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Giurisprudenza

L’amministratore di fatto risponde del reato di omessa dichiarazione

23 Febbraio 2017

Emanuele Masia, Cultore di diritto tributario presso l’Università degli studi di Bergamo, Avvocato presso R&P Legal

Cassazione Penale, Sez. III, 5 luglio 2016, n. 41148

Con la sentenza n. 41148 del 3 ottobre 2016, la III Sezione penale della Corte di cassazione è tornata sulla configurabilità del reato di omessa dichiarazione, ex art. 5 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in capo all’amministratore di fatto di una società di capitali (nella fattispecie, si trattava di una s.r.l.).

La disposizione richiamata prevede che «È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro cinquantamila» (così al primo comma). La fattispecie incriminatrice configura, pertanto, un reato omissivo proprio che si consuma allo spirare del termine ultimo per l’adempimento dell’obbligo dichiarativo.

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 9 maggio 2014, dichiarava l’imputato G.F. (poi ricorrente per Cassazione) responsabile, tra gli altri, del reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000, condannandolo complessivamente alla pena di anni due e mesi due di reclusione con pene accessorie.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 29 maggio 2015, pur in parziale riforma della sentenza di primo grado appellata, confermava sul punto la decisione di primo grado, rideterminando la pena in anni uno e mesi otto di reclusione con concessione della sospensione condizionale della pena.

Avverso la sentenza da ultimo richiamata, ricorreva per Cassazione G.F. articolando un motivo di ricorso fondato su vizio di violazione di legge e vizio di motivazione.

Con specifico riferimento al reato di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000, il ricorrente censurava la motivazione della sentenza di appello poiché fondata sulle dichiarazioni di un teste ritenuto inattendibile, deducendo, in particolare, che al momento della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione fiscale non fosse più amministratore della società, neppure di fatto e, che, pertanto, non poteva essere chiamato a rispondere per l’omessa presentazione di tale dichiarazione.      

La Suprema Corte, dichiarando l’inammissibilità del ricorso, giudicava manifestamente infondato il motivo di ricorso in ordine alla circostanza che G.F. – al momento della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione fiscale – non rivestisse (più) la posizione di amministratore della società, condizione necessaria e sufficiente per andare esente da qualsivoglia rilievo.

Sul punto, la Suprema Corte ha ritenuto congrua e priva di vizi logici – e, quindi, insindacabile in sede di legittimità – la motivazione della sentenza di appello avendo la stessa fondato la responsabilità proprio sullo svolgimento di fatto della carica gestoria.

Secondo la Cassazione, la sentenza della Corte di Appello è in linea con il principio di diritto da essa affermato in subiecta materia. In particolare, secondo la Suprema Corte, «il reato di omessa dichiarazione, di cui al D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, è configurabile anche nei confronti dell’amministratore di fatto, in quanto egli va equiparato a quello di diritto in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l’azione dovuta». La stessa sentenza richiama alcuni precedenti conformi: Sez. 4, n. 24650 del 16/04/2015, Rv. 263728; Sez. 3, n. 38780 del 14/05/2015; Rv. 264971.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte ha quindi affermato (melius: confermato) il proprio orientamento secondo cui l’amministratore di fatto di una società risponde del reato tributario di omessa dichiarazione quale destinatario diretto della fattispecie incriminatrice, dovendosi ravvisare la qualifica nel soggetto che, sebbene non formalmente investito di alcuna carica, si ingerisca effettivamente nella gestione della società esercitando le funzioni tipiche degli amministratori di diritto.

Implicito è il riferimento all’art. 2639 cod. civ., che, pur facendo espresso riferimento ai reati societari previsti dal codice civile, ha tipizzato la funzione di fatto stabilendo che «al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione».

Ulteriore riferimento normativo, sovente richiamato, è l’art. 1 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (rubricato “Redazione e sottoscrizione delle dichiarazioni in materia di imposte sui redditi e di I.R.A.P”), il cui quarto comma indica espressamente l’amministratore di fatto quale soggetto sottoscrittore della dichiarazione, pur se in mancanza del rappresentante legale.

Non meno significativa è la disposizione di cui all’articolo 299 del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (T.U.S.) (rubricato “Esercizio di fatto di poteri direttivi”) in cui si statuisce: «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti». Trattasi, com’è noto, delle figure del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, implicanti – a diverso fine – anche responsabilità amministrativa dell’ente, ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001.

In conclusione, l’impostazione accolta dalla giurisprudenza di legittimità afferma la possibilità di estendere la qualifica soggettiva richiesta dalla disposizione incriminatrice al soggetto che, di fatto, svolge le corrispondenti funzioni, dovendosi fare riferimento alle funzioni in concreto svolte ai fini dell’attribuzione della corrispondente qualifica soggettiva.

Anche in ambito penal-tributario, si giunge così all’individuazione del soggetto qualificato in colui che, concretamente, gestisce la società, al di là delle mere apparenze.


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