Nell’ordinanza in esame la Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c.
La questione sottoposta all’attenzione della Corte riguarda l’esatta qualificazione del rapporto di lavoro intercorrente tra l’amministratore di una società di capitali e la società stessa in termini di rapporto di lavoro parasubordinato o, al contrario, autonomo o di opera professionale. Si tratta di una problematica di grande rilevanza viste le conseguenze applicative in punto di impignorabilità oltre il quinto degli stipendi prevista dall’art. 545 c.p.c., in relazione ai rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato, la cui ratio è da rinvenire nell’esigenza di non pregiudicare la soddisfazione dei più elementari bisogni della vita del debitore e delle altre persone a suo carico, rappresentando lo stipendio del lavoro subordinato o parasubordinato la principale fonte di reddito e di sostentamento del lavoratore.
I giudici di legittimità, in particolare, rilevano l’esistenza di un contrasto interpretativo sorto proprio all’interno della Corte di Cassazione: una prima tesi ermeneutica, infatti, opta nel senso della qualificazione del rapporto in termini di parasubordinazione, sottolineando il carattere continuativo, coordinato e prevalentemente personale della prestazione dell’amministratore.
Una seconda tesi interpretativa, invece, in taluni casi esclude ogni vincolo di subordinazione o parasubordinazione, qualificando il rapporto di lavoro come autonomo, in altri, invece, sottolinea la possibilità che il rapporto di lavoro abbia una diversa natura a seconda della sussistenza nel singolo caso concreto di un potere di gestione esclusivo o meno del singolo amministratore. Una ulteriore tesi ermeneutica, infine, lo qualifica come «rapporto di società», diverso e distinto da un rapporto di prestazione d’opera, intellettuale o meno.