La Corte d’appello di Torino, ribaltando la decisione del giudice di primo grado, ha dichiarato ammissibile l’azione collettiva risarcitoria promossa da tre correntisti, per il tramite dell'associazione Altroconsumo, contro Intesa Sanpaolo S.p.A.. In particolare, nel caso di specie, i correntisti contestano l’indebito pagamento di commissioni di scoperto di conto corrente, tema questo di notevole interesse nei rapporti fra banca e cliente.
Nel rispetto dei termini di legge, la Corte d’appello ha limitato l’ammissibilità dell’azione, ratione temporis, alle sole commissione di scoperto di conto applicate dalla banca dopo il 15 agosto del 2009.
Secondo il presidente di Altroconsumo, Paolo Martinello, "E’ un risultato senza precedenti per i correntisti bancari coinvolti e per i consumatori più in generale, in un momento di grave sofferenza finanziaria del Paese e dell’intera area euro, e di discussione sulla credibilità del settore bancario". "La trasparenza e il rispetto delle regole – prosegue Martinello – sono criteri da applicare irrinunciabilmente alla priopria clientela e utenza. In mancanza, i diritti dei correntisti devono poter essere tutelati attraverso il nuovo strumento della class action, che per la prima volta in Italia viene ammesso nei confronti di un importante istituto bancario, per una vicenda che coinvolge migliaia di consumatori”.
Per quanto attiene le questioni di diritto, si evidenzia come la banca avesse innanzitutto eccepito l’inadeguatezza, per difetto di prova, alla cura dell’interesse della classe da parte dell’Associazione Altroconsumo, stante l’applicabilità del regime di cui all’articolo 77 c.p.c., secondo cui “Il procuratore generale e quello preposto a determinati affari non possono stare in giudizio per il preponente, quando questo potere non è stato loro conferito espressamente per iscritto, tranne che per gli atti urgenti e per le misure cautelari”.
Sul punto, la Corte d’appello, ribaltando le conclusioni del Tribunale di primo grado, evidenzia il “forte impatto” della nuova azione di classe sull’ordinamento “sul piano della <<tenuta>> di consolidati principi di diritto processuale a partire dagli istituti della legittimazione processuale e dei limiti soggettivi e oggettivi di giudicato”, attribuendo infatti legittimazione attiva, per la tutela dei “diritti individuali omogenei di consumatori e degli utenti di cui al comma 2 … anche attraverso l’azione di classe” a “ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa” (art. 140bis, primo comma d.lg. 6 settembre 2005, n. 206).
Secondo la Corte d’appello, appare allora evidente come, con riferimento a tale azione, il rapporto tra rappresentato ed ente rappresentante non possa essere ricondotto al regime di cui all’articolo 77 c.p.c., relativo alla rappresentanza del procuratore e dell’institore, il quale presuppone appunto la coesistenza di un potere di rappresentanza sostanziale al fine del conferimento (al medesimo soggetto di esso investito) del potere di rappresentanza processuale.
Evidenziando la specialità di tutela perseguita con tale azione, infatti, la Corte d’appello ritiene che il rapporto fra componente della classe ed associazione investa il piano della rappresentanza processuale mera in quanto assimilabili alla procura alle liti sotto il profilo dell’ausilio tecnico della gestione delle liti di massa, senza alcuna interferenza sulla titolarità, né sulla disponibilità del rapporto sostanziale dedotto con l’azione risarcitoria.
In secondo luogo si evidenzia l’eccezione della banca relativa alla presenza di un conflitto di interessi fra appartenenti alla stessa classe, in particolare fra correntisti affidati i correntisti non affidati, per avere i primi ottenuto benefici del nuovo regime di commissione di massimo scoperto. A detta della banca, i primi sarebbero stati portatori di una situazione non generalizzabile (e pertanto non omogenea di diritti), per loro gestione del conto corrente in perdurante situazione di scopertura, a preferenza di una sua regolarizzazione, mediante formale apertura di credito.
La Corte d’appello respinge anche tale eccezione evidenziando come la condizione di conflitto di interessi presupponga, per la sua ricorrenza, un’effettiva divaricazione di situazioni giuridiche positivamente tutelabili, tra loro contrastanti in relazione ad un comune interesse, così da dover essere apprezzato in concreto.