In materia di sottoscrizione di azioni proprie da parte di una società per azioni, l’art. 2357-quater , primo comma c.c. prevede che “[s]alvo quanto previsto dall’articolo 2357-ter, secondo comma, la società non può sottoscrivere azioni proprie”. Tale previsione ha tradizionalmente assunto i connotati di un divieto di portata generale e tendenzialmente assoluta, secondo opinione più che consolidata in dottrina [1]. Una simile convinzione sembra potersi dire ulteriormente rafforzata in seguito alla novella operata dal legislatore con D.Lgs. 224/2010, che ha modificato l’attuale secondo comma dell’art. 2357-ter c.c., eliminando la possibilità per la società – introdotta con la riforma del 2003 – di esercitare, con l’autorizzazione espressa dell’assemblea, il diritto di opzione pertinente alle azioni proprie in portafogli nel caso di aumento di capitale e, conseguentemente, di sottoscriverne le relative azioni di nuova emissione. Tale recente novella ha così sostanzialmente svuotato di significato l’eccezione prevista nell’incipit della disposizione sopra citata.
La recente massima n. 31 della Commissione Studi in materia societaria del Comitato Notarile della Regione Campania, qui in commento, affronta l’argomento facendo riferimento a un’ipotesi di fattispecie dai contorni molto specifici, rispetto alla quale ritiene debba escludersi, in virtù delle circostanze specifiche, l’operare di tale divieto generale.
Ritiene infatti il Notariato Campano che il divieto di sottoscrizione di azioni proprie di cui all’art. 2357-quater, primo comma c.c. non possa ritenersi violato quando ricorra il caso di una delibera di aumento oneroso del capitale sociale di società per azioni che preveda che le azioni di nuova emissione siano sottoscritte e liberate da parte dei soci della medesima ma siano direttamente assegnate in favore della società emittente, così acquistando – sembrerebbe – la qualità di “azioni proprie” sin dal momento logico della loro emissione.
L’argomentazione sviluppata dalla dottrina Campana si fonda su due argomenti, di natura teleologica il primo e di natura sistematica il secondo, sostanzialmente condivisibili.
In primo luogo, si osserva che l’intera disciplina delle azioni proprie (artt. 2357 ss. c.c.) è ispirata dalla ratio legis di evitare la creazione di un capitale fittizio: effetto che nel caso di sottoscrizione di azioni proprie da parte della società (nell’ipotesi tradizionale in cui il prezzo di sottoscrizione sia pagato dalla società medesima) si è considerato in re ipsa e che, pertanto, giustifica il carattere assoluto del divieto previsto dalla legge in proposito. Tale pericolo non ricorre invece nello specifico caso delineato e affrontato dalla massima in commento, dal momento che il versamento integrale del prezzo di sottoscrizione con mezzi propri del socio fa sì che all’incremento della cifra del capitale sociale nominale corrisponda un effettivo incremento dei mezzi patrimoniali acquisiti alla società, così come di norma avviene (ed è previsto che avvenga) nell’ipotesi fisiologica di aumento reale del capitale sociale.
In secondo luogo, e a rafforzamento della predetta conclusione, si osserva che il secondo comma dell’art. 2357-quater c.c. dispone, per il caso di sottoscrizione in violazione del divieto, che le azioni devono intendersi comunque sottoscritte e devono essere liberate, con riferimento al caso specifico di aumento di capitale, dagli amministratori che non si siano dimostrati esenti da colpa. Alla violazione del divieto di sottoscrizione non consegue dunque un rimedio di carattere “reale” (come avverrebbe altrimenti se la norma disponesse ad esempio la nullità della sottoscrizione o come la legge già dispone per il caso di acquisti di azioni proprie in violazione [2]), bensì una sanzione di carattere “patrimoniale”, posta in capo a soggetti ritenuti responsabili della sottoscrizione, consistente nell’obbligo di procurare personalmente alla società i mezzi necessari per la liberazione delle azioni, così ripristinando l’equilibrio fisiologico tra importo del capitale sociale aumentato e corrispondenti mezzi patrimoniali acquisiti dalla società.
Meno chiara è invece la ricostruzione offerta dalla dottrina notarile Campana del meccanismo mediante il quale le azioni di nuova emissione vengono in tale ipotesi attribuite alla società. Sul punto si può rilevare una discrepanza (almeno apparente) tra alcuni passaggi della massima e della relativa motivazione. Da un lato, infatti, il testo della massima fa riferimento all’“assegnazione delle azioni […] in favore della società emittente”: tale scelta lessicale sembra suggerire che l’intestazione delle azioni a favore della società avvenga in maniera diretta, senza cioè alcun passaggio né logico né cronologico intermedio attraverso il patrimonio dei soci, che si limiterebbero quindi soltanto ad adempiere ai relativi obblighi di conferimento. Siffatta interpretazione pare però contrastare con quanto si afferma, dall’altro lato, nel passaggio subito precedente della massima, ove si menziona la “sottoscrizione e liberazionedelle azioni di nuova emissione da parte dei soci” (enfasi aggiunta). Tale locuzione sembra infatti, al contrario, delineare proprio un passaggio intermedio necessario (rectius fisiologico) nel patrimonio del socio, il quale in un primo momento sottoscrive e libera le azioni e, nell’istante logico successivo, le attribuisce a titolo gratuito alla società.
A favore di questa seconda interpretazione depone in maniera sostanzialmente decisiva il fatto che, secondo quanto ragionevolmente affermato dalla massima in commento, la sottoscrizione di azioni proprie attuata con le predette modalità da un lato possa avvenire anche oltre i limiti di cui all’art. 2357-bis c.c. e, dall’altro, non richieda l’iscrizione di una corrispondente “riserva negativa azioni proprie” ai sensi del novellato art. 2357-ter, comma terzo c.c. [3].
Nel medesimo senso deve infatti rilevarsi come la massima in commento non faccia alcun riferimento, neppure in motivazione, ad altre ipotesi attraverso le quali i soci potrebbero in concreto ottenere l’assegnazione diretta delle azioni di nuova emissione alla società senza che queste transitino per il loro patrimonio, pur sostenendone il costo economico di sottoscrizione e quindi salvaguardando implicitamente la ratio della norma. Il riferimento potrebbe farsi, per citare soltanto alcuni esempi – e senza volerne approfondire in questa sede la compatibilità con la norma in esame – al meccanismo di deviazione degli effetti tipico della stipulazione a favore di terzo ex art. 1411 ss. c.c.[4], oppure all’istituto dell’adempimento del terzo (nel caso di specie da parte del socio e avente ad oggetto il debito-credito che sorge con la sottoscrizione delle azioni da parte della società).
Conseguentemente, l’operazione di aumento e sottoscrizione ricostruita dalla massima sembra doversi necessariamente delineare in concreto in una successione di due momenti necessari, logicamente e cronologicamente separati ma costituenti un’unica operazione: la sottoscrizione e liberazione delle azioni rivenienti dall’aumento di capitale da parte del socio e la cessione a titolo gratuito delle medesime azioni dal socio sottoscrivente alla società.
Alla luce di quanto esposto, la rilevanza della massima in commento deve individuarsi soprattutto nell’aver chiarito l’applicabilità in via analogica al divieto di sottoscrizione di cui all’art. 2357-quater c.c. dell’esenzione di cui all’art. 2357-bis, primo comma, numero 2) c.c., relativa agli atti a titolo gratuito, che il dato testuale riferisce soltanto ai limiti di cui all’art. 2357 c.c. relativi all’acquisto di azioni proprie. D’altro canto, rimane invece del tutto aperta, a giudizio di chi scrive, la questione relativa alla definizione dell’estensione massima dei limiti negativi del divieto di sottoscrizione di azioni proprie, entro i quali debbano (o meno) ritenersi consentite fattispecie che, seppure diverse sotto il profilo strettamente giuridico, si connotino per una sostanziale equivalenza quanto agli effetti rispetto all’ipotesi analizzata dalla massima.
[1] Cfr., nella manualistica, per tutti, G.F. Campobasso, Diritto Commerciale. Diritto delle Società, UTET, Torino, 2015, p. 240, che definisce il divieto in parola quale “assoluto e [che] non soffre eccezioni […]” e, a parere del quale, esso “colpisce inoltre tanto la sottoscrizione diretta, cioè compiuta in nome della società, quanto la sottoscrizione indiretta, compiuta cioè da terzi in nome proprio ma per conto della società”; E. Ginevra, Le azioni proprie e le partecipazioni sociali delle S.p.A., in M. Cian (a cura di), Diritto Commerciale Giappichelli, Torino, 2013, p. 319; G. Presti, M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, Zanichelli, Bologna, 2015, p. 427; AA. VV., Diritto delle Società. Manuale breve, Giuffrè, Milano, 2012, p. 156; G. Ferri, Diritto commerciale, UTET, Torino, 2016, p. 275; per quanto riguarda alcuni commenti sul punto, si vedano, tra i molti, L. Ardizzone, Le azioni proprie, in P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari (diretto da),Commentario alla riforma delle società, Egea-Giuffrè, Milano, 2005, pp. 643 ss.; P. Lucarelli, Commento all’art. 2357-quater, in P. Abbadessa, G.B. Portale (diretto da), Le società per azioni, Giuffrè, Milano, 2016, pp. 733 ss.; M. Bione, Art. 2357-quater, in G. Niccolini, A. Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali. Commentario, Jovene, Napoli, 2004, pp. 380 ss., il quale tuttavia enfatizzava la portata limitativa che l’introduzione del comma 2 dell’art. 2357-ter c.c. dopo la riforma operava nei confronti di tale divieto, previsione ora nuovamente espunta dal testo normativo; S. Torrigiani, Art. 2357-quater, in G. Fauceglia-G. Schiano di Pepe (diretto da), Codice commentato delle S.p.A., UTET, Torino, 2006, pp. 290 ss.
[2] Il riferimento è all’art. 2357, quarto comma c.c., che dispone che “Le azioni acquistate in violazione dei commi precedenti debbono essere alienate […] entro un anno dal loro acquisto. In mancanza, deve procedersi senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale”.
[3] Sul punto si veda l’elaborazione interpretativa svolta dalla Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano con le recenti massime n. 145, 146 e 147 (tutte pubblicate il 17 maggio 2016), in merito al trattamento contabile delle azioni proprie dopo la novella legislativa di cui al D.Lgs. 139/2015, con particolare enfasi in relazione alle operazioni sul capitale sociale.
[4] Sul punto si segnala un’interessante recente sentenza del Tribunale di Roma (Trib. Roma. 21 novembre 2016 n. 21742/2016), nella quale si afferma la compatibilità con il divieto di acquisto e sottoscrizione di partecipazioni proprie nella S.r.l. agli schemi negoziali medianti i quali la società disponga delle azioni dei soci senza però che le partecipazioni transitino, neppure formalmente, per il patrimonio della medesima. Nel caso de quo si trattava di un preliminare di vendita avente ad oggetto l’intera partecipazione dei soci, stipulato dalla società emittente con un terzo acquirente: qualificandosi tale fattispecie, a parere del Tribunale, quale vendita di cosa altrui da parte della società, l’acquisto delle partecipazioni da parte di quest’ultima in adempimento del contratto avrebbe prodotto l’effetto automatico di trasferimento della proprietà in capo al terzo acquirente, ex art. 1478 c.c., senza che la società acquistasse la proprietà delle partecipazioni nemmeno per un istante logico). Simili conclusioni potrebbero ritenersi applicabili similmente anche al caso di sottoscrizione di azioni proprie, stante l’assolutezza del divieto previsto dall’art. 2474 c.c. con riferimento all’acquisto di partecipazioni proprie nella S.r.l. – diversamente da quanto previsto dall’art. 2357 c.c. per la S.p.A. – che risulta più assimilabile al divieto di sottoscrizione previsto nella S.p.A. dall’art. 2357-quater, primo comma c.c.