L’ammissione del credito dell’Ente pubblico al passivo fallimentare non preclude l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa per danno erariale.
In seguito al fallimento della società cooperativa, affidataria del servizio di gestione dei parcheggi pubblici in forza di una convenzione col Comune ove gli stessi sono siti, l’Ente ha ottenuto l’ammissione al passivo della procedura concorsuale alla luce del credito vantato in ragione del mancato versamento degli importi pattuiti, dedotta la polizza fideiussoria previamente escussa.
Tuttavia, il P.M. contabile ha comunque esercitato l’azione di responsabilità per danno erariale subito dall’amministrazione comunale per i mancati introiti, qualificati come entrate pubbliche sulla base dell’art. 7 c. 7 D.Lgs. 285/1992.
L’accertamento del danno erariale in capo alla cooperativa è fondato sull’estensione della giurisdizione contabile anche in capo ai soggetti privati che, sulla base di un rapporto collaborativo-continuativo con l’Ente pubblico, nonostante a quest’ultimo siano estranei, inevitabilmente e oggettivamente vengono in contatto con risorse di provenienza pubblica.
La difesa del fallimento, costituitasi tardivamente, dopo aver sollevato il difetto di giurisdizione del giudice contabile, ha osservato come l’azione esercitata dal P.M. costituisca una “sostanziale duplicazione della pretesa”, chiedendo il rigetto della domanda attorea.
La Corte dei Conti con sentenza n. 271/2019 dopo aver accertato la sussistenza della propria giurisdizione, dal momento che la stessa «non patisce limitazione alcuna per effetto dell’esistenza di altri rimedi giuridici per il recupero del credito di cui l’ente locale può avvalersi (nella fattispecie, l’insinuazione al passivo fallimentare)», ha pure precisato come «finché il danno erariale non viene risarcito, l’azione della Procura contabile è sempre consentita». Infine, ha riconosciuto come la giurisdizione contabile si estenda anche all’accertamento della responsabilità degli amministratori della cooperativa, «i quali, secondo la prospettazione dell’organo requirente, avrebbero concorso alla produzione del danno mediante la cattiva gestione delle somme di cui avevano la disponibilità (cfr. la decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 295/2013)».