La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 2931 del 05 febbraio 2025, ha rimesso alle Sezioni Unite l’effettiva nozione di credito “condizionato” e se nella stessa vi possa rientrare anche il credito risarcitorio o restitutorio derivante dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, posta prima del fallimento e ancora pendente, per esservi subentrato il curatore, in sede ordinaria.
Si ricorda che, in base all’art. 96 L.F., i crediti condizionati possono essere ammessi al passivo con riserva, e, per giurisprudenza maggioritaria, si intendono quei crediti sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva, nonché quelli che non possono farsi valere contro il fallito, se non previa escussione dell’obbligato principale.
In particolare, le questioni poste alle Sezioni Unite sono le seguenti:
- se la domanda di risoluzione del contratto, proposta nei confronti del contraente, poi fallito, debba o meno essere trasferita in sede fallimentare, unitamente alle domande risarcitorie o restitutorie conseguenti alla risoluzione
- in caso di risposta positiva, quali conseguenze derivino dall’omessa riproposizione della domanda in sede fallimentare e se il trasferimento debba avvenire pur quando l’azione di risoluzione contrattuale sia stata promossa anche dal contraente poi fallito e sia stata proseguita dal curatore in sede ordinaria
- in caso di risposta negativa, e dunque qualora la domanda di risoluzione debba rimanere pendente dinanzi al giudice ordinario, quando debba essere proposta la domanda di ammissione del credito allo stato passivo, e se tale credito possa essere assimilato ai crediti condizionali o debbano adottarsi altri rimedi processuali, anche al fine di evitare il passibile contrasto fra giudicato endofallimentare e giudicato ex art. 2909 C.c.
Sul raccordo tra giudizio ordinario e giudizio di accertamento del passivo fallimentare
L’art. 72 L.F. (disposizione pedissequamente riprodotta nell’art. 172, c. 5, CCII) disciplina la sorte dei contratti ancora pendenti alla data di dichiarazione del fallimento, i quali restano sospesi fino al momento in cui il curatore non eserciti la propria scelta di subentrarvi, ovvero di sciogliersene; il quinto comma dell’art. 72 L.F. esclude però che il curatore possa esercitare la facoltà di scelta di subentrare o meno nel contratto quando, prima del fallimento, la parte adempiente ne abbia chiesto la risoluzione nei confronti della parte inadempiente poi fallita.
Nel disciplinare il “raccordo” fra il giudizio anteriormente instaurato e il giudizio di accertamento del passivo, stabilisce poi che se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda mediante l’insinuazione al passivo; qualora intenda, invece, ottenere solo la pronuncia di risoluzione del contratto (anche per precludere al curatore la possibilità di subentrarvi), nessuna domanda debba essere proposta in sede fallimentare.
La Corte ricorda che l’art. 72, c. 5 L.F. ha rivelato qualche ambiguità semantica in punto di raccordo tra il preventivo giudizio di risoluzione promosso in sede ordinaria e quello successivo da promuovere in sede fallimentare, ingenerando così diverse opinioni dottrinali, sussumibili, l’una, nella tesi della “divaricazione processuale” tra giudizio ordinario e giudizio fallimentare e, l’altra, nella tesi della “trasmigrazione integrale” in sede fallimentare.
Anche nella giurisprudenza della Prima Sezione civile della Cassazione sono emerse, sul tema, posizioni almeno in parte divergenti:
- le domande principali e prodromiche di simulazione e risoluzione contrattuale, trascritte anteriormente alla dichiarazione di fallimento della parte convenuta in giudizio, possono proseguire legittimamente con il rito ordinario, attesa l’opponibilità della relativa sentenza alla massa dei creditori in ragione dell’effetto prenotativo della trascrizione; viceversa, le pretese, accessorie, di restituzione e risarcimento del danno devono necessaria mente procedere, previa separazione dalle prime, nelle forme degli artt. 93 e ss. L.F., in quanto assoggettate alla regola del concorso e non suscettibili di sopravvivere in sede ordinaria (Cass. 29 febbraio 2016, n. 3953); solo le domande risarcitorie e restitutorie devono quindi essere dichiarate improcedibili dal giudice ordinario, per essere incardinate innanzi al giudice fallimentare.
- il secondo periodo dell’art. 7 2, c. 5, L.F. va interpretato nel senso che la domanda di risoluzione proposta prima della dichiarazione di fallimento, se diretta in via esclusiva a far valere, in sede concorsuale, le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie, di cui costituisca l’antecedente logico giuridico, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dagli artt. 93 ss. L.F.; perché per un verso, non sarebbe applicabile in via analogica o estensiva l’istituto dell’ammissione con riserva ex art. 96, c. 2, L.F. stante la tipicità e tassatività delle ipotesi contemplate dalla norma; per altro verso, sarebbe incompatibile con il giudizio di accertamento del passivo fallimentare la sua sospensione, ex art. 295 c. p.c., in attesa della decisione in sede ordinaria sulla domanda pregiudiziale di risoluzione; pertanto, solo la domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso (come la liberazione della parte in bonis dagli obblighi contrattuali o l’escussione di una garanzia di terzi) resterebbe invece procedibile in sede di cognizione ordinaria (Cass. 7 febbraio 2020, n. 2990 e n. 2991).
La soluzione delle questioni prospettate, secondo la Corte, è ancora più complicata nel caso di specie, in cui alla domanda di risoluzione contrattuale eventualmente da “trasferire” in sede fallimentare, si contrappone quella originariamente proposta dall’appaltatrice contro la committente e fatta propria dal curatore: attesa la tipicità del procedimento di accertamento del passivo, deve escludersi la possibilità che un eventuale simultaneus processus possa svolgersi in sede concorsuale, consentendo al giudice fallimentare di decidere anche della domanda di risoluzione proposta dal curatore.
La Corte si chiede quindi se l’accertamento dei reciproci inadempimenti possa restare devoluto alla cognizione del giudice ordinario, con conseguente trasferimento in sede concorsuale delle sole domande restitutorie e risarcitorie avanzate dal contraente in bonis o se invece spetti comunque al giudice fallimentare pronunciarsi sulla domanda di risoluzione proposta dal medesimo.
La nozione di credito condizionato
E’ essenziale pertanto per la Corte verificare, quale possibile soluzione interpretativa, se nella nozione di “credito condizionato” possa rientrare anche il credito (risarcitorio o restitutorio) derivante dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento posta prima del fallimento e ancora pendente, per iniziativa del curatore, in sede ordinaria.
In ordine alla nozione di credito condizionato, la Corte ripercorre il contrasto interpretativo in essere, ovvero:
- per la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria di legittimità, secondo cui le ipotesi di credito condizionato sarebbero tassative, escludendosi ogni possibile allargamento del perimetro attraverso il ricorso all’analogia; sicché rientrano tra i crediti condizionati ex art. 96, c. 2, n. 1, L.F. (ora art. 204 CCII), oltre a quelli sottoposti a condizione sospensiva o risolutiva, solo quelli indicati nell’ultimo comma dell’art. 55 L.F. ( ora art. 154 CCII), e cioè quelli che non possono farsi valere contro il fallito se non previa escussione dell’obbligato principale
- una parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità, in base alla fattispecie esemplificativa di cui all’art. 55, c. 3, L.F. (ora art. 154 CCII), inseriscono all’interno di tale macrocategoria anche altre tipologie di crediti, senza necessità di ricorrere allo strumento dell’analogia, vietata
Ove il credito risarcitorio o restitutorio derivante dalla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non possa ritenersi un credito condizionato, andrà stabilito se il passibile conflitto fra giudicati potrà essere evitato:
- sottoponendo a sospensione ex art. 295 C.p.c., la causa pendente dinanzi al giudice ordinario
- non ricorrendo alcun rapporto di pregiudizialità/connessione fra le due cause, queste debbano procedere separatamente ed essere separatamente decise, previo necessario trasferimento in sede fallimentare della domanda di risoluzione proposta dalla creditrice in bonis.
Come ulteriore alternativa, derivante dalla ben possibile in sorgenza di un conflitto pratico – parziale fra le due pronunce, potrebbe anche ipotizzarsi che in simili fattispecie, del tutto peculiari, si accetti il rischio di un conflitto tra giudicati, che l’ordinamento in effetti tollera quando le diverse finalità dell’azione e la diversità delle regole di giudizio consentono di trascurare l’eventuale “cortocircuito” tra i giudicati formati nelle rispettive sedi processuali.