Con l’esplosione del contenzioso bancario, quale conseguenza della crisi economica e di settore manifestatasi in questi ultimi decenni anche nel nostro Paese, in molti hanno fatto ricorso allo strumento della consulenza tecnica preventiva – spinti dalla possibilità di stimolare ipotesi transattive senza dover attendere le lungaggini del processo ordinario, dalla valutazione ex ante circa la fondatezza delle proprie eccezioni, nonché, in ipotesi di ammissione, dall’individuazione del quantum debeatur richiedibile – ma con risultati oltremodo discordanti.
Occorre, anzitutto, premettere che il contenzioso bancario ha, generalmente, ad oggetto contestazioni inerenti la validità dei contratti stipulati tra cliente ed istituto di credito (art. 117, comma 1, TUB), la capitalizzazione degli interessi (delibera CICR del 09.02.2000 e art. 120, secondo comma, TUB, come modificato dall’art. l, comma 629, della legge n. 147/2013), l’applicazione di tassi di interesse in misura superiore al tasso legale in assenza di valida pattuizione scritta, oltre che di commissioni e spese (art. 117, comma 4, TUB), nonché l’applicazione di interessi passivi in misura superiore al tasso soglia usura (legge n. 108/1996).
Ebbene, partendo proprio da un esame inerente le contestazioni abitualmente sollevate in tale ambito – dalle quali, secondo parte della giurisprudenza, emergerebbe non solo una divergenza tra le parti in ordine al quantum, ma anche un inequivoco dissenso circa l’an della pretesa – molti Tribunali hanno ritenuto di non dover dar corso alla richiesta di consulenza, dichiarandone pertanto l’inammissibilità.
In particolare, il Tribunale di Milano, con pronunce del 17 Aprile 2006[1] e del 23 Gennaio 2007[2], ha affermato che: “la richiesta di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. può trovare accoglimento se finalizzata alla composizione della lite, secondo la rubrica del citato articolo, talché suo presupposto è che la controversia fra le parti abbia come unico punto di dissenso ciò che, in sede di processo di cognizione, può costituire oggetto di consulenza tecnica, acquisita la quale, secondo le preventivamente dichiarate intenzioni delle parti, appare assai probabile che esse si concilieranno, non residuando – con valutazione da compiersi in concreto ed ex ante– altre questioni controverse. È inammissibile pertanto la richiesta di detta consulenza laddove le parti non controvertano soltanto sulla misura dell’obbligazione risarcitoria, bensì anche sulla effettiva sussistenza della stessa, oltre che sulla individuazione del soggetto a essa eventualmente tenuto”.
In particolare, nella motivazione del secondo dei provvedimenti citati, il Giudice ha rilevato come:
– scopo della introduzione di tale nuovo strumento processuale “appare essere, nell’intenzione del legislatore, quello di evitare l’instaurazione e lo svolgimento di un processo di cognizione finalizzato unicamente all’ottenimento di una consulenza tecnica di ufficio”;
– la sopra esposta interpretazione della nuova disposizione del codice di rito appare la sola idonea a giustificare la mancata abrogazione del cit. art. 696 c.p.c. (del quale dovrebbe, altrimenti, ritenersi la sopravvenuta superfluità), nonché a“scongiurare l’istaurazione di procedimenti ante causamprivi del carattere dell’urgenza, volti all’ottenimento di CTU esplorative”, non precedute, come invece accade negli ordinari giudizi di cognizione, dalla positiva valutazione del Giudice della necessità dell’indagine tecnica ai fini del decidere (art. 61 c.p.c.).
Nel medesimo solco interpretativo si sono in seguito inseriti anche il Tribunale di Pavia, con ordinanza del 14 Luglio 2008[3], secondo cui è inammissibile il ricorso a norma dell’art. 696 bis c.p.c. “quando la decisione della causa di merito implichi la soluzione di questioni giuridiche complesse o l’accertamento di fatti che esulino dall’ambito delle indagini di natura tecnica”, e il Tribunale di Varese, con provvedimento del 14 maggio 2010[4], a mente del quale la consulenza tecnica d’ufficio preventiva è ammessa solo se idonea a comporre la lite, il che si verifica soloquando“sia pacifico il fatto storico e non vi siano questioni di diritto all’infuori di quella concernente il profilo “tecnico” della responsabilità: rapportabilità causale dell’effetto al fatto illecito, presenza di concause e distribuzione del coefficiente causale; incidente di eventuali fattori interruttivi del rapporto eziologico; datazione storica di eventi per farli confluire sotto la volta di una determinata condotta professionale e così via”.
In sostanza, secondo tale filone giurisprudenziale, la natura delle domande ed eccezioni generalmente svolte in siffatto contesto è tale per cui deve ritenersi che le parti non controvertano soltanto sulla misura dell’obbligazione restitutoria – di cui la parte ricorrente si afferma creditrice – bensì anche sull’effettiva sussistenza della stessa, di talché anche l’an della pretesa risulta senz’altro contestato, con l’inevitabile conseguenza dell’inammissibilità dell’invocata consulenza.
Ciò, in effetti, potrebbe desumersi tutte le volte in cui i ricorrenti abbiano contestato, anche attraverso domande di nullità fondate sulla violazione dell’art. 117 TUB, la validità originaria dei contratti bancari a suo tempo sottoscritti o di loro parti, oltre che la stessa ricostruzione giuridica dei rapporti in contesa, nonché talune circostanze fattuali rilevanti per la futura decisione.
Di segno opposto, si segnala altra pronuncia del Tribunale di Milano[5] – sintomo questo di una giurisprudenza frammentata e affatto omogenea anche in seno al medesimo ufficio giudiziario – secondo cui lo strumento della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della lite non presenta fra i requisiti di ammissibilità la non contestazione in ordine all’an debeatur: il tenore letterale della norma e la esplicita finalità deflativa perseguita dal legislatore non consentono di ravvisare in via interpretativa questo preteso requisito di ammissibilità che, di fatto, “finirebbe per vanificare lo strumento della consulenza preventiva a fini conciliativi qualora fosse sufficiente a paralizzarne l’espletamento la semplice contestazione sull’an debeatur da parte del convenuto”.
In senso analogo, anche i Tribunali di Parma[6] e Napoli[7].
Si segnalano, da ultimo, gli orientamenti dei Tribunali di Monza e Benevento[8] che, nell’ammettere la possibilità di ricorrere alla consulenza, hanno avuto modo di precisare che “nell’ambito dei rapporti bancari per controversie aventi ad oggetto la contestazione di addebiti illegittimi (interessi usurari e anatocistici, commissioni di massimo scoperto, valute fittizie, etc.) […] L’azione dei ricorrenti è preordinata a verificare l’illegittimità di tali addebiti negli estratti conto e, pertanto, il diritto di credito può annoverarsi nella categoria dei “crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito” previsti dalla norma codicistica. La funzione deflativa dell’istituto, unita alla finalità di istruzione preventiva, non permette interpretazioni eccessivamente formalistiche e restrittive.”[9].
Ai fini, dunque, dell’ammissibilità di una consulenzaex art. 696 bis c.p.c., secondo tale corrente giurisprudenziale, è del tutto ininfluente che l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto ex adverso vantato sia o meno contestata dalla parte ricorrente.
Dapprima, viene, infatti, argomentato che, da un punto di vista letterale, la norma non include la non contestazione dell’an tra le condizioni di ammissibilità dello strumento preventivo.
In seguito e, ben più di rilievo, viene rintracciata la ratio cui il Legislatore del 2005 mirava, ovverosia la riduzione del carico giurisdizionale.
Per vero, anche solo da quest’ultima prospettiva, l’ammissibilità di una consulenza tecnica preventiva non pare possa essere messa ragionevolmente in discussione.
Il giudice assegnatario di un procedimento di istruzione preventiva ex art. 696bis c.p.c., pertanto, ben potrebbe “sommariamente” valutare le questioni di diritto sottese alla controversia, trasfondendo, nel quesito elaborato per l’espletamento dell’incarico del CTU, le principali determinazioni tecnico-giuridiche rilevate in sede di disamina dei rispettivi atti introduttivi, lasciando così, all’eventuale successivo giudizio di merito, un più attento e ampio esame delle questioni giuridiche alla base delle posizioni assunte delle parti.
[1] Tribunale di Milano, ordinanza del 17 Aprile 2006, in Giur. it. 2007, 10, 2268.
[2] Tribunale di Milano, ordinanza del 23 Gennaio 2007, in Banca borsa tit. cred. 2009, 1, II, 46.
[3] Cfr. Tribunale di Pavia, ordinanza del 14 Luglio 2008, in Banca borsa tit. cred. 2009, 1, II, 45.
[4] Tribunale di Varese, ordinanza del 14 Maggio 2010, in Diritto e Giustizia online 2010.
[5] Tribunale di Milano, ordinanza del 17 Febbraio 2015.
[6] Tribunale di Parma, ordinanza del 22 Settembre 2014: “la consulenza di cui all’articolo 696 bis c.p.c. può essere disposta anche a fronte di contestazioni circa l’andella pretesa a condizione che la stessa sia comunque volta ad acquisire elementi tecnici di fatto risolutivi ai fini non solo della quantificazione ma altresì dell’accertamento del credito derivante dalla inesatta esecuzione delle obbligazioni contrattuali assunte”.
[7] Tribunale di Napoli, ordinanza del 3 Giugno 2013, sul sito web www.expartecreditoris.it, secondo cui “la consulenza tecnica di cui all’art. 696 bis c.p.c. può essere disposta anche quando si debba procedere all’accertamento di diritti di credito posti a fondamento dell’azione di ripetizione dell’indebito, posto che, anche in tale ipotesi, si lamenta la restituzione di prestazioni eseguite in forza di un titolo negoziale nullo o dichiarato invalido. Nel valutare la richiesta di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, il giudice deve operare una valutazione prognostica circa la fondatezza della lite, consistente nel verificare se l’accertamento compiuto in via preventiva possa avere una qualche possibilità di utilizzo in sede di merito, ove la conciliazione non riesca.”
[8] Tribunale di Monza, ordinanza del 17 Marzo 2015, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 12694, 21/05/2015e Tribunale di Benevento, ordinanza del 17 Ottobre 2014, sul sito web www.aris-anomaliebancarie.it.
[9] Il ricorso, inoltre, secondo la stessa giurisprudenza, è ammissibile anche nell’ipotesi di conto corrente ancora aperto, in quanto “l’interesse del cliente trova soddisfazione nel ricalcolo dell’effettivo saldo, depurato dagli addebiti nulli, e la domanda di nullità può essere sempre proposta anche in costanza di rapporto”.