sulla casa (può pattuirsi una clausola in base alla quale il finanziatore detrae queste spese direttamente dal finanziamento).

Se il contratto giunge a quello che è il suo termine naturale, ovvero alla morte del finanziatore, spetta agli eredi decidere se procedere al rimborso del prestito, mantenendo la proprietà (libera da vincoli) del bene immobile o lasciare che la banca lo venda, beneficiando comunque dell’eventuale plusvalore.

2.4 Segue: l’home equity conversion mortgages negli USA.

Negli Stati Uniti il reverse mortgage (con questa denominazione, si privilegia il carattere “inverso” dell’operazione rispetto a quella del mutuo) il lancio dello strumento si ha nel 1987, quando il Congresso ha disciplinato un progetto pilota avviato dalla Federal Housing Administration, dotando i finanziamenti concessi da tali enti federali (che devono essere approvati dalla medesima FHA) di una copertura assicurativa fino a una soglia massima di debito, proteggendo gli eredi dal rischio di crossover e tutelando gli enti erogatori che vedono integrato il valore dell’immobile dall’assicurazione federale qualora il ricavato della vendita non compra i costi di finanziamento e le spese. [72]

In questo modo si è avuta l’ascesa del reverse mortgage che, nel 2009, è stato utilizzato da più di 115mila soggetti della terza età, vincendo la scarsa propensione all’indebitamento dei soggetti anziani.

La disciplina statunitense, rispetto a quella britannica, ha avuto un maggiore riguardo nei confronti del soggetto finanziato, deve avere più di 62 anni: egli può godere di notevoli vantaggi fiscali, non è vincolato a nessuna penale in caso di estinzione anticipata, il diritto di abitare l’immobile fino al decesso è esteso al co-abitante menzionato nel contratto di finanziamento.

Gli obblighi a suo carico sono quelli di adibire l’immobile a residenza principale e non abbandonarlo per più di dodici mesi continuativi, di non alienare il bene immobile, di pagare regolarmente tasse e spese sulla casa, di provvedere alla manutenzione ordinaria. [73]

Gli eredi hanno sei mesi per rimborsare il debito, anche provvedendo direttamente alla vendita dell’immobile: in questo caso, il prezzo di vendita dovrà corrispondere almeno al 95% del valore stimato dal perito. Trascorsi i sei mesi, il creditore è autorizzato ad avviare la procedura di esecuzione.

Gli eredi possono accordarsi per trasferire direttamente la proprietà del bene al finanziatore, a tacitazione del debito, attraverso un apposito deed in lieu of foreclosure, evitando così la procedura esecutiva.

2.5 In Francia: il pret viager hypothecaire.

In Europa, il primo tentativo “compiuto” di legal transplant del lifetime mortgage si ha in Francia nel 2006[74] quando, con l’emanazione dell’ordennance n. 346 del 23 marzo, il Governo ha attuato la legge di delega di riforma del sistema delle garanzie reali (art 24. della l. n. 842 /05, c.d. Loi Bretòn), che, “modernizzando” l’ipoteca, ha aperto l’ordinamento francese al pret viager hypotecaire, all’hypothéque recheargable,[75] e al patto commissorio, prima reputato in modo non meno dispregiativo rispetto all’ordinamento italiano.

Anche in questo caso, nella denominazione dell’istituto si è enfatizzato il carattere vitalizio del prestito, la cui disciplina è contenuta agli art. L.314-1 ss., del Code de la Consummation, dove è definito come “il contratto attraverso cui un istituto di credito finanziario concede ad una persona fisica un prestito sotto forma di capitale o di versamenti periodici, garantiti da un’ipoteca su un bene immobile del mutuatario a esclusivo uso abitativo e in base al quale il rimborso del prestito e degli interessi, capitalizzati annualmente, non può essere concesso che al decesso del finanziato o a seguito dell’alienazione o alla distruzione della proprietà dell’immobile ipotecato, se si verificano prima del decesso. Il medesimo contratto può essere stipulato anche prevedendo il rimborso periodico dei soli interessi.”

L’innovazione dell’istituto è costituita, in primis, dall’abbandono del divieto di patto commissorio, seppur nella versione del c.d. patto marciano: alla morte del mutuatario (o prima, in caso di estinzione a seguito di alienazione del bene o di inadempimento degli obblighi del debitore o di costituzione di diritti reali limitati sull’immobile) il creditore può decidere se ricorrere alla vendita forzata del bene, ossia alla procedura esecutiva ordinaria, oppure se ottenerne l’attribuzione in sede giudiziaria, in forza di quanto pattuito al momento della sottoscrizione del contratto.

In ogni caso, a seguito della valutazione peritale da eseguirsi al momento in cui si è verificato l’inadempimento o il decesso (il perito è nominato dall’autorità giudiziaria o dalle parti, di comune accordo), l’eventuale eccedenza spetta agli eredi.

La disciplina del pret viager hypothécaire è caratterizzata da una estesa rete di protezione a favore del consumatore:

– qualora l’immobile ipotecato costituisca la residenza principale del debitore, non è ammessa né l’assegnazione giudiziale del bene, né l’esecuzione del patto commissorio (art. 2458 e art 2459 del Code Civile);

– a pena di nullità, il prestito non può essere destinato a finanziare i bisogni di un’attività professionale ( Art. L314-2);

– la pubblicità del prodotto deve contenere: l’identità dell’ente erogatore, la natura dell’operazione proposta, con i suoi costi e il tasso effettivo globale, ad esclusione di tutte le altre tasse, calcolati per tranches di cinque anni, se è presente un tasso promozionale, il periodo durante il quale questo si applica (Art. L314-3);

– l’offerta al cliente deve contenere: l’identità delle parti e la data; la designazione esatta del bene ipotecato e il suo valore, come stimato da un esperto scelto dalle parti, con le spesi afferenti la valutazione sopportate dal mutuatario; la natura del prestito, le sue modalità e la data e le condizioni di messa a disposizione dei fondi. In caso di versamenti rateali, deve essere allegato il programma dei versamenti periodici distinguendo la parte relativa al capitale da quella degli interessi; se il capitale viene concesso in un’unica erogazione, lo stato degli interessi accumulati su tale somma. Trattandosi di un’offerta al pubblico, questa deve essere mantenuta invariata per dieci giorni dalla sua emissione (Art. 314-5 e art. 314-5);

– a pena di nullità del contratto, l’accettazione dell’offerta non può avvenire che prima di dieci giorni dopo il suo ricevimento, e deve farsi per in forma autentica (Art. 314-.6 e art. 314-7);

– il debitore è tenuto alla conservazione dell’immobile secondo la diligenza del buon padre di famiglia e deve consentire l’accesso al creditore per eventuali ispezioni o verifiche, a pena di decadenza dal beneficio del termine (Art. 314-8);

– viene disciplinato il patto marciano: in caso di vendita del bene, se sussistente dopo il rimborso del prestito, il pagamento delle spese di procedura, ecc., l’eccedenza spetta agli eredi;

– l’innalzamento della durata dell’efficacia dell’iscrizione ipotecaria a cinquant’anni;

– la restituzione del prestito è dovuta solo alla morte del mutuatario, che tuttavia, può provvedere personalmente in ogni tempo, totalmente o parzialmente, previo pagamento di un’indennità il cui valore è fissato dal Consiglio di Stato (il mutuante potrà rifiutare il pagamento se inferiore al dieci per cento del totale) (Art. 314-10);

– il debito degli eredi non può superare il valore dell’immobile offerto in garanzia, come valutato all’apertura della successione (art. 314- 9).

3. Il prestito vitalizio ipotecario: la “doppia nascita”.

3.1L’art. 11-quaterdecies della legge 248/2005.

Il legislatore italiano, nella consapevolezza dei limiti dell’istituto della vendita della nuda proprietà e, allo stesso tempo, alla luce del confronto diretto che da sempre c’è stato l’esperienza francese, con il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del prestito vitalizio ipotecario, in occasione del collegato alla Legge Finanziaria 2006.

Nella legge di conversione L. 2 dicembre 2005, n. 248, al dodicesimo comma dell’art. 11-quaterdecies, rubricato“Interventi infrastrutturali, per la ricerca e per l’occupazione” trova sede quella che è stata definita la “prima nascita” dell’istituto, con una disposizione basica che non è stata in grado di affermarsi, proprio a causa della sua incompletezza, per quelle che erano le sue concrete potenzialità.

Il dodicesimo comma recitava: “Il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione da parte di aziende ed istituti di credito nonché da parte di intermediari finanziari, di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, di finanziamenti a medio e lungo termine con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti.”.

Nella disciplina del 2005, il contratto di prestito vitalizio si riferiva al soggetto per che avesse compiuto 65 anni e che intendesse ottenere un finanziamento, senza vincolo di destinazione, da parte di aziende, istituti di credito e gli intermediari di cui all’art. 106[76] del TUB; tale finanziamento, con la capitalizzazione annuale di interessi e spese, doveva essere rimborsato in un’unica soluzione alla scadenza (solo implicitamente, dalla denominazione dell’istituto, si deduce che questa si verificasse alla morte del finanziato) e doveva essere garantito da un’ipoteca di primo grado su immobili residenziali.

Il legislatore, più che disciplinare l’istituto, si era limitato “ad una sua mera descrizione, priva di alcuna disposizione operativa”[77] ed è spettato alla dottrina, ispirandosi alla prassi dei Paesi di common law in materia di reverse mortgage, elaborarne una disciplina sistematica che ne consentisse una maggiore applicazione. In primo luogo, non si indicavano quali potessero essere le modalità di erogazione del prestito: si è ipotizzata la possibilità di affiancare un vitalizio alla pensione,l’apertura di una linea di credito, l’erogazione di una somma accordata in un’unica soluzione, oppure una combinazione di questi schemi.[78]

Relativamente all’entità del prestito, i fattori condizionanti, in analogia alla disciplina in materia di vendita della nuda proprietà, sono stato individuati nel valore dell’immobile, nel tasso di interesse e nell’età del debitore ( un debitore più anziano, infatti, sarebbe stato tenuto al pagamento degli interessi per un minor numero di anni, conseguendo un maggiore finanziamento)[79].

Il debitore, per l’intera durata del contratto, continuava ad essere proprietario dell’immobile ed era esentato da tutti gli obblighi a cui è tenuto l’usufruttuario ( ad eccezione della cura dell’immobile, “affinché non perdesse di valore”[80], in base all’art. 1375 c.c.), inoltre, non era tenuto al pagamento degli interessi: spettava agli eredi, al momento del decesso del finanziato, scegliere se restituire l’ammontare del finanziamento, con gli interessi maturati, o vendere il bene immobile; in ogni caso, se entro la durata stabilita nel contratto gli eredi restavano inermi, il finanziatore aveva la facoltà di intraprendere la procedura esecutiva.

Per ridurre i rischi dell’operazione (legati, ad esempio, alla perdita di valore dell’immobile o al fallimento dell’ente erogatore), la dottrina aveva ritenuto auspicabile la stipulazione di una polizza assicurativa, “indissolubilmente legata al beneficio conseguito”. [81]

L’istituto, in questa sua prima introduzione nel nostro ordinamento, ha ricevuto una scarsa applicazione[82]: oltre alla scarna formulazione normativa, concause del suo insuccesso possono essere individuate nella bassa “alfabetizzazione finanziaria” del consumatore di una certa età, che ha poca dimestichezza con un prodotto la cui disciplina, in sostanza, è rimessa alla volontà di un contraente forte quale è il soggetto finanziatore; e nell’avversione al debito, che è percepito come un debito personale nonostante l’onere di rimborso del prestito ricada, effettivamente, nella sfera patrimoniale degli eredi.[83]

3.2 La proposta di legge DDL 2272 bis A.

Nel 2007 il legislatore, all’art. 40 della Proposta di legge DDL 2272 bis A[84], ha cercato di rilanciare il prestito vitalizio ipotecario inserendo un ulteriore comma all’ar all’art. 11-quaterdecies, ma il progetto, approvato alla Camera nella seduta del 7giugno 2007, è decaduto a seguito dello scioglimento delle Camere prima della definitiva approvazione da parte del Senato.

All’ente erogatore sarebbe stato concesso un mandato in rem propriam, da esercitare dopo i sei mesi ed entro il terzo anno dalla scadenza del finanziamento; in alternativa, gli eredi avrebbero potuto surrogarsi nel piano di ammortamento. L’immobile sarebbe stato valutato da parte di un perito, nominato dal presidente del tribunale del luogo in cui era situato l’immobile, che avrebbe fissato il prezzo di vendita, riducibile del 10% se l’immobile fosse rimasto invenduto per 12 mesi. Il ricavato netto della vendita, detratto quanto spettante al finanziatore per il suo credito e le spese, sarebbe poi spettato agli eredi; in ogni caso, questi ultimi non avrebbero potuto rispondere con il proprio patrimonio se il ricavato della vendita non fosse stato sufficiente a risanare il prestito (clausola “no must equity guarantee”).

La proposta emendativa anticipava parzialmente l’attuale disciplina introducendo una speciale forma di autotutela per l’ente erogatore, che avrebbe potuto procedere direttamente alla vendita dell’immobile, senza perseguire la procedura esecutiva ordinaria; tuttavia, si tralasciavano alcuni aspetti essenziali, riguardanti soprattutto quella che è la posizione del debitore:

– nella fase precontrattuale[85]: in particolare, essendo prevista la capitalizzazione annuale degli interessi, non era previsto l’obbligo di fornire un’informativa dettagliata che, prima della stipulazione del contratto, determinasse il costo complessivo dell’operazione;

– non erano determinate le cause di risoluzione del contratto e gli obblighi del finanziato;

– non era disciplinata la possibilità di estinzione anticipata.

3.3 Il rilancio dello strumento nella l. 44/2015 e il decreto del MISE 22 dicembre 2015, n. 226.

L’esigenza di sopperire alle lacune della disciplina del 2005 non è svanita con il blocco dell’iter legislativo e, il 30 luglio 2012, con il Protocollo d’intesa tra l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) e le associazioni dei consumatori e degli utenti per la realizzazione dell’iniziativa del “Percorso famiglia”, promosso per assicurare ai consumatori “un complesso di strumenti differenziati in virtù delle principali fasi evolutive della famiglia e dei momenti peculiari del suo sviluppo finalizzati a favorire l’accesso al credito e a garantire il sostegno in caso di difficoltà” anche attraverso la revisione e il rinnovo delle misure esistenti, si è reputata “fondamentale l’emanazione di una norma esplicativa sulle modalità e le condizioni di accesso del prestito vitalizio ipotecario”, essendo uno “strumento di finanziamento che, se correttamente utilizzato, fornisce l’opportunità di sostenere il livello di reddito dei pensionati, assicurando loro di mantenere la proprietà ed il possesso del bene immobile per tutto il rimanente periodo della vita”. Queste aspettative sono state accolte dai deputati Causi e Misiani che, presentando il 30 luglio 2013 la proposta di legge N. 1752 “Modifica all’articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario”, hanno consentito l’emanazione della l. n. 44 del 2 aprile 2015.

La legge ha offerto una “seconda chance” all’istituto, puntualizzandone la disciplina, con l’aggiunta di sei commi all’originario comma dodici dell’art. 11- quaterdecies, della l. 248/2005, destinati ad entrare in vigore il 6 maggio 2015: entro tre mesi da tale data, inoltre, il comma 12-quinquies annuncia(va) la pubblicazione di un regolamento attuativo da parte del Ministero dello Sviluppo economico,dopo aver sentito l’Associazione Bancaria Italiana e associazioni dei consumatori[86], in cui fossero “stabilite le regole per l’offerta dei prestiti vitalizi ipotecari” e “individuati i casi e le formalità che comportino una riduzione significativa del valore di mercato dell’immobile, tale da giustificare la richiesta di rimborso integrale delfinanziamento, e con il quale garantire trasparenza e certezza dell’importo oggetto del finanziamento, dei termini di pagamento, degli interessi e di ogni altra spesa dovuta”.

A seguito di un Protocollo d’intesa tra l’ABI e le associazioni dei consumatori e degli utenti[87] e il parere positivo del Consiglio di Stato[88], “il prestito vitalizio ipotecario è pronto per il debutto nella quotidiana prassi professionale”[89]: il regolamento attuativo DM 22 dicembre 2015, n.226, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 38 del 16 febbraio 2016 e in vigore dal 2 marzo 2016 integra il quadro normativo dell’istituto[90].

 Il periodo che va dal 6 maggio 2015 al 2 marzo 2016, ossia all’entrata in vigore del regolamento del MISE, sarebbe infatti “di vuoto normativo, in quanto a fronte della formale entrata in vigore della nuova disciplina che decreta l’abbandono della precedente normativa non corrisponde una concreta attuazione della stessa, in quanto il legislatore ha deciso di affidare al MISE il compito di completare il precetto normativo ritenuto ancora deficitario di alcuni elementi essenziali e per tale ragione da ritenere non applicabile”.[91],

Spetterà al mercato valutare quello che, fin dalla prima nascita, è sempre apparso come un istituto controverso, che coinvolge o deroga “a diversi principi fondamentali del sistema di diritto italiano (non a caso si tratta di un prodotto sorto in terra anglosassone)”[92].

4. Il prestito vitalizio ipotecario: cenni.

In base a quanto disposto dalla l. n. 44/2015 e regolamentato dal DM 226/2015, il prestito vitalizio ipotecario è un finanziamento garantito da un’ipoteca di primo grado su un bene immobile residenziale di proprietà del finanziato stesso, assistito da una polizza assicurativa obbligatoria.

Il perimetro soggettivo dell’operazione è definito all’art. 1 della l. 44/2015: “Il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione da parte di banche nonché di intermediari finanziari, di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1ºsettembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, di finanziamenti a medio e lungo termine… riservati a persone fisiche con età superiore a sessanta anni compiuti”.

Se l’immobile è abitato anche dal coniuge del finanziato o dal suo convivente more uxorio da almeno cinque anni, per la sottoscrizione del contratto la sussistenza del requisito anagrafico è richiesta in capo ad entrambi.

Dal dettato normativo emerge l’asimmetria dei requisiti richiesti a carico delle parti: l’ente erogatore deve necessariamente essere un soggetto stabile e soggetto ad un sistema di vigilanza prudenziale; viceversa, al finanziato la legge impone il solo requisito anagrafico del compimento del sessantesimo anno di età.

Le ragioni della differenziazione sono da ricercare nell’economia generale del rapporto, generate dal “sistema di pesi e contrappesi” che regola i rischi a carico delle parti e i vantaggi che queste possono conseguire, in particolare relativamente alla speciale autotutela conferita all’ente erogante, il quale vede garantito il suo credito con una modalità tale da non doversi preoccupare dell’affidabilità del suo debitore.

Il prestito vitalizio ipotecario si configura pertanto come “una tipica (in quanto è espressamente prevista e disciplinata dalla legge) operazione di finanziamento esercitata dalle banche e dagli altri intermediari finanziari autorizzati per mezzo della quale viene trasferita una somma di denaro che andrà restituita alla scadenza maggiorata degli interessi nel frattempo prodotti: un contratto qualificato quindi dalla funzione creditizia”[93].

Nonostante né la l. n. 44/2015 né il DM 226/2015 nulla prescrivano al riguardo, la dottrina è unanime[94] nel ritenere che la forma da adoperare sia quella imposta all’art. 117 TUB, n. 1, ossia la forma scritta ad substantiam, in quanto requisito essenziale del contratto, la cui mancanza determina la sua nullità relativa, che può essere fatta valere dal solo cliente, al quale deve essere consegnata una copia[95].

La forma scritta, però, non è di per se sufficiente: considerando la necessarietà della garanzia ipotecaria è richiesta, ai sensi dell’art. 2657 c.c.[96], la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, indispensabile ai fini della pubblicità costitutiva e l’iscrizione del contratto nei pubblici registri immobiliari[97] del luogo in cui si trova l’immobile[98].

È indispensabile, quindi, l’intervento di un notaio, il quale riceverà l’atto o ne autenticherà la sottoscrizione, “garantirà la rispondenza del suo contenuto a quanto prescritto dalla legge e dovrà, in particolare, accertarsi della reale volontà della parte finanziata di procedere alla stipula… controllo che investirà di conseguenza anche la capacità di intendere e di volere del finanziato, aspetto particolarmente delicato quando a firmare un contratto (peraltro così rischioso, vista la capitalizzazione annua) siano persone dall’età molto avanzata)”[99].

Si tratta di un tipico contratto bancario, e in particolare di un cd. contratto di finanziamento di massa, essendo rivolto ad una clientela omogenea, ma indeterminata, la cui causa è “rinvenibile nel trasferimento della proprietà di una somma di denaro a fronte dell’obbligo di restituire l’importo erogato, maggiorato degli interessi e delle spese”[100] ed è quindi “comune”, seppur inversa, alla causa del contratto di mutuo (art. 1813 c.c).

È un contratto oneroso, essendo espressamente prevista la corresponsione degli interessi, ma a struttura variabile e dalla disciplina transtipica in quanto le parti sono libere di scegliere quella che sarà la modalità di erogazione del finanziamento (determinando il carattere reale o consensuale del contratto[101]): in un’unica soluzione (mutuo), con rate periodiche (rendita), o un’apertura di credito. E’ un contratto di durata, la cui esecuzione sarà continuativa se l’erogazione della somma avverrà tramite apertura di credito, o periodica, laddove sia prevista la datio di una rendita, anche saltuaria: sono quindi applicabili le regole generali in tema di condizione risolutiva (art. 1360 c.c.), di recesso (art. 1373.2, c.c. ) e di risoluzione per inadempimento (art. 1458.1 c.c.).

Al contratto sono allegati due prospetti esemplificativi denominati “Simulazione del piano di ammortamento” in cui è illustrato il possibile andamento del debito nel tempo. Quindici giorni prima della stipula del contratto, l’ente erogatore deve consegnare gratuitamente al soggetto richiedente un prospetto informativo contenente informazioni minime circa l’importo finanziato, al netto delle spese sostenute.

Il rimborso integrale del prestito, comprensivo anche del costo derivante dalla capitalizzazione annuale degli interessi, deve aversi, nella prospettiva “fisiologica”, da parte degli eredi alla morte del soggetto finanziato o del coniuge/convivente sottoscrittore più longevo. Tuttavia, all’art. 3 del DM 226/2015, il legislatore secondario ha specificato in quali ipotesi di ha la decadenza dal beneficio del termine e il finanziatore può richiedere il rimborso integrale in un’unica soluzione: qualora venga trasferita, in tutto o in parte, la proprietà sul bene immobile dato in garanzia; nel caso di concessione di servitù non presenti al momento della stipula del finanziamento, salvo quanto previsto diversamente nel contratto; nel caso in cui è concesso un godimento d’usufrutto, d’uso, di abitazione o un diritto di superficie in relazione all’immobile se siano apportate modifiche all’immobile rispetto al suo stato originale, senza un accordo con il finanziatore; se siano compiuti atti, con dolo o colpa grave, da parte del soggetto finanziato o del terzo datore d’ipoteca che riducano significativamente il valore dell’immobile; se altri soggetti prendano successivamente la residenza nell’immobile (ad eccezione dei figli, del coniuge o convivente more uxorio del finanziato, o del personale regolarmente contrattualizzato); se siano costituiti diritti reali di garanzia in favore di terzi che vadano a gravare sull’immobile; se l’immobile dato in garanzia subisca dei procedimenti esecutivi o conservativi pari al venti per cento del valore dell’immobile concesso in garanzia o ipoteche giudiziali.

 Trascorsi dodici mesi dal verificarsi di alcuni di questi eventi, il finanziatore ha il diritto di vendere l’immobile dato in garanzia ad un valore pari a quello di mercato, come determinato da un perito indipendente da egli incaricato per estinguere il suo credito: al comma 12 quater dell’art. 11 quaterdecies il legislatore del 2015 ha introdotto una speciale forma di autotutela “privata”, senza precedenti nel nostro ordinamento, completamente alternativa rispetto a quella disciplinata agli art. 555 e ss. c.p.c.

L’unico soggetto che interviene nella procedura, è il perito “indipendente” incaricato dal finanziatore, il quale determinerà il valore di mercato dell’immobile al quale la banca “deve” procedere alla vendita: potrà soddisfarsi esclusivamente su quanto ricavato dalla vendita ed è tenuto alla restituzione dell’eccedenza al finanziato o agli eredi.

Se entro dodici mesi non si giunge al perfezionamento della vendita dell’immobile, il valore di mercato individuato dal perito viene decurtato del 15% ma, in ogni caso, la banca non potrà vantare nei confronti del debitore o degli aventi causa alcun tipo di pretesa, neanche relativamente alle spese (si ricorda, del resto, che la prova del verificarsi di un’ipotesi di decadenza dal beneficio del termine è a carico del finanziatore).

Il legislatore inoltre consente, in modo alquanto disorganico, la possibilità che l’erede (e quindi, si esclude il finanziato decaduto dal termine) possa vendere l’immobile, in “accordo” con il finanziatore, purché la vendita si perfezioni entro dodici mesi dal conferimento “dello stesso” (accordo?).

Si pongono, a questo punto, alcuni problemi relativamente alla disciplina applicabile. La norma, infatti, sembrerebbe alquanto “scarna”: il legislatore ha costruito uno “scheletro” ma, in considerazione del fatto che questo procedimento è stata insediato ex novo nel nostro ordinamento, si sarebbe potuto rimandare al regolamento attuativo DM 226/2015 per una disciplina più dettagliata.

In realtà, questa “mancanza” è dovuta al transplant (non ben ponderato) dell’istituto, perché, se si guardano le modalità attraverso le quali, negli altri ordinamenti considerati, il finanziatore può ottenere il rimborso del prestito, si può vedere come la vendita dell’immobile non si configuri come un’autotutela “speciale” rispetto a quella ordinaria, ma si inserisca, senza deroghe, nella disciplina generale.

Al finanziatore è conferito, al momento della sottoscrizione del contratto, un potere di rappresentanza ex lege[102] affinché alienando il bene, che è ancora ricompreso nel patrimonio del debitore, potrà soddisfarsi dal ricavato della vendita. Dal momento che la fonte costitutiva del rapporto di rappresentanza è il contratto di prestito vitalizio ipotecario, si è fuori dall’ambito dell’unilateralità della procura, ma si pongono obblighi specifici a carico di ambedue le parti: si ha il conferimento di un mandato (seppur implicito) con rappresentanza, che è indubbiamente speciale, dal momento che è la stessa legge ad individuare il singolo affare per il quale è concesso.

L’efficacia obbligatoria del mandato è, oltretutto, subordinata alla condizione sospensiva del verificarsi delle condizioni di cui al comma 12 dell’art. 11 quaterdecies, come specificate dal regolamento attuativo DM 226/2015: dal momento del loro avveramento, le parti saranno tenute al rispetto degli obblighi di cui agli artt. 1710 ss. c.c., “riletti” alla luce delle disposizioni contenute nella novella del 2015.

In particolare, si è quindi alla presenza di un mandato in rem propriam, di cui all’art. 1723 c.c., essendo questo conferito anche nell’interesse del mandatario (o dei terzi[103]), che generalmente scaturisce da un rapporto obbligatorio sorto precedentemente o comunque contestualmente rispetto al conferimento del mandato.[104] La disciplina codicistica merita di essere riletta alla luce della l. 44/2015: con la sottoscrizione del contratto di prestito vitalizio ipotecario, infatti, il debitore non perde il potere di disposizione del bene immobile, e conserva “una legittimazione concorrente a disporre della situazione giuridica del mandato, il cui esercizio determinerebbe solo la sopravvenuta impossibilità dell’esecuzione del mandato”[105].

In quest’ultimo caso il finanziato che dispone del bene, pur ponendo in essere un atto lecito e quindi efficace nei confronti dei terzi, priverebbe il finanziatore, in caso di mancata restituzione delle somme, della possibilità di rivalersi sul ricavato dalla vendita del bene immobile ma soprattutto, qualora debba essere esperita la procedura esecutiva ordinaria, potrebbe dover rispondere del mancato guadagno del mandatario ed essere tenuto alla corresponsione di un indennizzo.

È opportuno ricordare che l’efficacia del mandato in rem propriam è condizionata anche dall’evento morte, ma non esclusivamente da questo: seppure l’intero istituto è parametrato alla durata della vita del debitore, e il rimborso del finanziamento può essere richiesto a tale scadenza, lo stesso legislatore ha previsto che il finanziatore possa procedere all’autotutela anche in alcune ipotesi di decadenza dal beneficio del termine.

Non si è alla presenza, quindi, di un contratto mortis causa, ma piuttosto di un contratto post mortem, dal momento che le attribuzioni a tale titolo si hanno quando “l’evento morte non diviene elemento causale, ma semplice modalità accessoria”[106].

Ai sensi del comma 12 quater dell’art. 11 quaterdecies, introdotto dalla l. 44/2015, “le eventuali somme rimanenti, ricavate dalla vendita e non portate a estinzione del predetto credito, sono riconosciute al soggetto finanziato o ai suoi aventi causa”. Con tale previsione, il legislatore non ha derogato al divieto di patto commissorio, disciplinato dall’art. 2744 c.c., ma ha configurato la vendita di cui al comma 12 quater come patto marciano, meccanismo ritenuto legittimo dalla giurisprudenza[107].

La previsione del patto marciano è ritenuta lecita nella misura in cui “preveda, al momento dell’inadempimento, un procedimento tale da assicurare la stima imparziale del bene entro tempi certi” in modo da escludere “la violazione del divieto di patto commissorio e, conseguentemente, la nullità per illiceità della causa del contratto… al quale sia apposto”[108].

La previsione della nomina di un perito indipendente da parte del creditore rappresenta, da questo punto di vista, la scelta più “infelice” del legislatore della novella. Al comma 12 quater, invece, si è espressamente conferito il potere di nomina al creditore: il requisito dell’indipendenza, seppur menzionato, non sembra quindi garantito e, oltretutto, non sono previsti determinati obblighi di comportamento a carico del soggetto incaricato della stima del bene, che avrebbero potuto compensare questo “squilibrio”.

Se entro dodici mesi la vendita non viene perfezionata, il valore dell’immobile viene decurtato annualmente del 15%.

 Anche questa soluzione non “brilla” per coerenza: come si è visto, la vendita dell’immobile è affidata esclusivamente al creditore, il quale non è “vincolato” relativamente ai tempi e ai modi della vendita, né sottoposto ad un controllo “esterno”. Prevedendo questa decurtazione, si agevola la vendita del bene immobile da parte del mandatario, ma il finanziato o i suoi aventi causa potrebbero non accedere mai alla restituzione dell’eccedenza per colpa del creditore[109], il quale potrebbe non eseguire con la dovuta diligenza il mandato in rem propriam. [110] Pertanto sarebbe stato preferibile, come auspicato da autorevole dottrina[111], procedere annualmente ad una nuova perizia dell’immobile, in modo da evitarne una svalutazione automatica del valore[112].

Il legislatore prevede che, uscendo dai binari dell’autotutela speciale conferita al finanziatore, “in alternativa, l’erede può provvedere alla vendita dell’immobile, in accordo con il finanziatore, purché la compravendita si perfezioni entro dodici mesi dal conferimento dello stesso”: qualora la scadenza sia quella “fisiologia”, il finanziatore può quindi “trasmettere” il suo mandato agli eredi del debitore affinché procedano direttamente alla vendita dell’immobile. La vendita concordata ad opera dell’erede, anche in base all’argomento testuale, sembra ricollegarsi alla immediatamente precedente previsione della decurtazione del valore di vendita dell’immobile, una volta che siano trascorsi 12 mesi dalla mancata esecuzione dell’incarico da parte del mandatario (e cioè trascorsi 24 mesi dall’evento morte del debitore). Si deve quindi ritenere che, entro un anno dal “conferimento”, questi potrebbero procedere alla vendita dell’immobile con l’operatività della clausola di esdebitazione: non avrebbe altrimenti senso la disposizione, dal momento che gli eredi, in quanto tali, conservano il potere di disporre del bene fin quando il finanziatore non ne trasferisca la proprietà all’acquirente. Resta poi da individuare cosa intenda il legislatore della novella con il termine “conferimento”: escludendo che questo possa riferirsi al bene immobile[113], deve ritenersi che il legislatore lo riferisca all’accordo[114] in forza del quale gli eredi e il finanziatore determinano le modalità, il prezzo e le conseguenze della vendita del bene ipotecato .

Non è ipotizzabile, infatti, il conferimento di un submandato agli eredi, in quanto “la coincidenza dei mandatari con gli eredi necessariamente implica la riferibilità della loro volontà negoziale all’assorbente posizione di successori, ormai ostativa ad una contrattazione in nome e per conto del proprietario”;[115] inoltre, come si è ricordato, gli eredi conservano il potere dispositivo sul bene immobile fino alla sua alienazione da parte del debitore, per cui “prima del compimento del negozio gestorio da parte del mandatario, il mandante potrebbe anche efficacemente trasferire a terzi il medesimo bene e tale trasferimento importerebbe semmai solo revoca tacita del mandato ex art. 1724 c.c., dato che la sua esecuzione sarebbe divenuta oggettivamente impossibile.” [116]

Il legislatore non detta alcuna limitazione soggettiva relativamente a chi possa acquistare il bene immobile dal finanziatore, limitandosi esclusivamente a prevedere la deroga all’opponibilità delle domande giudiziali di cui all’art. 2652, comma 1, n.7) e n.8).

Si potrebbe quindi ipotizzare che il finanziatore-mandatario, concludendo un contratto con se stesso, acquisti la proprietà del bene immobile: tale circostanza è disciplinata dall’art. 1395 c.c., per il quale “è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi”.

Il comma 12 quater, pilastro della disciplina del prestito vitalizio ipotecario, si chiude con la previsione che “nei confronti dell’acquirente dell’immobile non hanno effetto le domande giudiziali di cui all’articolo 2652, primo comma, numeri 7) e 8), del codice civile trascritte successivamente alla trascrizione dell’acquisto”.

Il legislatore, per garantire la sicurezza della vendita posta in essere nell’esecuzione del contratto post mortem e favorire una maggiore diffusione dell’istituto del prestito vitalizio ipotecario, ha addirittura anticipato l’effetto sanante alla trascrizione dell’acquisto che, in base all’art. 2652, primo comma, numeri 7) e 8), si produce solo dopo un determinato periodo di tempo e laddove esistano determinati presupposti in capo all’acquirente.

Uno dei punti critici del contratto in esame riguarda la sua riconducibilità all’alveo dei contratti aleatori: l’incertezza sul quando relativamente alla data di scadenza del prestito e la capitalizzazione annuale sembrerebbero rendere impossibile calcolare quale delle due parti sarà avvantaggiata dall’esecuzione del contratto.

Il tasso di interesse è infatti un requisito essenziale[117] del contratto di prestito vitalizio ipotecario che, pertanto, si configura come un contratto essenzialmente oneroso, “in quanto non può mancare la previsione degli interessi corrispettivi da riconoscere al finanziatore in funzione remuneratoria del capitale e da addebitare al finanziato quale costo economico da sopportare a fronte del godimento del denaro ricevuto”[118].

Se nell’originaria formulazione della norma[119], la deroga al disposto in materia di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c. sembrava “giustificata” dal complessivo equilibrio del rapporto, “colorando” la causa del contratto di finanziamento al pari dell’iscrizione dell’ipoteca di primo grado; ma il legislatore della riforma ha espressamente previsto, al comma 12-bis[120] la possibilità che il finanziato possa “concordare, al momento della stipulazione del contratto, una modalità di rimborso graduale della quota di interessi e delle spese” prima della scadenza o del verificarsi di una delle cause che determinano la decadenza del beneficio del termine, “sulla quale non si applica la capitalizzazione annuale degli interessi”. Tale previsione, indubbiamente favorevole al finanziato, ha effetti di non poco conto: al di là dei dubbi che fa porre sulla qualificazione del contratto come aleatorio o meno, in caso di inadempimento è espressamente richiamato l’art. 40. 2 TUB in tema di credito fondiario, fornendo una causa di risoluzione del contratto alla banca non contemperata, in modo espresso, dalla possibilità di estinzione anticipata del finanziamento prevista al primo comma del medesimo articolo.

La struttura variabile dell’istituto, nella nuova versione del prestito vitalizio ipotecario, risulta accentuata: le modalità di erogazione del prestito e la presenza del tasso fisso o variabile incidono sul valore economico complessivo dell’operazione, ma è la modalità del rimborso del finanziamento a determinare, effettivamente, quale delle parti sarà avvantaggiata dall’operazione; oltretutto, l’impossibilità di non conoscere quello che sarà l’importo da dover restituire alla scadenza del prestito (considerando che anche i piani di ammortamento non sono che mere “simulazioni”) e l’incertezza data dall’andamento del mercato immobiliare “non consentono alle parti, e in particolare al finanziatore, di conoscere al momento della stipula quale sarà l’entità dei vantaggi e, rispettivamente, dei sacrifici che riceveranno dal contratto”[121]. Dal lato del finanziatore, infatti, tale “alea” sarà accresciuta guardando in concreto quelle che sono le modalità di erogazione del finanziamento, considerando la possibilità che la corresponsione della rendita, nel lungo periodo, potrebbe addirittura rilevarsi vantaggiosa per il soggetto che ha ottenuto il finanziamento, laddove questa risulti superare quello che è il valore del prestito concesso, comprensivo delle spese sostenute. Tuttavia, l’introduzione della clausola di salvaguardia per gli eredi, i quali non saranno mai chiamati a dover rispondere con il proprio patrimonio, essendo in ogni caso il debito estinto con il ricavato della vendita dell’immobile, mettono in discussione tale qualificazione, anche se già in tema di rendita vitalizia, parte della dottrina ha sostenuto che “l’esistenza del rischio circa l’ammontare di quella che potrà essere la prestazione di almeno una delle parti non contrasta con la natura del contratto, che resta pur sempre a prestazioni corrispettive”[122], configurandosi come contratto aleatorio, piuttosto che commutativo. [123]

La nuova disciplina, già a ad una prima lettura, da un lato risulta più completa rispetto alla “prima nascita” del 2005[124], anche per le nuove “importazioni” dagli ordinamenti stranieri, dall’altro, il “legal transplant” “stravolge” alcuni tradizionali istituti giuridici italiani, presentandosi come un laboratorio normativo indicato per testarne nuove applicazioni.

 



[1] Dati tratti dall’articolo di Evelina Marchesini La ricchezza immobiliare degli italiani: 60 milioni di case valgono più di 5mila miliardi, pubblicato su Casa24plus, Il Sole 24ore, 11 dicembre 2013.

[2] Andrea Bulgarelli, nel suo articolo Il prestito vitalizio ipotecario, Il Caso.it, 22 aprile 2015, pag. 25, cita da un lato l’aforisma di Sofocle per cui “non vanno d’accordo il ragionamento e la fretta”, ma dall’altro si rifà anche all’affermazione di A. E. Brilliant, “farlo sbagliato, ma velocemente, almeno è meglio di farlo sbagliato lentamente”.

[3] Con il decreto ministeriale n. 313 del 27/12/2006, in attuazione dell’art. 13-bis della legge 14 marzo 2005 n.80 che, modificando il DPR 180/50, ha esteso anche ai pensionati “già dipendenti pubblici che fruiscono trattamento a carico delle gestioni pensionistiche dell’INPS, ex-INPDAP; ovvero ai dipendenti o pensionati di enti e amministrazioni pubbliche di cui all’art.1, comma 2, del decreto legislativo 165/01, iscritti ai fini pensionistici presso enti o gestioni previdenziali diverse dall’INPS”.

[4] “L’art. 39 d.p.r. n. 180/1950 vieta il rinnovo di finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio/pensione prima che siano decorsi i due quinti della durata degli stessi fissata per legge. Le ragioni di questo divieto vanno individuate nell’intento di impedire i troppo ravvicinati caricamenti delle commissioni intermediatizie. In caso di violazione del divieto, le commissioni concretamente imputate dall’intermediario in sede di sostanziali rinnovi di finanziamenti in essere debbono essere opportunamente ridotte e il loro ammontare rideterminato in via equitativa” (ABF Milano, 18 novembre 2010, n. 1328, ne IlCaso.it, Sez. Giurisprudenza, 4719, pubb. 25 maggio 2011).

[5] Cfr. art. 54. DPR 5 gennaio 1950, n. 180, Garanzia dell’assicurazione o altre malleverie:Le cessioni di quote di stipendio o di salario consentite a norma del titolo II e del presente titolo (Legge finanziaria 311/2005) devono avere la garanzia dell’assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il ricupero nei casi in cui per cessazione o riduzione di stipendio o salario o per liquidazione di un trattamento di quiescenza insufficiente non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il ricupero del residuo credito” […].

[6] Il Tribunale di Busto Arsizio, sent. n. 262 del 12 febbraio 2013 ha precisato che “ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario si deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito (e quindi anche della polizza assicurativa per cui è causa, quale costo inevitabile per la concessione del mutuo, che altrimenti non viene erogato dall’istituto finanziatore), sicché devono ritenersi rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che il contraente sopporta in connessione con l’erogazione del credito”

La Corte d’Appello di Milano, sent. n. 3283 del 23 agosto 2013 ha avuto modo di evidenziare che “debba essere ricompresa, nel calcolo del tasso praticato, anche la polizza assicurativa finalizzata alla garanzia del rimborso del mutuo, atteso che essa è condizione necessaria per l’erogazione del credito ed attesa, altresì, la sua natura remunerativa, sia pure in via indiretta per il mutuante”.

Il Tribunale di Padova con l’ordinanza del 13 marzo 2014 ha affermato che “non vi è alcun dubbio che le spese di assicurazione debbano essere prese in considerazione ai fini della determinazione del tasso usurario, atteso il chiaro disposto dell’art. 2 delle legge 108 del 1996, secondo cui si devono tenere in considerazione tutte le commissioni, le remunerazioni a qualsiasi titolo e le spese, escluse quelle per imposte e tasse”.

[7] La Corte di Appello di Torino con la sentenza del 20 dicembre 2013 ha osservato che “le Istruzioni della Banca d’Italia, di cui alla disciplina dell’usura, non hanno alcuna efficacia precettiva nei confronti del giudice nell’ambito del suo accertamento del TEG applicato alla singola operazione, né debbono essere osservate dagli operatori finanziari quando stabiliscono il tasso di interesse di un determinato rapporto; e ciò sia perché le stesse non sono finalizzate a stabilire il TEG, sia perché sono disposizioni non suscettibili di derogare alla legge”.

[8] A.A. Dolmetta nell’articolo Sugli effetti civilistici dell’usura sopravvenuta, pubblicato su Il Caso.it del 9 febbraio 2014, evidenzia come, in relazione all’usura sopravvenuta, vadano segnalati due profili problematici: il primo “relativamente alla definizione precisa del perimetro dell’usura sopravvenuta”, per distinguerla da quella che usura non è e da ciò che “va considerato fenomeno ab origine usurario (e rispetto al quale sono pertanto destinate a trovare applicazione le sanzioni di cui all’art. 644 c.p. e all’art. 1815, comma 2, c.c.)” (pag.3); il secondo profilo, invece, attiene all’individuazione del “tipo di rimedio civilistico, che è destinato ad accompagnare l’effettivo riscontro in concreto di un’usura sopravvenuta” (pag.6). In relazione alla definizione del “perimetro” dell’usura sopravvenuta, l’Autore sottolinea come questa possa configurarsi per più ragioni tra loro “diverse e continue”: ad es., l’accrescimento delle voci di spesa a carico del cliente; di applicazione di interessi moratori e/o penali; di variazione unilaterale dei tassi applicati e/o delle commissioni praticate, ex 118 TUB; per effetto di variazione in basso del TEGM di riferimento dell’operazione in concreto considerata; per modifiche regolamentari adottate dalla Banca di Italia.

“Ora, non è per nulla detto che… le situazioni appena elencate siano davvero tutte catalogabili come usura semplicemente sopravvenuta e non già originaria”: in particolare in relazione alle modifiche regolamentari della Banca d’Italia, quanto queste non sono che la tardiva eliminazione di Istruzioni precedenti, quanto illegittime: e qui il pensiero subito corre al caso dell’assicurazione stipulata in concomitanza dell’accensione di un credito, con carico che la Vigilanza ha tenuto escluso dal calcolo usurario sino all’emanazione delle Istruzioni dell’agosto 2009”.

[9] Collegio Napoli, 3 aprile 2013, n. 1796 (commissione di massimo scoperto); Collegio Roma, 25 luglio 2013, n. 4036 (spese per assicurazione).

In particolare, il Collegio Roma, con la decisione del 25 luglio 2013, n. 4374 ha specificato che “il superamento del tasso soglia, che sia sopravvenuto a seguito dell’entrata in vigore di modifiche regolamentari della Banca d’Italia, se non determina la configurazione del reato di usura, né comporta la nullità della relativa clausola contrattuale ai sensi dell’art. 1815 comma 2 c.c., non può tuttavia comportare l’applicazione dei tassi contrattuali, perché ciò si porrebbe in contrasto con lo spirito della legge n. 18/1996 e pure perché configurerebbe un comportamento contrario a buona fede oggettiva. Si impone pertanto una rideterminazione degli interessi, ai sensi dell’art. 1339 c.c., entro i limiti della soglia di usura”. (A.A. Dolmetta, ivi, pag.10).

[10] Secondo A. A. Dolmetta, “a guardare bene le fattispecie concrete, che sono state giudicate, si scopre che ci si trova di fronte (= che ci si può trovare di fronte, rectius) a ipotesi in cui la sopravvenuta modifica delle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia altro non è che un (tardivo) adeguamento della Vigilanza a indirizzi interpretativi della legge antiusura già fatti propri dalla giurisprudenza (di legittimità e/o di merito).Per queste ipotesi – e così, dunque, per la decisione qui annotata, per l’appunto concentrata sulla voce economica relativa alla polizza assicurativa a servizio del credito – si può molto dubitare, a me pare, che la soluzione dell’usura sopravvenuta sia davvero corretta: qui, piuttosto, la fattispecie rinvia diretta alla figura dell’usura originaria”, in Usura sopravvenuta per modifiche regolamentari della Banca d’Italia (quando non originaria), A proposito di ABF Roma, n. 4374/2013, in dirittobancaro.it, febbraio 2014.

[11] A. A. Dolmetta, ivi: “Detto in altri termini: un conto è che la Banca d’Italia modifichi il proprio orientamento entro il segno della discrezionalità che la legge n. 108/1996 le consente (come quando rimodula le categorie di operazioni sulle quali ordinare i diversi TEGM, rispettando appieno le prescrizioni di legge al riguardo); un altro conto, e diverso assai, è quando la (precedente) interpretazione della Vigilanza si pone in contrasto con le indicazioni fornite dalla legge (specie se pure avallate dall’autorità della lettura giurisprudenziale). Come spesso vengono a ricordare le sentenze dei giudici (e ormai non solo più di quelle di Supremo Collegio), in effetti, le «direttive e le istruzioni della Banca d’Italia … non sono vincolanti per gli organi giurisdizionali, non essendo fonti normative»“.

[12] Nel diritto romano la rendita vitalizia non godeva di una disciplina coerente, in quanto questa era valutata dal punto di vista del rapporto e in particolare della sua durata (la rendita a cui non era attribuito un termine era considerata perpetua) piuttosto che della fonte da cui questo scaturiva (legato o stipulazione di rendita). Una maggiore organicità in materia si affermò nel Medioevo, con la figura del precario, disciplinato per la prima volta nel Capitolare di Carlo il Calvo (846 d.C.) : a fronte della cessione di un bene mobile o immobile, o di una somma di denaro, un ente ecclesiastico si obbligava verso l’alienante ad una prestazione annuale per tutta la durata della sua vita. Questa operazione consentiva al privato di tutelarsi dalle rapine e, in particolare, di beneficiare indirettamente dell’esenzione dalle imposte di cui godevano questi enti. Il capitolare, al fine di difendere i venditori da eventuali abusi, stabilì che le chiese dovessero corrispondere un usufrutto di valore pari al doppio del reddito del bene, se questo restava nel possesso precario dell’alienante, e pari al triplo, nel caso in cui questo fosse consegnato all’ente ecclesiastico. Il contratto superò le riserve successive all’affermarsi del divieto canonico dell’usura, facendo leva sul carattere aleatorio del rapporto oneroso: excluditur usura ex mentione vitae emptoris.

Nel corso dei secoli, la natura aleatoria del contratto venne percepita come un essenziale: nel codice parmense (art. 1845) e in quello estense (art. 1829) era stabilito che “ la rendita deve superare il frutto di cui era capace la cosa data come corrispettivo. Il codice albertino (art. 2009) sanciva la nullità del vitalizio quando la rendita fosse costituita sulla vita di una persona morta entro 40 giorni dalla conclusione del contratto; si collocava sulla scia del Code Napoleon (art.1975), che contemplava la nullità del contratto in caso di malattia già esistente al momento della sua conclusione. Questi rilievi non emergono nel codice del 1865, nonostante le proposte sorte in seno alla Commissione, che alla fine optò per le tutele offerte nei confronti delle “donazioni mascherate”; così come non se ne ha traccia nel nostro codice, nonostante che la commissione italo-francese del 1927 promosse l’introduzione di una norma similare all’art. 2009 del cod. albertino.

[13] L’art. 1872 c.c., oltre alla costituzione a titolo oneroso, fa riferimento alla costituzione per donazione o per testamento, rimandando alle norme stabilite dalla legge per tali atti (ad es., la costituzione per atto pubblico nel caso della donazione). Il legislatore ha quindi generalizzato il rapporto, creando una triplice tipologia di norme:

– norme comuni che prescindono dal titolo;

– norme specifiche del contratto oneroso;

– norme tipiche del contratto gratuito.

Nel caso in cui la rendita vitalizia sia costituita per donazione, ma soprattutto per testamento, sono rilevabili delle analogie con l’usufrutto: la differenza è data dal fatto che il beneficiario qui gode di un corrispettivo periodico fisso, piuttosto che di un reddito variabile.

Oltretutto, all’art. 1874 c.c., rubricato “Costituzione a favore di più persone”, viene richiamata la fattispecie del contratto a favore di terzo come uno dei modi di costituzione della rendita.

Ad ogni modo, la stessa sistematica del codice consente di affermare che, a prescindere dal titolo, si è di fronte ad una disciplina unitaria per quanto riguarda il rapporto.

[14] A.Trabucchi, Istituzioni di Diritto Civile, Padova, 2009, p. 202 ss.

[15] Il motivo del contratto è il sostentamento del vitaliziato, titolare di un diritto di credito ad esecuzione periodica, espressamente qualificato come frutto civile dall’art. 820 c.c.

[16] “E’ da rilevare inoltre che nell’art. 1876 si è mantenuto il concetto fondamentale, che il vitalizio è essenzialmente un contratto aleatorio: onde se ne è comminata la nullità (in senso assoluto, secondo la terminologia accolta nell’art. 1418) quando la costituzione della rendita si riferisce alla vita di persona già defunta al tempo del contratto” DaPrefazione e relazione al Duce del guardasigilli Dino Grandi, relazione al progetto del libro delle obbligazioni, Roma, 1942, pag. 169.

[17] Cfr. Cass., SS.UU., 10 maggio 1994, n. 6532; Cass. 29 agosto 1992, n.9989; Cass. del 19 luglio 2011, n. 15848; da ultimo, Cass. 11 marzo 2016 n.4825.

[18] Cfr. Cass. 28 aprile 2008 n. 10798; Cass. 12 ottobre 2005 n. 19763; Cass. 9 gennaio 1999 n. 117; da ultimo, Cass. 11 marzo 2016, n. 4825.

[19] Cfr. Cass., 19 febbraio 1997, n. 1516.

[20] Cfr. Cass. 11 marzo 2016, n. 4825.

[21] Cfr. Cass. 11 marzo 2016, n. 4825.

[22] Cfr. Cass. 11 marzo 2016, n. 4825.

[23] Da Prefazione e relazione al Duce del guardasigilli Dino Grandi, relazione al progetto del libro delle obbligazioni, Roma, 1942, pag. 169.

[24] All’ art. 820 c.c., le rendite vitalizie vengono individuate espressamente come frutti civili.

[25] Dal momento che il credito del vitaliziato è trasferibile, è suscettibile anche di sequestro e pignoramento: tuttavia, se la rendita è costituita a titolo gratuito, si può disporre che sia garantito il “bisogno alimentare del creditore” (art. 1881 c.c.), la cui entità è parametrata dal giudice in relazione al necessario alla vita dell’avente diritto e alla sua posizione sociale.

[26] L’art. 1875 c.c. specifica che “la rendita vitalizia costituita a favore di terzo, quantunque importi per questo una liberalità, non richiede le forme stabilite per la donazione”, quindi l’atto pubblico ad substantiam. In ogni caso, resta salva l’applicabilità del resto della disciplina, configurandosi come donazione indiretta (capacità, art. 744 c.c.; riduzione, art. 555 c.c.; collazione, art. 737 c.c.; revoca, 800 c.c.).

[27] L’art. 1872 c.c., in relazione ai modi di costituzione, fa salva l’adozione delle forme necessarie in relazione alla donazione (quindi atto pubblico e presenza di due testimoni) e al testamento.

[28] Trabucchi, cit., p. 807 ss.

[29] Così M. Malvano,Vitalizio assistenziale e nullità per mancanza di alea” (nota a Cass., 15 giugno 2009, n. 13869) , Notariato, 2010 p.273.

[30] Cass. 19 luglio 2001, n. 15848.

[31] Cfr. Cass. 19 luglio 2001, n. 15848.

[32]I n difetto, la cessione dovrà essere qualificata come donazione, e quindi potrà essere attaccato dal legittimario.

[33] Cfr. Cass. 7 febbraio 1992, n. 1401.

[34] E. Valsecchi, in La rendita perpetua e la rendita vitalizia, Milano, 1961, cita come favorevoli all’assimilazione Ricci, Corso teorico-pratico di diritto civile, Torino, 1886, p.276 ; Butera, Del contratto vitalizio, Torino, 1935, p.266; Cariota –Ferrara, In tema di contratto oneroso di mantenimento, in Giur. compl. cass. civ., 1951, III, 1, 53.

[35] Cfr. Cass. 27 aprile 1982, n. 2629, in Foro it.,1982.

[36]  E. Valsecchi, in La rendita perpetua e la rendita vitalizia, Milano, 1961, ingloba in un unicum le figure del contratto di mantenimento e del contratto di vitalizio alimentare. La distinzione tra i due contratti atipici non si è affermata neanche nella giurisprudenza maggioritaria: cfr. Cassazione, sentenza 25 marzo 2013, n. 7479, laddove in relazione alla simulazione del contratto atipico di mantenimento (o vitalizio assistenziale) si deve “ritenere presuntivamente provato lo spirito di liberalità, tipico della dissimulata donazione, proprio tramite la verifica della originaria sproporzione tra le prestazioni”. In ogni caso, è pacifica la distinzione rispetto al contratto tipico di rendita vitalizia: già Valsecchi, in dissonanza alla giurisprudenza coeva prevalente, guardando al contenuto della prestazione alimentare, affermava che “allorquando la corresponsione degli alimenti è prevista in forma di mantenimento, è difficile sostenere che il vitto, il vestito e l’alloggio da somministrare siano assimilabili all’oggetto della rendita vitalizia, che si sa per indole sua essenzialmente fungibile”. L’Autore fa poi riferimento agli ordinamenti a noi più vicini, evidenziando come in quello francese si distingua dal vitalizio il cosiddetto bail à nourriture, oggetto del quale è la prestazione degli alimenti in natura per la durata della vita del beneficiario; all’ordinamento germanico, laddove la dottrina prevalente già prevedeva la riconducibilità del contratto di prestazione di alimenti nell’ambito del vitalizio; all’ordinamento svizzero, che all’art. 521 del codice delle obbligazioni disciplina in modo autonomo il contratto di somministrazione degli alimenti in natura.

[37] Di recente, la Corte di Cassazione ha specificato che “Llalea del contratto atipico di vitalizio alimentare comprende anche l’aggravamento delle condizioni del vitaliziante, per cui il trasferimento all’onerato di un ulteriore bene, mediante la conclusione di un successivo contratto cd. di mantenimento, quale compenso della maggiore gravosità sopravvenuta dell’assistenza materiale e morale da prestare, è privo di causa, giacché tale ulteriore attribuzione patrimoniale elimina il rischio, connaturale al precedente contratto, di sproporzione tra le due prestazioni e, dunque, non essendo giustificata da un diverso corrispettivo, la causa di scambio dissimula quella di liberalità.” Cfr. Cass., sent. n. 8209 del 22 aprile 2016.

[38] È evidente che non è necessario che tra le parti intercorra il rapporto di parentela previsto all’art. 433 c.c.

[39] B. Gardella, Vitalizio, in Dig. Disc. Priv. Sez., IXI, Torino, 1999, p. 745. G. Bonili lo definisce come il contratto che “genera il diritto all’assistenza morale e materiale, oggetto dell’obbligazione, quale corrispettivo del trasferimento o della costituzione di un diritto reale”, in Ancora in tema di vitalizio assistenziale, I Contratti, 2000, p.870 (nota a Cass., 29 maggio 2000, n. 7033).

[40] M.Malvano, o.u.c., p. 275.

[41] Cass.,16 febbraio 2004 n. 2940 ha ritenuto inadempimento idoneo alla risoluzione del contratto il ricovero della vitaliziante, dopo cinque anni di esecuzione del contratto, nel momento in cui questa era divenuta non autosufficiente: si ha quindi un inadempimento di non scarsa importanza anche nel caso in cui il vitaliziante, dopo aver assunto per lungo tempo l’obbligazione, manchi di eseguirla per un breve periodo di tempo.

[42] Il trust autodichiarato “può far sorgere fortissimi sospetti di essere simulato, e quindi di essere una struttura fittizia o una costruzione artificiosa”… ma da qui a dire che il trust auto-dichiarato non esiste c’è evidentemente un salto enorme” (da A. Busani, La Cassazione <<smonta>> il trust , da Il Sole 24ore, 8 marzo 2015. In particolare, in questo gruppo di sentenze definite “storiche” (Cass., 24 febbraio 2015, n. 3735 e 3737; Cass., 25 febbraio 2015, n. 3886) si ritiene che un’operazione in cui si vincolano dei beni, benché denominata trust, non si configura come tale se non segue il trasferimento dei beni a un trustee.

Oggetto di tassazione è quindi l’istituzione del vincolo di destinazione in sé e per sé e per tanto a questo si applicherà l’imposta di donazione: di conseguenza, oggetto di tassazione dovranno essere anche i vincoli di destinazione previsti dall’art. 2645-ter, a differenza da quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate (circolare n. 3 del 22 gennaio 2008).

[43] La Fondazione Cariplo “è un soggetto filantropico che concede contributi a fondo perduto alle organizzazioni del Terzo Settore per la realizzazione di progetti di utilità sociale” (dal sito della fondazione, www.fondazionecariplo.it) . Il Quaderno qui richiamato è Cessione della nuda proprietà da parte di soggetti fragili: il possibile ruolo di un soggetto dedicato a cura di Luca Beltrametti e presentato a Milano il 3 giugno 2014.

[44] Il primo contributo significativo è quello di Steven F. Venti and David A. Wise, in Aging And The Income Value Housing Wealth, pubblicato dal Journal of Public Economics, 1991, v44(3), 371-398

[45] Ad es., con riferimento ad un bene immobile, consisterebbe alla differenza tra il valore della proprietà e i debiti da questa garantiti. La definizione è tratta da Il prestito vitalizio ipotecario, di Giuseppe O. Mannella e Gianluca C. Platania, pubblicato dalla collana Notariato, Rassegna sistematica di diritto e tecniche contrattuali, Milano, novembre 2015, pag.8.

[46] Digesto, 7, 1, 1 –Paulus, libri a Vitellio, 3 :”Usu fructus est ius alienis rebus utendi fruendi salva rerum substantia”: era il principale iure in re aliena, svolgendo, ai primordi, una esclusivamente funzione alimentare, servendo a far percepire alla vedova di un matrimonio sine manu, quindi non legittimata a succedere ab intestato al marito, i frutti di una cosa fruttifera (usufructus uxorio). A partire dall’epoca classica, si ammise che beneficiario potesse esserne anche una persona giuridica: il diritto si caratterizza quindi per la sua correlazione con la sostanza materiale della res e la sua temporaneità, essendo la sua durata legata alla vita dell’usufruttuario (altre ipotesi di estinzione erano la consolidatio, la remissio e il non usus).

[47] L’art. 981. c.c., tuttavia, si limita a menzionare la “destinazione economica” senza definirla né nel suo contenuto, né nelle conseguenze riconducibili alla sua alterazione: secondo una parte della dottrina, per la sua individuazione occorre far riferimento ad un criterio obiettivo, ossia la conservazione della cosa non va intesa in senso materiale, ma bisogna far riferimento “al criterio economico-sociale della destinazione, che è quasi immanente all’oggetto del diritto”. L’’usufruttuario “non è limitato da un obbligo di conservare tutti i singoli beni che ne compongono la sostanza, ma dall’obbligo di conservare la struttura, gli elementi vitali e il potenziale economico: pertanto si arriva persino a proibire all’usufruttuario dell’azienda di cessare dalla gestione senza giusta causa obiettiva” (da A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, trentesima settima edizione, Padova, 1997). Questa impostazione si rifà all’art. 2561 c.c., che pone a carico dell’usufruttuario l’obbligo di gestire l’azienda senza modificarne la destinazione economica, in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti, nonché le normali dotazioni di scorte, pena l’applicazione dell’art. 1015: il mancato rispetto della destinazione economica del bene integra in questo caso un’ipotesi di abuso del diritto da parte dell’usufruttuario, segnandone la sua estinzione.

Tuttavia, il comma tre dell’art. 2561 c.c. si riferisce in modo specifico all’azienda, ossia ad un “complesso di beni eterodirettidall’imprenditore, per loro natura destinati alla produzione, e non sempre confrontabili, quanto meno non del tutto, con il più staticoconcetto di usufrutto della singola res” (Antonio Angrisani, Il mancato rispetto della destinazione economica del bene concesso in usufrutto: l’abuso del diritto e la sua decadenza, pag.3, in Comparazione e diritto civile, a cura di Pasquale Stanzione, www.comparazionedirittocivile.it). Si è quindi avvertita la necessità da parte della dottrina di adottare un criterio subiettivo, ossia di far riferimento alla destinazione pattiziamente convenuta al momento della costituzione dell’usufrutto o, in mancanza di un atto costitutivo, a quella concretamente impressa anteriormente dal proprietario (C. M. Bianca, Diritto civile, VI, La Proprietà, Milano, 1999). La stessa posizione è stata accolta dalla giurisprudenza: cfr. Cass. 19 giugno 1962, n. 1550; Cass., sez. un. , 14 febbraio 1995, n. 1571; Cass., 18 novembre 1964, n. 2754.In relazione alle conseguenze del mancato rispetto della destinazione economica del bene, dal momento che questa costituisce un limite all’esercizio del diritto, la sua violazione costituirà non un’ipotesi di abuso del diritto, come tale disciplinata dall’art. 1015 e comportante l’estinzione del diritto di usufrutto, ma, essendo fuori dal limite “di struttura” del diritto, “una simile condotta… come uno specifico inadempimento di un obbligo legale, individuato dal 1° comma dell’art. 981 c.c… Godere di un bene senza rispettarne la destinazione economica, concretizza oggettivamente un caso di eccesso o di assenza di diritto; soggettivamente un’ipotesi di inadempimento di un obbligazione ex lege” (Angrisani, ivi, pag. 6).

[48] All’art. 995 c.c. il legislatore disciplina il quasi-usufrutto, che si ha nell’ipotesi in cui i beni siano consumabili: in questo caso, lo scopo di godimento del bene implica il trasferimento del diritto di proprietà, con l’obbligo a carico del quasi-usufruttuario ha diritto di pagarne il valore al termine dell’usufrutto secondo la stima convenuta. In mancanza di tale determinazione, l’usufruttuario è tenuto al pagamento secondo il valore che la res ha al tempo in cui finisce l’usufrutto o alla restituzione tandundem eiusdem generis et qualitatis.

Nel caso in cui il bene sia deteriorabile, invece, si applica l’art. 996 c.c.: l’usufruttuario ha diritto a servirsene secondo l’uso al quale la res è destinata, e alla fine dell’usufrutto è tenuto alla restituzione nello stato in cui si trova.

[49] Il diritto può essere ceduto, per tutta la sua durata o solo per un certo periodo, salvo patto contrario (che, avendo efficacia reale, è trascrivibile) delle parti ma, in ogni caso, la sua durata è commisurata alla vita dell’originario usufruttuario. In questo caso, si estinguono le garanzie prestate dall’usufruttuario cedente (il nudo proprietario potrà chiedere l’intervento giudiziale ex art. 1003 c.c.). Se l’usufruttuario sopravvive al cessionario, in questo caso, si può verificare una circolazione mortis causa dell’usufrutto.

Sussiste inoltre l’onere di notifica della cessione al nudo proprietario: in mancanza, il cedente e il cessionario del diritto di usufrutto sono responsabili solidalmente.

[50] Cass., 30 agosto 2004, n. 17399.

[51] Cass., 30 agosto 2004, n. 17399.

[52] Cass., 8 giugno 2004, n.10815: “In tema di azione generale di rescissione per lesione, il requisito dello stato di bisogno richiesto dall’art. 1448 c.c., che costituisce uno degli elementi per l’ammissibilità dell’azione generale di rescissione non coincide con l’assoluta indigenza o con una pressante esigenza di denaro, ma deve tuttavia intendersi come ricorrenza, anche se contingente, di una situazione di difficoltà economica riflettentesi non solo sulla situazione psicologica del contraente di modo da indurlo ad una meno avveduta cautela derivante da una minorata libertà di contrattazione, ma anche sul suo patrimonio sì da determinare, in rapporto di causa ed effetto, una situazione di lesione ingiusta del medesimo in conseguenza della sproporzione tra la prestazione eseguita e quella ottenuta”.

[53] Cass., 6 novembre 2015, n. 22703: “In tema di riparto delle spese tra l’usufruttuario e il nudo proprietario, occorre considerare la natura degli interventi da eseguire, giacché spetta all’usufruttario la responsabilità e l’onere di provvedere a tutto ciò che riguardi la conservazione ed il godimento della cosa; mentre compete al nudo proprietario tutto ciò che riguarda la struttura, la sostanza e la destinazione della cosa.”

[54] Purché risultino da atto pubblico o da scrittura privata autenticata di data certa anteriore, anche se, ai fini dell’opponibilità del contratto di locazione del nudo proprietario, a questo requisito è stata equiparata la conoscenza da parte di questo, provata con ogni mezzo dalla parte interessata e desumibile dal comportamento processuale tenuto del nudo proprietario: cfr. Cass., 11 marzo 2005, n. 5421.

[55] A quest’ultima ipotesi ci sono due eccezioni: la prima, enunciata dal secondo comma dello stesso art. 999 c.c., in base al quale “se la cessazione dell’usufrutto avviene per la scadenza del termine stabilito, le locazioni non durano in ogni caso se non per l’anno, e, trattandosi di fondi rustici dei quali il principale raccolto è biennale o triennale, se non per il biennio o triennio che si trova in corso al tempo in cui cessa l’usufrutto”; la seconda, riguardante il caso in cui, a seguito dell’estinzione dell’usufrutto, il proprietario già usufruttuario deve rispettare il contratto di locazione da lui stipulato.

[56] Cfr. Cass., 26 maggio 2011, n.11602.

[57] Cass., 21 dicembre 1982, n.7060: nel caso di specie, la Corte ne esclude l’applicabilità in relazione ai contratti di mezzadria e colonia.

[58] La Cassazione, anche in considerazione della posizione di terzietà del nudo proprietario rispetto ai contratti stipulati dall’usufruttuario, ha dichiarato con la sent. 24 marzo 2014, n. 13841, che a rispondere dell’abuso edilizio è l’usufruttuario, a meno che non si fornisca la prova di un concreto coinvolgimento del nudo proprietario nell’illecito dal punto di vista materiale e non prettamente morale, affermando inoltre che l’interesse specifico alla commissione di un reato non comporta di per sé la responsabilità.

[59] Cfr. Cass., 11 aprile 1983, n. 2558.

[60] Ex art. 2814, comma 1 c.c., le ipoteche costituite sull’usufrutto si estinguono con il cessare di questo (usufructu exstincto, hypoteca perit) , ma se la cessazione si verifica per rinunzia o per l’abuso dell’usufruttuario, ovvero per consolidazione, l’ipoteca perdura finché non si verifichi l’evento che avrebbe altrimenti prodotto l’estinzione dell’usufrutto, dal momento che, altrimenti, l’estinzione dell’ipoteca discenderebbe da un evento riconducibile alla volontà dell’usufruttuario-debitore. Al comma 2 del medesimo articolo si disciplina l’ipotesi in cui esistano un’ipoteca sia sulla nuda proprietà che sull’usufrutto: l’estinzione del diritto d’usufrutto estende l’ipoteca sulla nuda proprietà alla piena proprietà. Il titolare dell’ipoteca sul diritto assoluto è legittimato all’espropriazione del bene nella sua totalità (restituendo il valore dell’usufrutto); viceversa, l’estensione non avviene qualora a perdurare sia l’ipoteca costituita sull’usufrutto.

[61] Così Cass. 11 gennaio 1967, n. 106: tuttavia, “la necessita del litisconsorzio è prevista quando oggetto del processo siano servitù attive e passive e l’azione sia promossa dall’usufruttuario, al fine di evitare giudicati aventi efficacia solo temporanea”.

[62] Secondo la Cass. 24 luglio 1976, n. 2968, l’usufruttuario è autonomamente legittimato, nell’inerzia del proprietario, a promuovere l’actio negatoria, ma deve chiamare in causa il nudo proprietario, configurandosi un litisconsorzio necessario.

[63] L’art.1001c.c., menzionando soltanto l’obbligo di restituzione e la misura della diligenza da tenersi da parte dell’usufruttuario, non precisa le conseguenze del suo inadempimento: coordinando la norma con l’art. 1015 c.c., si può individuare una duplice tipologia di situazioni:

– nell’ipotesi di comportamenti abusivi più gravi, quali l’alienazione, il deterioramento e la distruzione del bene, l’usufruttuario inadempiente vedrà estinguersi il suo diritto, privilegiandosi il diritto assoluto e l’interesse del nudo proprietario;

– in altre ipotesi, l’autorità giudiziaria, valutando le circostanze, può ordinare che l’usufruttuario dia garanzia (qualora questi ne sia esente ex art.1002 c.c.) o che i beni siano locati o posti sotto amministrazione a sue spese o dati in possesso al proprietario, con l’obbligo, in capo a quest’ultimo, di pagare annualmente, fino alla cessazione dell’usufrutto, una determinata somma all’usufruttuario.

I creditori dell’usufruttuario, in ogni caso, possono intervenire in giudizio ex art. 2900 c.c.

[64] Cass., sez. un. , 14 febbraio 1995, n. 1571.

[65] Dati di Confabitare, Comunicato del 16 marzo 2015.

[66] Si tratta del concetto di “nuda proprietà solidale”, su cui la Liguria, vincitrice di un bando dell’Ue, ha svolto uno studio di fattibilità e una prima sperimentazione: “l’idea è quella di una rete sociale costituita da enti pubblici, agenzie per la casa, mondo del volontariato… con l’indispensabile coinvolgimento delle fondazioni bancarie, per dar vita a un soggetto terzo, con il compito istituzionale di assistere gli anziani su uno dei temi più sensibili, la casa” da Spinta UE alla nuda proprietà di Jada C. Ferrero, pubblicato da Il Sole 24 ore dell’ 8 novembre 2012. Il concetto di nuda proprietà solidale è inoltre centrale nello studio della Fondazione Cariplo sopra richiamato, laddove si ci interroga sulla veste giuridica che l’ente debba assumere.

[67] Decreto 22 dicembre 2011 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Adeguamento delle modalità di calcolo dei diritti di usufrutto a vita e delle rendite o pensioni in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni: il coefficiente considera l’età dell’usufruttuario (o degli usufruttuari), le aspettative medie di vita della popolazione, il tasso di interesse legale.

[68] A. Chiodi, alla voce “Mortgage”, in Digesto, Discipline privatistiche, Sezione civile, pag. 465.

[69] Il sale model ( o home revesion) corrispondeva, inizialmente, al nostro contratto di vendita di nuda proprietà con riserva di usufrutto, presentano gli stessi limiti: pertanto, nei sistemi di common law il conflitto tra le parti si è risolto con l’apporto degli istituti assicurativi e dei brokers immobiliari, in modo da avere un mercato più trasparente e una maggiore tutela del contraente anziano. Attualmente, è previsto che, a fronte del trasferimento immediato del diritto di proprietà, al venditore spetti il diritto di abitare l’immobile fino alla propria morte e una somma di denaro compresa tra il 30 e il 60 % del valore del bene da corrispondere in un’unica soluzione o un’annualità vitalizia.

[70] L’importanza di un’offerta trasparente di questo prodotto è testimoniata dall’istituzione, nel 2008, del SAFER, altro organismo dedicato alla diffusione di standard informativi ai clienti.

[71] Da ERC Statement of Principles, V4, approved on Nov. 2014.

[72] Il bene immobile dato in garanzia deve essere un’abitazione singola o facente parte di un condominio “approvato dal Dipartimento urbanistico federale” e deve essere sgravato da altri pesi.

[73] Nel 2009 è stato inoltre introdotto un particolare reverse mortgage per l’acquisto di una nuova abitazione e ottenere contestualmente il finanziamento in un’unica operazione, con il susseguente risparmio di costi, spese e tassazione.

[74] In Italia, la prima disciplina risale al D.L. 203/05, vedi infra.

[75] Art. 2422 Code Civile: “ L’ipoteca costituita a fini professionali da una persona fisica o giuridica può essere ulteriormente data come garanzia ad altri da quelli menzionati nell’atto costitutivo, purché sia espressamente previsto.

 Il costituente, in questo caso, può offrire in garanzia, nei limiti della somma prevista nell’atto costitutivo, non solo al creancier originario, ma anche a un nuovo creditore, anche se il primo non sia stato pagato. La convenzione di ricarica deve essere redatta per atto iscritto sia con il creditore originario che con il nuovo creditore, ed è pubblicata secondo le forme previste all’art. 2430, a pena di inopponibilità ai terzi.

La sua pubblicazione determina l’ordine (le rang)dei creditori beneficiari della medesima ipoteca.

Salvo quanto previsto all’art. 2424, il presente articolo è di ordine pubblico e tutte le clausole contrarie si hanno per non apposte”.

L’istituto dell’ipoteca ricaricabile (nel BGB, “ipoteca del proprietario” ) riguarda una particolare ipoteca non accessoria che può essere “ricaricata”, ossia utilizzata più volte dal debitore a garanzia di debiti diversi. “Si tratta di una tipologia di ipoteca convenzionale, costituita a fini professionali, che può essere assegnata in garanzia di ulteriori crediti oltre a quelli menzionati nell’atto costitutivo, anch’essi di tipo professionale, nei confronti dello stesso creditore o di altri creditori diversi e successivi, a prescindere dal fatto che i crediti originari siano stati pagati o meno. Questa forma ipotecaria è stata efficacemente paragonata ad una busta: un contenitore capace di essere riempito dal costituente a seconda delle sue esigenze.” L. Colombo, L’ipoteca ricaricabile, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 34, 2016.

[76] L’art. 106 del d.lgs. 385/93 Testo Unico Bancario, al comma 1, recita: “L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia”. Per un approfondimento, vd. infra.

[77] A. Bulgarelli, La disciplina del prestito vitalizio ipotecario, in Diritto e Giustizia. Rivista di informazione giuridica del 22 aprile 2015.

[78] Mario Mazzeo, Il prestito vitalizio ipotecario nella Finanziaria 2006, in Obbligazioni e contratti, 2006, 4, pag.367, ss.

[79] Mario Mazzeo, ibidem.

[80] Gloria Gatti, Il prestito vitalizio con ipoteca sulla casa è concesso solo agli over 65, pubblicato da Il Sole 24ore del 29 dicembre 2008.

[81] Mario Mazzeo, ibidem.

[82] Il prodotto è stato offerto, fin dal 2005, dalla società finanziaria Euvis S.p.A., seguita nel 2006 da Telemutuo e Finanza attiva e, a partire dal 2007, da Deutsche Bank e da Monte dei Paschi di Siena, anno in cui i contratti di prestito vitalizio stipulati erano non più di 200. Dati pubblicati dall’Institut fur Finanzdienstleistungen (IFF) in occasione di uno studio commissionato dall’Unione Europea in materia di equity release schemes, pubblicato sul sito https://europa.eu/european-union/index_it.

[83] Queste sono le considerazioni di Elsa Fornero, Maria Cristina Rossi e Maria Cesira Urzì Brancato che, nel discussion paper pubblicato nel settembre 2011 da Netspar (Network for Studies on Pensions, Aging and Retirement)Explayning Why, Right or Wrong, (Italian) Households Do Not Like Reverse Mortgage, hanno analizzato le determinanti di interesse per gli anziani italiani relativamente al prestito vitalizio ipotecario. I dati utilizzati dalle Autrici, ricavati dall’indagine di UniCredit nel 2007 sul risparmio delle famiglie, sono stati basati su 1.200 intervistati: di questi, circa il 60% ha affermato di non avere alcun interesse nel prodotto; il restante 40%, invece, o è proprietario di una casa di abitazione che è disposto a vendere, o è particolarmente preoccupato per il tenore di vita che riuscirà ad avere a pochi anni dal pensionamento.

[84] Art. 40. Disposizioni sui prestiti vitalizi ipotecari.

1. Le disposizioni di cui agli articoli 15, 17, 18 e 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni, sono estese ai prestiti vitalizi ipotecari erogati da parte degli intermediari finanziari di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385, se il netto ricavato del finanziamento è destinato: a contributi per l’acquisto della prima casa in favore di parenti dei mutuatari fino al secondo grado incluso; al pagamento di spese per l’assistenza domiciliare di anziani e persone disabili.

2. Dopo il comma 12 dell’articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, è inserito il seguente:

 ”12-bis. I proprietari dell’immobile ipotecato concedono al soggetto finanziatore mandato con rappresentanza a vendere l’immobile, con esecuzione successiva alla durata della vita dei mandanti, purché trascorsi almeno sei mesi dalla data di esigibilità del credito ed entro il terzo anno dalla data di scadenza del finanziamento. Il mandato è concesso anche nell’interesse del mandatario, e si estingue con il rimborso integrale del finanziamento, rimborso che può essere effettuato anche mediante surrogazione degli eredi al piano di ammortamento. La vendita deve essere effettuata ad un prezzo non inferiore al valore dell’immobile individuato da un perito nominato dal presidente del tribunale del luogo in cui è situato l’immobile. Il prezzo minimo di vendita si intende ridotto del 10 per cento se l’immobile è rimasto invenduto trascorsi dodici mesi dalla data di scadenza del finanziamento, e di un ulteriore 10 per cento per ogni ulteriore semestre. La notificazione dell’istanza per la nomina del perito e dell’intenzione di vendere deve farsi almeno sessanta giorni prima della vendita agli eredi del mandatario. In caso di eredità giacente la vendita deve essere autorizzata dal tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. La differenza tra il ricavo netto della vendita e quanto dovuto al soggettofinanziatore spetta agli eredi del mandante o aventi causa, ed è messa a loro disposizione anche a mezzo di deposito vincolato presso un istituto di credito. Il soggetto finanziatore non può rivalersi nei confronti degli eredi o aventi causa se il ricavo netto della vendita in esecuzione del mandato non è sufficiente per l’estinzione del prestito. Nei confronti dell’acquirente dell’immobile non hanno effetto le domande giudiziali di cui all’articolo 2652, primo comma, n. 7) e n. 8), del codice civile trascritte successivamente alla trascrizione dell’acquisto. Agli effetti dei diritti di scritturato e degli emolumenti ipotecari, nonché dei compensi e dei diritti spettanti al notaio alla stipula, gli atti e le formalità ipotecari, anche di annotazione, si considerano come una stipula, una sola operazione sui registri immobiliari e un solo certificato. Gli onorari notarili sono ridotti alla metà.

[85] L’ABF “incontra” per la prima volta l’istituto del prestito vitalizio con la decisione 16 ottobre 2013, n.5233. Il Collegio milanese, in questo caso, non entra “ nel merito di tipo di finanziamento prospettato”, che prevede “l’erogazione… a fronte della accensione di ipoteca su immobile e, sembra di un mandato di vendita allo stesso” ma si limita a rilevare che “il mancato perfezionamento della trattativa è stato giustificato con la messa in liquidazione della società che avrebbe dovuto perfezionare il contratto di finanziamento”. In questo caso, quindi, “non vi è…possibilità di prospettare responsabilità precontrattuale per un’ingiustificata rottura delle trattative”.

[86] ACU, ADICONSUM, ADOC,ASSOCONSUM, ASSOUTENTI, CITTADINANZATTIVA, CONFCONSUMATORI, FEDERCONSUMATORI, Movimento Consumatori, MDC (Movimento Difesa del Cittadino), UNC (Unione Nazionale Consumatori).

[87] Il Protocollo, firmato a Roma il 27 giugno 2014, esprime quelli che sono i principi concordati per l’offerta del prestito vitalizio, in particolare, relativamente alla quota massima di rimborso del credito, alla garanzia da co-intestazione, al prospetto di maturazione degli interessi, al periodo di riflessione a favore degli eredi.

[88] “Il Consiglio di Stato, pur avendo espresso il proprio parere favorevole allo schema di decreto di regolamento, ha tuttavia invitato il Mise ad approntarvi taluni emendamenti al fine di fornire maggiori tutela e informazione al soggetto finanziato. In particolare sono state richieste modifiche alla modalità di revoca integrale del finanziamento qualora l’immobile concesso in garanzia subisca procedimenti conservativi o esecutivi di importo pari o superiore a una data percentuale del valore del finanziamento o del valore dell’immobile concesso in garanzia, nonché, agli effetti dell’eventuale anticipata estinzione del finanziamento nei confronti degli eredi”. Angelo Busani, Prestito vitalizio ipotecario: pronto lo schema di offerta, Il Sole 24ore, 28 ottobre 2015.

[89] Angelo Busani, Prestito vitalizio, operativo il regolamento: in vigore dal 2 marzo pubblicato su Quotidiano di Edilizia e Territorio, 18 febbraio 2016.

[90] “Sembra infatti che la nuova disciplina sul prestito vitalizio non possa trovare applicazione in pendenza dell’emanazione del regolamento del MISE, considerata la rilevanza ed essenzialità dei punti che saranno oggetto del decreto ministeriale. La disciplina del nuovo istituto presenta un contenuto imperativo non sufficientemente delineato dal legislatore primario, attribuendosi infatti al regolamento ministeriale un ruolo non secondario nel completamento del precetto normativo. Si sarebbe in presenza, in altri termini, di quella “legislazione integrata”, in cui la legge affida a fonti diverse il compito di completare l’innovazione da essa prodotta, rinviando ad una normativa in assenza della quale la legge è, oltre che inapplicabile, incompleta, quanto meno nel senso che gli istituti in essa disciplinati mancano di elementi essenziali per la definizione di alcune delle loro caratteristiche più rilevanti”. Così C. Lomonaco, A. Musto e M. Leo, Segnalazioni Novità Normative, La riforma del prestito vitalizio ipotecario (Legge, 2 APRILE 2015, n. 44), Note a prima lettura, in CNN notizie, 23 aprile 2015.

[91] “In tale arco temporale pertanto non si possono stipulare prestiti vitalizi ipotecari regolati dalla nuova disciplina ma nemmeno si può procedere alla loro stipulazione sulla base della loro precedente disciplina in quanto ormai la stessa è da considerarsi superata a far data dal 6 maggio 2015 per effetto dell’entrata in vigore della nuova disciplina”. Vd. Il prestito vitalizio ipotecario, di Giuseppe O. Mannella e Gianluca C. Platania, pubblicato dalla collana Notariato, Rassegna sistematica di diritto e tecniche contrattuali, Milano, novembre 2015, pag.70.

[92] Andrea Bulgarelli, La disciplina del prestito vitalizio italiano, Il Caso.it, 22 aprile 2015. Ibidem: “Certamente, per disciplinare compiutamente l’istituto tutelando adeguatamente ed efficacemente tutti gli interessi in gioco, senza privilegiarne alcuno, sarebbe forse servita un po’ meno fretta, un’adeguata opera di coordinamento con le norme in vigore, e un po’ più di precisione e rigore scientifico e terminologico anche in considerazione della delicatezza di diversi istituti (anatocismo, patto commissorio, patto marciano, mandato gratuito in rem propriam post mortem, esecuzione forzata immobiliare privata, acquisti dall’erede apparente, opponibilità delle locazioni al creditore ipotecario e al suo avente causa in sede esecutiva) coinvolti nella novella.”

[93] G. O. Mannella e G. C. Platania, ivi, pag. 84.

[94] Cfr. Giuseppe O. Mannella e Gianluca C. Platania op. cit.; D. Farace, ivi; A. Bulgarelli, La disciplina del prestito vitalizio ipotecario, in Diritto e Giustizia. Rivista di informazione giuridica del 22 aprile 2015; S. Carunchio e G. Trinchese, op. cit..

[95] Secondo il Tribunale di Milano, sez. VI, 15 giugno 2005, “La mancata consegna al cliente, al momento della sottoscrizione, delle copie di un contratto (…) non configura una ipotesi di nullità del contratto stesso ma semmai di inadempimento, la cui gravità deve essere valutata alla stregua delle conseguenze pregiudizievoli che ne sono eventualmente derivate”.

[96] Art. 2657 c.c., Titolo per la trascrizione: “La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.”

[97] Art 2808 c.c., Costituzione ed effetti dell’ipoteca, comma 2: L’ipoteca può avere per oggetto beni del debitore o di un terzo e si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari.

[98] Art 2827 c.c., Luogo dell’iscrizione: “L’ipoteca si iscrive nell’ufficio dei registri immobiliari in cui si trova l’immobile”.

[99] Giuseppe O. Mannella e Gianluca C. Platania, ivi, pag. 91.

[100] Fondazione nazionale dei Commercialisti, Il prestito vitalizio ipotecario: inquadramento civilistico e tributario, Documento del 30 giugno 2015 a cura di S. Carunchio e G. Trinchese.

[101] In conclusione, “la natura di contratto unilaterale (ad attribuzioni corrispettive) ovvero di contratto a prestazioni corrispettive, così come la natura reale o consensuale, saranno condizionate dallo specifico schema negoziale che le parti sceglieranno per procedere all’erogazione delle somme date in prestito (mutuo, apertura di credito, rendita).” Giuseppe O. Mannella e Gianluca C. Platania, ivi, pag. 88.

[102] A. Bulgarelli, ivi, pag. 12-13 :”Inquadrare il potere del finanziatore di vendere il bene in un mandato con rappresentanza in rem propriam consentirebbe d’evitare le problematicità della diversa figura del mandato a vendere un immobile senza rappresentanza. Accanto all’incarico di vendere l’immobile, sarebbe infatti necessario che il soggetto finanziato ne trasferisse la proprietà al finanziatore sotto la condizione sospensiva a vendere senza rappresentanza. Ciò che implicherebbe non solo elevati costi fiscali ricollegabili al doppio passaggio di proprietà, ma anche qualche dubbio ricollegabile alle dispute dottrinarie, sull’ammissibilità della condizione di adempimento, oltre al timore di una maggiore vicinanza di tale ricostruzione negoziale al patto commissorio. Non appare dunque opportuno ricorrere ad un tale inquadramento del meccanismo in base al quale potrà essere venduto il bene del finanziato”.

[103] Per terzi qui si intendono gli eredi, i quali non sottoscrivono il contratto e non conferiscono il mandato.

[104] Cfr. Cass., 4 dicembre 2000, n. 15436 : “L’interesse del mandatario non coincide con quello generico a conservare l’incarico o a proseguire l’attività gestoria al fine di conseguire il compenso, essendo, invece, necessario un interesse giuridico del mandatario all’esecuzione dell’incarico, vale a dire un rapporto obbligatorio tra mandante e mandatario generalmente preesistente al mandato o comunque con esso costituito in cui il debitore sia il mandante e creditore il mandatario”.

[105] Cfr. Mannella- Platania, ivi, pag. 182. Gli Autori specificano in nota n. 113: “Laddove si è voluto privare il mandante della disponibilità giuridica della situazione affidata il legislatore lo ha detto chiaramente: così per la cessione dei beni ai creditori – che i più ricostruiscono quale mandato a vendere – l’art. 1980 del codice prevede espressamente che il debitore non può disporre dei beni ceduti”.

Nello stesso senso Bulgarelli, op. cit.

[106] F. Pene Vidari, Patti successori e contratti post mortem, in Rivista di diritto civile, 2001, II, 245, par. 4.

[107] Cfr., ad es., Cass.16 ottobre 1995, n. 10805; Cass., 9 maggio 2013, n. 10896; Cass., 28 gennaio 2015, n. 1625.

[108] Cfr. Cass., 28 gennaio 2016 n. 1625.

[109] Si ricorda, inoltre, che “il legislatore non ha ritenuto di tutelare il finanziato (od i suoi eventuali aventi causa) di fronte ad un possibile inadempimento da parte del finanziatore: non ha previsto per il credito in esame alcuna garanzia o privilegio né, come pure avrebbe potuto, ha subordinato l’efficacia del trasferimento all’effettivo pagamento del supero a vantaggio del finanziato o degli aventi causa. Spetterà agli operatori integrare la previsione di legge inserendo all’interno del contratto di finanziamento adeguate cautele a tutela della parte debole del rapporto” Cfr. Mannella, Platania, ivi, pag. 104.

[110] Inoltre, si è visto che, configurandosi come mandato gratuito, è richiesto un quid pluris rispetto all’elemento soggettivo della colpa per la sussistenza della responsabilità del mandatario.

[111] G. Petrelli, op. cit, 2015, pag. 63.

[112] “Più equilibrata appare invece la soluzione francese, …(laddove) si è preferito inserire la figura del sistema del prestito vitalizio ipotecario all’interno di una più ampia riforma del sistema delle garanzie reali: il legislatore francese ha espressamente abrogato il divieto del patto commissorio e così ha permesso la stipulazione di un patto commissorio “puro” contestualmente alla concessione dell’ipoteca nonché un’assegnazione giudiziale in pagamento dell’immobile ipotecato. Ebbene entrambi tali meccanismi sembrano meglio tutelare il debitore rispetto al congegno messo in piedi dal legislatore italiano, poiché in quel contesto il debitore è garantito dalla circostanza che l’immobile ipotecato verrà assegnato al creditore sulla base del valore del bene al tempo dell’inadempimento”. Mannella, Platania, ivi, pag. 203.

[113] A. Bulgarelli, ivi, pag. 13: “Il termine “conferimento” pare non potersi invece riferire all’immobile dato che:

– la successione non determina affatto un “conferimento” (termine che evoca un negozio giuridico) dell’immobile all’erede bensì un subentro nella proprietà dello stesso;

– riferire il termine di dodici mesi alla data di apertura della successione (e dal “conferimento” dell’immobile) e ritenere che il potere dell’erede sia circoscritto in tale ambito temporale sarebbe incoerente con l’uguale termine di adempimento fissato dall’articolo 12 rischiando di rendere di fatto inapplicabile tale possibilità.”

[114] A. Bulgarelli, ivi, pag. 13: “Il riferimento al “conferimento” può quindi forse solo riferirsi ad un accordo autorizzativo in virtù del quale le parti stabiliscano:

a) che alla vendita dovranno provvedere, nel termine di dodici mesi e al prezzo stabilito dal perito, gli eredi;

b) che il finanziatore verrà pertanto autorizzato a soprassedervi entro il medesimo limite temporale;

c) che quest’ultimo, ove gli eredi reperiscano un acquirente, rilascerà l’assenso alla cancellazione dell’ipoteca iscritta in suo favore”.

[115] Cass., 23 aprile 2001, n. 5981 .

[116] Bulgarelli, ibidem. L’A. cita a sostegno della sua posizione:A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, Milano, 1984, p. 306 nota 301; Santagata, I limiti al potere di disposizione del mandante nel mandato irrevocabile, in Banca, borsa e tit. cred., 1967, I, p. 178.

[117] “Si ricorda che ai sensi dell’art. 1813 c.c. la corresponsione degli interessi non è requisito essenziale per il contratto di mutuo che viene definito in dottrina per tale ragione come contratto a “causa variabile” in quanto può essere strutturato sia come gratuito (quando in capo al mutuatario grava esclusivamente l’obbligazione di restituire alla scadenza la sola somma corrispondente al capitale) sia come oneroso (quando il mutuatario, oltre alla somma ricevuta, dovrà corrispondere anche una somma ulteriore rappresentata dalla quota di interessi maturati sul capitale ricevuto” G. O. Mannella, G. Platania, ibidem.

[118] G. O. Mannella, G. Platania, ivi, pag. 105.

[119] “Partendo dall’analisi del comma 12, è evidente la deroga generale al divieto dell’anatocismo che il legislatore, fin dall’introduzione del prestito vitalizio nel 2005, ha voluto mettere in primo piano già in sede di definizione del nuovo prodotto finanziario prevedendola infatti non già come semplice facoltà delle parti quanto come sua caratteristica intrinseca e naturale da ritenersi inderogabile nella sua originaria struttura tipica” G. Mannella e G. Platania, ivi, pag. 109.

[120] “La riforma del 2015, … con l’introduzione del comma 12 bis, ha cercato di mitigare tale previsione riconoscendo al finanziato la possibilità di escludere tale ulteriore “costo” a carico dei suoi eredi decidendo di optare al momento della stipula per il rimborso graduale dei soli interessi e spese ed escludere così la loro capitalizzazione annua. Rispetto alla disciplina comune la disciplina è capovolta: non più generale divieto con possibile deroga nei limiti (stringenti) previsti all’art. 1283 c.c., ma generale ammissibilità con possibile deroga pattuita a scelta del finanziato.” G. Mannella, G. Platania, ibidem.

[121] G. O. Mannella, G. C. Platania, ivi, pag. 84.

[122] A.Trabucchi relativamente al contratto di rendita vitalizia, Istituzioni di Diritto Civile, Padova, 2009, p. 202 ss.

[123] Le conseguenze della diversa qualificazione del contratto di prestito vitalizio ipotecario come aleatorio piuttosto che commutativo emerge in tema di risoluzione del contratto e la conseguente applicabilità o meno dell’art. 1467 c.c., per cui vedi infra.

[124] Per quanto riguarda i finanziamenti stipulati prima dell’entrata in vigore della l. 44/2015, ossia prima del 6 maggio 2015, continuano a essere regolati dalle disposizioni previgenti (salvo, naturalmente, che vi sia un nuovo accordo tra le parti).

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