Il contributo, traendo spunto dalla recente Ordinanza della Corte di Cassazione n. 4321/2022, analizza la disciplina sulla capitalizzazione infrannuale degli interessi e il riflesso della disciplina sull’anatocismo come delineata dalla delibera CICR del 9 febbraio 2000.
1. Premessa
La controversia portata all’attenzione della Cassazione concerne un rapporto bancario di conto corrente svoltosi nel periodo di vigenza della Deliberazione CICR del 9 febbraio 2000.
Occorre quindi rammentare – ma in estrema sintesi – che, fino al 1999 la prassi bancaria, avallata anche dalla Giurisprudenza, era consolidata nell’addebitare trimestralmente gli interessi debitori (ossia, quelli maturati a carico del Cliente), e di accreditare annualmente gli interessi creditori (ossia, quelli maturati a favore del Cliente), in entrambi i casi con la relativa conseguente “capitalizzazione” (trimestrale per i primi, annuale per i secondi)[1].
Tale modus operandi era ritenuto perfettamente lecito – sia dai teorici, sia dai pratici – e quindi, in definitiva, era ben noto e “socialmente accettato”; la stessa Corte di Cassazione aveva confermato con numerose decisioni la liceità dell’operato delle Banche[2].
A partire dal 1999, la prassi della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori iniziò ad essere censurata dalla Cassazione[3] e – in conseguenza della non trascurabile portata di tale revirement giurisprudenziale sul contenzioso Banca-Cliente – il Legislatore intervenne con una prima modificazione dell’articolo 120 TUB[4], e la conseguente emanazione di disposizioni attuative da parte del CICR in data 9 febbraio 2000 (di seguito: la Delibera CICR).
Come è noto, la detta Delibera CICR stabiliva – tra l’altro e per quel che qui rileva – che (enfasi aggiunta):
- “Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito poste in essere dalle banche e dagli intermediari finanziari gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono” (articolo 1);
- “ Nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità. 2. Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori […]” (articolo 2, commi 1 e 2);
- “I contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo l’entrata in vigore della presente delibera indicano la periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato. Nei casi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione […]” (articolo 6).
Quindi – per quanto qui si vuole mettere in evidenza – a partire dall’entrata in vigore della Delibera CICR i contratti di conto corrente e di apertura di credito regolata in conto corrente potevano legittimamente stabilire l’addebito e la conseguente capitalizzazione periodica, anche infrannuale (e quindi, come da vecchia prassi, trimestrale), degli interessi debitori, a condizione che fosse correlativamente stabilito l’accredito e la conseguente capitalizzazione con la stessa periodicità per gli interessi creditori; inoltre – in ossequio ad esigenze di Trasparenza contrattuale (questa essendo la rubrica dell’articolo 6, della Delibera CICR) – era stabilito che, laddove fosse prevista una capitalizzazione infrannuale, nel relativo contratto dovesse essere “[…] indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione […]”.
Analoghe disposizioni furono introdotte, a partire dal 1° ottobre 2003, nelle allora vigenti disposizioni in materia di Trasparenza[5].
La questione concerne, come è noto, la distinzione illustrata dalla matematica finanziaria tra tasso annuo nominale (TAN) da una parte e tasso annuo equivalente o tasso annuo effettivo (TAE) dall’altra (da non confondere né con il TAEG di cui alla disciplina della Trasparenza, né con il TEG di cui alla disciplina antiusura), intendendosi per TAE il tasso annuo di interesse che tiene conto degli effetti della capitalizzazione in base alla periodicità di liquidazione.
Naturalmente, la matematica finanziaria fornisce definizioni dettagliate e rigorose di tali concetti; ai soli fini che qui vengono in rilievo, si tratta di un indicatore – in forma di valore percentuale – che riesce a rappresentare l’effettivo onere che il debitore deve sopportare (o, di cui il creditore si avvantaggia), nel caso in cui un dato tasso di interesse annuo nominale (TAN), anziché essere computato (e corrisposto), una volta all’anno, sia computato (e corrisposto), quattro volte all’anno e – per effetto del particolare meccanismo dell’addebito/accredito trimestrale in conto corrente – sia “capitalizzato”, ossia produca a sua volta interessi unitamente al capitale precedente.
Per rendere chiaro il concetto, si fornisce il seguente esempio: a fronte di un capitale iniziale (o di un debito), di Euro 100.000,00 e un tasso di interesse annuo (TAN), del 5% (cinque per cento), trascorso un anno saranno maturati interessi per Euro 5.000,00.
Laddove però questo stesso tasso di interesse sia computato (e i relativi interessi “capitalizzati”), quattro volte in un anno (per intenderci, alle scadenze del 31 marzo, del 30 giugno, del 30 settembre e del 31 dicembre), la questione si complica.
Infatti, partendo – per comodità di esposizione – dal primo gennaio, applicando il detto tasso del 5% una prima volta sul capitale iniziale di Euro 100.000,00, alla data del 31 marzo (90 giorni), saranno maturati interessi per Euro 1.232,88; con la “capitalizzazione” di questi interessi, si avrà che – a partire dal 1° aprile – il medesimo tasso di interesse del 5% comincerà ad essere applicato per il successivo trimestre sul “nuovo” capitale di 101.232,88 Euro; così, al successivo 30 giugno (91 giorni), saranno maturati interessi per 1.261,94, che si aggiungeranno al precedente capitale dando un “nuovo” capitale di 102.494,82; al primo luglio inizieranno così a decorrere nuovamente interessi per il successivo trimestre, che al 30 settembre (92 giorni), saranno liquidati in 1.291,72 e si aggiungeranno al capitale precedente, con la conseguenza che dal primo di ottobre cominceranno a maturare interessi sul “nuovo” capitale di 103.786,54, che al 31 dicembre (92 giorni), saranno liquidati in 1.307,99, che aggiunti al precedente capitale daranno un risultato finale – per il primo anno di 105.094,53; risulta di tutta evidenza che la (liquidazione e), la “capitalizzazione” trimestrale avrebbe generato la maturazione di “maggiori” interessi pari a 94,53 Euro, rispetto ai 5.000,00, che sarebbero maturati al termine del medesimo anno, per effetto della liquidazione annuale.
Il TAE è allora quell’indicatore che permette di ottenere direttamente questo risultato finale di 5.094,53 Euro, ossia di rendere immediatamente calcolabili gli interessi che matureranno – a credito o a debito – effettuando un determinato numero di capitalizzazioni in un anno.
Per quel che qui rileva è allora possibile evidenziare che – nel caso di capitalizzazione trimestrale, ossia quattro volte in un anno – la formula utilizzata nella matematica finanziaria per ricavare il TAE partendo dal TAN è la seguente:
TAE = (((TAN/100)/4 + 1)4 – 1) *100.
Nell’esempio di cui sopra, a fronte di:
TAN = 5%, si avrà: 5/100 = 0,05/4 = 0,0125 + 1 =1,01254 = 1,0509453369140625 – 1 = 0,0509453369140625 * 100 = TAE 5,09453369140625%;
applicando direttamente questa percentuale al capitale (o al debito), originario di Euro 100.000,00, si otterrà immediatamente il risultato cercato, di Euro 5.094,53.
Nel periodo di vigenza della Delibera CICR[6], l’applicazione in via normale della liquidazione e capitalizzazione trimestrale degli interessi, rendeva quindi necessario riportare nei contratti TAN e TAE, sia per gli interessi debitori che per quelli creditori.
2. L’Ordinanza n. 4321/2022
Fatte queste premesse, dalla sola lettura dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 4321/2022 (di seguito: l’Ordinanza) – ossia secondo quanto desumibile da essa, in mancanza di ulteriori informazioni sui fatti di causa – sembra di poter inferire che il debitore di una Banca, raggiunto da un decreto ingiuntivo per Euro 139.431,70, oltre interessi (somma che cumulava il saldo debitore di un conto corrente e quanto spettante alla banca per il rimborso di un finanziamento chirografario), aveva presentato opposizione, ma nel 2016 era stato condannato dal Tribunale di Savona a pagare alla Banca la minor somma di Euro 131.190,75.
Il debitore aveva poi proposto gravame alla Corte d’Appello di Genova, la quale accogliendo parzialmente l’appello lo aveva comunque condannato a rimborsare alla Banca una somma leggermente inferiore, comunque pari a Euro 129.678,65.
Deve però essere evidenziato che il debitore aveva sottoposto una particolare doglianza alla Corte d’Appello di Genova, ma quest’ultima nella sua decisione[7], non colse appieno – secondo quanto esposto nell’Ordinanza – la portata del motivo di gravame; da qui, il ricorso per cassazione e l’Ordinanza ora oggetto di critica.
In particolare, il debitore aveva lamentato che il contratto di conto corrente (dal quale sorgeva una parte del debito a suo carico), non rispettava la prescrizione dell’articolo 6, della Delibera CICR, perché riportava (n.b.: in relazione agli interessi creditori, quindi in relazione agli interessi a credito del Correntista), un TAN e un TAE numericamente identici tra loro (purtroppo, l’Ordinanza non ne riporta il valore, limitandosi ad evidenziare soltanto la loro coincidenza numerica).
Dal mero dato di fatto che gli interessi creditori, pur essendo separatamente esplicitati in TAN e TAE, fossero tuttavia numericamente coincidenti, il debitore sosteneva la tesi che la Banca, pur praticando la capitalizzazione infrannuale degli interessi debitori (a carico del Correntista), non praticasse tuttavia la medesima capitalizzazione infrannuale degli interessi creditori (a favore del Correntista), violando così (i) sia la regola della “stessa periodicità” di cui all’articolo 2, che (ii) l’obbligo di indicazione del TAE di cui all’articolo 6, della Delibera CICR.
Questa tesi sembra non essere stata ben “compresa” dalla Corte d’Appello di Genova, ma è stata poi – viceversa – accolta e avvalorata dall’Ordinanza, la quale però – nell’accoglierla – ha enunciato un principio di diritto che – a chi scrive – sembra, in qualche misura, inesatto e abnorme, come si dirà di seguito.
In sostanza, secondo quanto sembra di poter desumere dall’Ordinanza, il debitore aveva lamentato avanti il Giudice d’appello – con argomentazione che si potrebbe definire a contrario – che se la Banca avesse “effettivamente” e “realmente” capitalizzato gli interessi creditori con la “stessa periodicità” di capitalizzazione infrannuale degli interessi debitori, allora TAN e TAE degli interessi creditori avrebbero dovuto necessariamente esibire valori tra loro numericamente diversi.
Tale assunto è concettualmente vero, ma entro limiti aritmetici da verificare di volta in volta.
Pur non essendo stato possibile – si ripete – reperire la sentenza della Corte d’Appello, nell’Ordinanza è stato chiaramente evidenziato che:
“La Corte di appello ha ritenuto la legittimità dell’attuata capitalizzazione degli interessi debitori, osservando essere irrilevante che il tasso nominale degli interessi attivi coincidesse con quello effettivo; secondo la nominata Corte, «anche nell’ipotesi in cui i tassi degli interessi attivi a favore del cliente siano previsti in una misura minima, tale da poterli considerare meramente simbolici, ciò non configura alcuna violazione della disciplina in materia di anatocismo bancario, posto che la medesima non prevede una proporzionalità tra tassi di interesse attivi e passivi o il fatto che la misura del tasso attivo corrisponda ad una certa soglia, restando rimessa alla volontà delle parti la determinazione del tasso creditore». Tale argomento investe un profilo estraneo al motivo di appello e non si misura in modo appropriato con la censura svolta col richiamato mezzo di gravame. La censura poneva una questione di diritto che avrebbe dovuta essere altrimenti risolta”.
Purtroppo, l’osservazione della Corte d’Appello – testualmente menzionata tra virgolette nell’Ordinanza – era palesemente inconferente con la doglianza sottopostale dal debitore, al punto da portare la Cassazione ad esprimere – nell’Ordinanza – la pesante critica di cui sopra.
In effetti la Corte d’Appello sembra aver effettivamente frainteso la “questione di diritto” sottopostale con il motivo di appello, come se il debitore appellante si lamentasse di una “sproporzione” (che però giuridicamente non è rilevante), tra interessi creditori e interessi debitori, quando invece il motivo di appello era incentrato sull’assunto che la coincidenza tra TAN e TAE fosse significativa – di per sé sola – della mancanza di capitalizzazione infrannuale.
Volendo “spezzare una lancia a favore” della Corte d’Appello (ma, si ripete, senza aver potuto leggerne la sentenza), si potrebbe forse immaginare che essa abbia compiuto un “salto logico”, omettendo quindi nelle motivazioni la “spiegazione” della decisione sullo specifico punto, dando cioè per già noto, ovvio e presupposto che la coincidenza numerica tra TAN e TAE fosse immediata e diretta conseguenza dell’esiguità dell’interesse creditore riconosciuto dalla Banca al Correntista, finendo così per “concentrare” la sua disamina sulla questione della mancanza di proporzione tra interessi creditori e debitori, per sancirne poi la giuridica irrilevanza.
Dalla lettura dell’Ordinanza non è però chiaro in quale modo siano state svolte le difese della Banca; sembra soltanto di capire che verosimilmente la Banca abbia sostenuto che il TAN e il TAE fossero perfettamente coincidenti a causa dell’irrisorietà dell’interesse creditore riconosciuto al correntista; nell’Ordinanza si legge infatti che: “Il rilievo svolto, in memoria, dalla controricorrente, e incentrato, in sintesi, sulla circostanza per cui la coincidenza del tasso annuo nominale e del tasso annuo effettivo dipenderebbe dalla ridottissima misura degli interessi attivi, non appare, in tale prospettiva, concludente”.
L’Ordinanza sviluppa pertanto la tesi che:
“[…] l’indicazione, in contratto, di un tasso annuo effettivo dell’interesse creditore corrispondente a quello nominale (e cioè di un tasso annuo dell’interesse capitalizzato coincidente con quello non capitalizzato) rende per un verso priva di contenuto la clausola anatocistica riferita agli interessi attivi – giacché sconfessa, nei fatti, che detti interessi siano soggetti a capitalizzazione – e non soddisfa, per altro verso, quanto esige il cit. art. 6. A tale ultimo proposito occorre infatti considerare che la previsione di un tasso di interesse effettivo corrispondente a quello nominale equivale alla mancata indicazione del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione: anche ad ammettere che le parti abbiano realmente voluto quest’ultima (in una qualche misura numericamente apprezzabile), il contratto di conto corrente mancante della detta indicazione non soddisferebbe una delle condizioni cui è subordinata, secondo quanto si è detto, la pattuizione dell’anatocismo”;
per giungere infine ad enunciare il seguente principio di diritto con il quale la decisione della specifica controversia è stata rimessa alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione:
“La previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della Delib. CICR 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditore annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dalla Delib., art. 3, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione”.
3. Critica
In primo luogo, a chi scrive appare sufficientemente chiaro che, laddove la Delibera CICR impose agli operatori bancari, in ossequio a esigenze di Trasparenza contrattuale, di indicare nei contratti “[…] il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione […]”, aveva certamente quale obiettivo primario quello di “tutelare” il Correntista, rendendolo edotto dell’effetto a lui sfavorevole della capitalizzazione infrannuale degli interessi debitori (a suo carico), più che quello di renderlo edotto degli effetti, a lui favorevoli, prodotti dalla medesima capitalizzazione infrannuale degli interessi creditori.
Si vuole con ciò evidenziare che se certamente l’operato della Banca sarebbe stato censurabile laddove non avesse indicato – o non avesse correttamente indicato – il TAE relativamente agli interessi debitori, perché si lascerebbe intendere al Correntista di dover sostenere un onere inferiore a quello che poi effettivamente gli sarebbe stato applicato per effetto della capitalizzazione infrannuale, altra cosa sarebbe il non aver indicato il TAE relativamente agli interessi creditori, perché in tal modo la Banca avrebbe fornito al Correntista un’informativa (quella del solo TAN), eventualmente non del tutto veritiera, ma in senso non pregiudizievole per il Correntista, perché essendo il TAE più elevato del TAN, il Correntista avrebbe visto incrementare il suo saldo creditore in maniera a lui più favorevole rispetto a quella ipotizzabile sulla sola base del TAN.
Tornando all’esempio già svolto, assumendo l’esistenza di un conto corrente che esponga sempre un saldo a credito del correntista di 100.000,00 Euro e un TAN (degli interessi creditori) pari – in ipotesi – al 5%, il correntista potrebbe essere stato portato a ritenere che, dopo un anno, il suo capitale si sarebbe incrementato di 5.000,00 Euro, mentre per effetto della capitalizzazione trimestrale, si sarebbe incrementato di 5.094,53 Euro; si è già visto infatti che a fronte di un TAN = 5,00%, si ha un TAE = 5,09453%, con una differenza apprezzabile già a partire dal secondo decimale; ma se la banca avesse indicato nel contratto TAN e TAE coincidenti, nella misura del 5,00%, l’operato della Banca sarebbe carente da punto di vista della Trasparenza contrattuale soltanto in danno della Banca stessa e non in danno del Correntista.
Certamente sarebbe però censurabile la Banca che avesse indicato un TAE superiore a quello “reale”, ossia, laddove – restando all’esempio precedente di un TAN = 5,00% e di un TAE = 5,09453% – la Banca avesse erroneamente indicato un TAE maggiore (ad esempio: 5,1%), perché tale comportamento darebbe al Correntista un’informazione non veritiera in suo danno.
Con il che si addiviene a quello che – almeno a chi scrive – sembra essere il nocciolo della questione, che però è stato del tutto sottaciuto nell’Ordinanza, essendo del resto un tema proprio della fase di “merito” del giudizio; in effetti, il cuore del problema – da un punto di vista “sostanziale” e non meramente “formale” – dovrebbe essere non tanto quello di verificare se sul contratto di conto corrente sia stato riportato il TAE degli interessi creditori (e meno ancora quello di verificare se esso sia stato riportato in misura numericamente diversa dal TAN, perché, come si vedrà più avanti, i due indicatori potrebbero anche dirsi coincidenti dal punto di vista numerico), quanto piuttosto quello di verificare se la Banca abbia “effettivamente” applicato nei confronti del Correntista la “stessa periodicità” nel conteggio degli interessi creditori e debitori come preteso dall’articolo 2, comma 2, della Delibera CICR, ossia se la Banca, oltre ad aver capitalizzato trimestralmente gli interessi debitori, abbia poi (in presenza di saldi a credito del Correntista), capitalizzato trimestralmente anche gli interessi creditori.
Ciò in quanto, delle due l’una: o la Banca aveva rispettato la regola della “stessa periodicità”, capitalizzando trimestralmente entrambi i tipi di interesse; oppure la Banca non aveva rispettato questa regola e quindi – in ipotesi – aveva capitalizzato trimestralmente a proprio vantaggio gli interessi debitori e soltanto annualmente, a svantaggio del Correntista, gli interessi creditori; certamente un tale comportamento sarebbe stato contrario alla Delibera CICR, e pertanto censurabile, ma tale “questione” non sembra essere stata portata all’attenzione del Giudice nella fase di merito della specifica vicenda processuale.
Oltre a quanto sopra, sembra anche possibile osservare – da un punto di vista strettamente aritmetico – che, il solo fatto di aver riportato nel contratto di conto corrente un TAN e un TAE numericamente coincidenti in relazione agli interessi creditori, non sia di per sé stesso necessariamente ed univocamente indicativo di una violazione della Delibera CICR; in primo luogo perché (e di ciò vi è cenno nell’Ordinanza, nella parte in cui la Cassazione destituisce però di fondamento la difesa della Banca), gli interessi creditori che maturano in favore del Correntista in un rapporto di conto corrente bancario possono essere (e potevano essere) talmente irrisori (ad es.: 0,01%), da non generare una differenza che sia numericamente “rilevante” tra TAN e TAE; la formula matematica utilizzata per calcolo del TAE, indica infatti che, a fronte di una capitalizzazione trimestrale, un TAN dello 0,01%, corrisponderebbe in realtà – volendo fermarsi al nono decimale – ad un TAE dello 0,010000375%.
Si assuma quindi un conto corrente con un saldo a credito iniziale al 1° gennaio di 100.000,00 Euro e un tasso di interesse creditore (TAN) dello 0,01%; in caso di capitalizzazione annuale, al successivo 31 dicembre – in costanza di saldo creditore e di tasso di interesse – saranno maturati interessi per 10,00 Euro e al 1° gennaio dell’anno successivo cominceranno quindi a maturare interessi su un nuovo saldo a credito iniziale di 100.010,00 Euro; poiché – invece – nella vigenza della Delibera CICR, i detti interessi creditori avrebbero potuto essere liquidati e capitalizzati trimestralmente, ossia alle scadenze del 31 marzo, 30 giugno, 30 settembre e 31 dicembre, nel corso del medesimo primo anno vi sarebbero state 4 liquidazioni trimestrali e 4 capitalizzazioni.
Tuttavia, anche questo tipo di conteggio fornisce – in questo caso – il medesimo risultato finale della maturazione complessiva nel corso dell’anno di interessi creditori per 10,00 Euro[8]; il che dimostra che per un tasso di interesse irrisorio dello 0,01%, TAN e TAE “realmente” ed “effettivamente” coincidono ossia, applicando detto tasso di interesse una volta all’anno, oppure conteggiandolo trimestralmente e capitalizzandolo, si ottiene il medesimo incremento monetario di 10,00 Euro e un TAE = 0,01%, coincidente numericamente con il TAN.
Certamente, laddove il TAE fosse riportato con molti decimali, allora sarebbe numericamente (ossia, “visibilmente”), diverso dal TAN, ma dal punto di vista monetario l’incremento di interessi sarebbe comunque o del tutto inesistente (almeno a fronte di un determinato saldo creditore iniziale e di un tasso di interesse creditore irrisorio), o, al più, economicamente insignificante; si pensi che un saldo creditore di 100.000.000,00 (cento milioni) di Euro al TAN 0,01% e capitalizzazione trimestrale (TAE = 0,010000375%) produrrebbe nel primo anno 37 centesimi di Euro di interessi in più all’anno rispetto ad una capitalizzazione annuale, ossia 10.000,37 Euro, anziché 10.000,00 Euro.
Non sembra quindi che – ma a mero titolo di esempio – a fronte di un TAN dello 0,01% si possa ritenere non conforme alla Delibera CICR e/o comunque scorretta, l’indicazione del TAE nella medesima misura dello 0,01%.
A ben vedere, se si passa ad un TAN dell’1,00%, su un medesimo saldo iniziale di 100.000,00 Euro a fine anno sarebbero maturati, in caso di capitalizzazione annuale, interessi creditori pari a Euro 1.000,00, mentre in caso di capitalizzazione trimestrale sarebbero maturati interessi pari a Euro 1.003,76, per effetto di un TAE = 1,00375625%, per cui anche in questo caso si potrebbe considerare corretta – laddove ci si fermasse all’indicazione dei soli primi due decimali – l’indicazione di TAN e TAE nella medesima misura dell’1,00%, sebbene la capitalizzazione trimestrale abbia l’effetto di generare maggiori interessi.
Si vuole così evidenziare che, per tassi di interesse che si possano definire “irrisori”, “bassi” o “contenuti”, TAN e TAE tendono effettivamente a coincidere, salvo naturalmente differenziarsi numericamente ove siano riportati molti decimali, comunque generando effetti “non significativi” in termini monetari, anche se applicati a saldi contabili ingenti, mentre (TAN e TAE) tendono ovviamente a differenziarsi rapidamente per tassi di interesse più elevati, e/o frequenza di capitalizzazione più ravvicinata (mensile, giornaliera), oltreché – naturalmente – a generare effetti significativi in termini monetari ove applicati a saldi contabili ingenti.
L’Ordinanza sembra aver così escluso la possibilità che TAN e TAE possano essere stati indicati in misura numericamente coincidente, proprio perché indicati con soltanto due, tre o quattro decimali.
Può essere per sommi capi evidenziato che se ci si ferma al secondo decimale, TAN e TAE coincidono fino al TAN = 1,15%; se ci si ferma al terzo decimale, coincidono fino al TAN = 0,365%; se ci si ferma al quarto decimale coincidono fino al TAN = 0,1150%.
A ciò può anche aggiungersi che i conti correnti “di corrispondenza” avrebbero potuto prevedere anche un interesse creditore pari a zero, con TAN e TAE pertanto coincidenti a zero.
Il sillogismo secondo il quale: (1) TAN e TAE (nel caso di capitalizzazione infrannuale) non possono coincidere e quindi (2) laddove nel contratto di conto corrente le indicazioni numeriche di TAN e TAE siano viceversa riportate in misura coincidente (3) allora ciò comporta necessariamente che non vi sarebbe stata capitalizzazione degli interessi creditori, non è convincente.
Nel giudizio di appello non sembra neppure essere stata presa in considerazione l’ipotesi che si sia trattato di un mero errore “di compilazione” del testo contrattuale e la Banca avesse – sempre in ipotesi – effettivamente applicato la capitalizzazione infrannuale degli interessi creditori, circostanza quest’ultima verificabile – eventualmente – dagli estratti conto.
Tornando così all’Ordinanza, appare in primo luogo sorprendente che – nell’ambito della stessa – sia stata totalmente destituita di fondamento l’ipotesi che, nello specifico contratto di conto corrente bancario, il TAN e il TAE fossero stati indicati nel contratto in misura perfettamente coincidente proprio per l’irrisorietà dell’interesse creditore riconosciuto dalla Banca al Correntista perché tale assunto difensivo poteva essere – come si è cercato di argomentare sopra – perfettamente vero da un punto di vista matematico (oltreché evidentemente in termini di effettivo beneficio finale per il Correntista), anche nel caso specifico oggetto di lite.
Ancor più sconcertante appare tuttavia il fatto che l’Ordinanza:
- da una parte assume che l’indicazione nel contratto di conto corrente di un TAE coincidente numericamente con il TAN, sia idonea, di per sé sola, ad escludere che vi sia, o che vi possa essere stata, una capitalizzazione infrannuale degli interessi creditori a favore del Correntista, e quindi considera non rispettata la regola della “stessa periodicità”; se infatti è vero che per valori di tasso irrisori, TAN e TAE possono essere numericamente coincidenti, fatta salva l’indicazione di molti decimali, sembra anche possibile argomentare che, nel caso in cui siano stati indicati pochi decimali, tale coincidenza numerica, di per sé sola, non sia indicativa né di un comportamento scorretto della Banca nell’esporre il TAE, né tantomeno sembra idonea ad escludere che la Banca abbia poi effettivamente praticato la capitalizzazione degli interessi creditori con la stessa periodicità infrannuale degli interessi debitori;
- dall’altra l’Ordinanza appare decisamente non condivisibile laddove valorizza il combinato disposto degli articoli 1, 2, e 6, della Delibera CICR (ossia, il disposto delle seguenti norme: “[…] gli interessi possono produrre a loro volta interessi secondo le modalità e i criteri indicati negli articoli che seguono […] deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori […] Nei casi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione […]”), in modo tale che – assumendo come del tutto “mancante” l’indicazione del TAE, laddove esso sia stato indicato in misura numericamente coincidente con il TAN – considera, per ciò soltanto, non rispettata la regola che impone l’indicazione del TAE e quindi invalido il patto di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori a favore della Banca.
Anche in questo caso il sillogismo secondo il quale: (1) il contratto deve indicare TAN e TAE (anche) degli interessi creditori (2) se TAN e TAE degli interessi creditori sono numericamente coincidenti, allora il TAE deve intendersi non indicato, ossia mancante quindi (3) non è possibile applicare la capitalizzazione degli interessi debitori, non è convincente.
E’ certamente condivisibile la censura mossa nell’Ordinanza alla sentenza d’appello nella parte in cui quest’ultima sembra non aver colto la “questione di diritto” che le era stata sottoposta; ma non è condivisibile il risultato finale cui giunge l’Ordinanza assumendo che se TAN e TAE sono riportati nel contratto in misura numericamente coincidente, ciò significa – si direbbe, come se non potesse significare alcunché d’altro – che la Banca abbia necessariamente violato la regola della “stessa periodicità”.
L’enunciato del principio di diritto dell’Ordinanza, sulla base del quale la Corte d’Appello di Genova dovrà ora decidere la controversia, secondo il quale un TAN coincidente con il TAE: “non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore” non sembra neppure brillare per chiarezza da un punto di vista giuridico; certamente è possibile osservare come la coincidenza tra TAN e TAE “non dia immediata evidenza”, ossia “non renda agevolmente visibile” al Correntista l’effetto economico finale della capitalizzazione infrannuale; ma per quanto sin qui detto, non sembra elemento sufficiente per escludere categoricamente che la detta capitalizzazione infrannuale sia stata comunque effettuata dalla Banca, nel vigore della Delibera CICR, in favore del Correntista, sia pure con benefici monetari insignificanti; neppure sembra corretto, o condivisibile, l’assunto secondo il quale l’indicazione separata di TAN e TAE, ma con valori numericamente coincidenti, non sia idonea a soddisfare la condizione posta dall’articolo 6, della Delibera CICR, di dover indicare il TAE, perché se detti valori – per tassi di interesse irrisori e frequenza di capitalizzazione trimestrale – finiscono per coincidere numericamente (salvo naturalmente differenziarsi per millesimi o decimillesimi di punto percentuale), non si vede come la Banca avrebbe potuto indicarli diversamente nei contratti.
4. Conclusioni
Ad onor del vero, tutto quanto sopra descritto, ove appaia dotato di qualche persuasività, non è però tutta “farina del sacco” di chi scrive.
Deve infatti essere segnalato che di ciò vi sono diverse epifanie nella Giurisprudenza di merito: il Tribunale di Benevento, nella Sentenza del 10 gennaio 2019, n. 48, ha avuto occasione di indicare che: “Né, per altro verso, l’illegittimità della pattuizione della clausola anatocistica di cui al contratto […] può farsi discendere 1) dalla diversità tra tassi di interessi debitori e quelli creditori concordati, essendo tale ultimo aspetto rimesso alla volontà delle parti espressa nelle forme di legge; 2) tantomeno, dalla diversa incidenza di questi tassi nella produzione di ulteriori interessi: ed invero il T.A.N. creditore è così basso (0,010%) da non determinare una variazione del T.A.E. entro la terza cifra terzo decimale (ma solo partire dalla settima cifra decimale, cfr. pag. 13 e ss della C.T.U.), motivo per cui anche il T.A.E. creditore è fissato nello 0,010% pur essendo calcolato secondo le medesime modalità del tasso debitore. Ne consegue che la clausola, nonostante determini una disciplina di favore per l’istituto di credito, è comunque legittima quando sia pattuita in conformità con le disposizioni del T.U.B. e della Del.CICR del 9 febbario 2000, come nel caso di specie”; il medesimo Tribunale, in altra sentenza del 17 maggio 2019, n. 857, ha espresso analogo concetto: “La circostanza che il TAN (tasso nominale annuo) creditore e il TAE (tasso annuo effettivo) creditore sono indicati nelle condizioni economiche del contratto di accensione del conto […] nella misura dello 0,01% non comporta alcuna nullità della clausola contrattuale. Ed invero, senza dubbio, al rapporto in esame si applica la Delibera CICR del 9.2.2000 che all’art. 6 (Trasparenza contrattuale) prescrive […]. Orbene il contratto indica il valore del tasso effettivo annuo creditore e non vi è alcuna violazione del predetto art. 6 della Delibera CIRC per il fatto che il TAE e il TAN siano indicati nella medesima misura percentuale in quanto, per il tasso creditore, l’incremento che si genera per l’effetto della capitalizzazione trimestrale (pattuita nel contratto […]) è infinitesimale e, pertanto, viene assorbito dall’arrotondamento per difetto ragion per cui la misura percentuale del TAE è pari allo 0,01% e risulta invariata rispetto alla misura percentuale del TAN”[9].
Ma anche il Tribunale di Torino, con Sentenza del 5 ottobre 2021, n. 4.473, è stato dello stesso avviso: “L’attrice contesta, ancora, la legittimità della capitalizzazione trimestrale, perché l’identità di tasso nominale ed effettivo (in entrambi i casi pari allo 0,0100%) implicherebbe l’assenza di una capitalizzazione degli interessi creditori. Richiama al riguardo precedenti del Tribunale di Grosseto (cfr. Trib. Grosseto, decreto 3.7.2006, in Foro it., 2006, I, col. 2525) che hanno, in tale evenienza, ritenuto nulla la clausola di capitalizzazione.
L’argomento non ha fondamento. La chiusura con pari periodicità comporta l’annotazione in conto degli interessi, indifferentemente debitori e creditori. Per il tramite dell’annotazione, i.e. della capitalizzazione, l’interesse maturato è idoneo a produrre nei trimestri successivi interessi su interessi, il cui surplus è rappresentato dalla differenza tra tasso effettivo e tasso nominale, dove il tasso effettivo deve calcolarsi secondo la nota formula [(1 – TAN/4) ^ 4] – 1.
La circostanza che i tassi creditori effettivo e nominale appaiano uguali non dipende dall’assenza della capitalizzazione ma dal troncamento del risultato di calcolo a un certo decimale. Ad esempio, il tasso effettivo, trimestralmente composto, di un tasso nominale 0,125%, troncato al terzo decimale, è anch’esso 0,125% poiché l’effetto della capitalizzazione, che pur sussiste, risulta numericamente evidente soltanto dal quinto decimale in avanti (lo sviluppo completo della formula è 0,12505860595798492431640625%”.
Sempre ad onor del vero – e per converso – deve però essere segnalato, perché in sintonia con l’Ordinanza, l’approccio manifestato ante litteram dal Tribunale di Napoli nella Sentenza del 17 giugno 2021, n. 5.686, dove si legge: “[…] deve ritenersi corretto l’operato del CTU che non ha ritenuto validamente pattuita in entrambi i contratti a mezzo di clausola analiticamente e separatamente sottoscritta dalla correntista quella che prevedeva la capitalizzazione infrannuale degli interessi passivi ed attivi, per l’assenza, quanto all’indicazione del valore dei tassi creditori, di una compiuta indicazione di quelli effettivi (TAE).
Sostiene, infatti, il CTU che se si analizzano più in dettaglio i tassi a debito ed a credito convenuti in entrambi i documenti di sintesi si evidenzia che ‘non sussiste il ‘criterio di reciprocità’, dato che la capitalizzazione non apporta alcun incremento del tasso creditore (tasso nominale a credito dello 0,010% – TAEG 0,010%), , diversamente da quanto previsto a favore della banca dove a seguito della capitalizzazione trimestrale degli interessi si ha per il contratto n. n. –omissis– un incremento dei tassi a debito (TAN 7,50% – TAE 7,71358%) e per il contratto n. n. –omissis– incremento dei tassi a debito (TAN 13,50% – TAE 14,14%)’.
Dunque, alla luce di tali considerazione il tecnico non ha ritenuto che fosse stato rispettato il criterio di reciprocità e, pertanto, gli interessi nei ricalcoli effettuati non dovessero essere capitalizzati in quanto contrattualmente e quindi originariamente, il tasso a credito indicato non aveva beneficiato di alcun incremento a seguito della capitalizzazione trimestrale.
Né pervero la valutazione del CTU può essere posta in non cale dalle osservazioni mosse dalla Dott.ssa Go. CTP di parte convenuta – cui il CTU ha comunque dato compiuta risposta effettuando per economia di giudizio i calcoli richiesti – secondo le quali poiché gli effetti della capitalizzazione sul TAN creditore si sarebbero verificati solo a partire dal settimo numero decimale, non sarebbe stato necessario una loro esplicazione in contratto.
Invero, l’indicazione dei tassi effettivi accanto a quelli nominali ha una funzione eminentemente informativa all’interno del contratto bancario e risponde all’obiettivo di rendere il cliente consapevole delle conseguenze delle pattuizioni ed obbligazioni assunte, come della convenienza del contratto tanto da essere necessaria una manifesta esplicazione, la cui assenza determina di fatto il mancato rispetto di tale obiettivo (sancito tra gli altri nell’art. 117 TUB)”.
A chi scrive resta comunque poco chiaro quale sarebbe stata, nel vigore della Delibera CICR, l’utilità – per il Cliente della Banca – di essere messo in condizione di sapere (mediante l’indicazione di tanti decimali), che il saldo creditore del suo conto corrente, in un anno, non avrebbe reso “soltanto” (in ipotesi) lo 0,125%, ma lo 0,12505860595798492431640625%, percentuale “corrispondente” a 6 (sei) centesimi di Euro in più di interessi, su un saldo creditore di 100.000,00 Euro; o di poter sapere – sempre mediante tanti decimali – ma questo è stato già detto, che un TAN dello 0,01%, con la capitalizzazione trimestrale, avrebbe fruttato in realtà 37 centesimi di Euro di interessi in più all’anno, a condizione però di disporre di un saldo creditore di 100 milioni di Euro.
Pur prendendo atto dell’opinabilità della questione, a chi scrive sembra che – nel correggere quello che è stato presentato come un evidente errore di diritto del Giudice d’appello – l’Ordinanza sarebbe a sua volta incorsa in un altro, diverso e – forse ancor più grave – errore di diritto, per l’autorevolezza dell’Organo Giudicante e per le ragioni sopra esposte.
L’Ordinanza – e il principio di diritto in essa enunciato – sembra soltanto potenzialmente idonea a implementare il contenzioso Banca-Cliente.
E’ verosimile ritenere che molti Correntisti in possesso di un contratto di conto corrente di corrispondenza indicante TAN e TAE degli interessi creditori in misura numericamente coincidente, perché irrisoria, una volta venuti a conoscenza del principio di diritto come sopra sancito, siano tentati di presentare reclami e ricorsi, con l’obiettivo di ottenere il ricalcolo dell’intero rapporto eliminando ogni capitalizzazione periodica, contribuendo così alla crescita esponenziale dei livelli di litigiosità Banca–Cliente.
Gli Uffici Reclami delle Banche saranno impegnati a rispondere alla Clientela che per tassi di interesse irrisori (quali negli ultimi anni sono stati e sono gli interessi creditori), TAN e TAE necessariamente coincidono da un punto di vista numerico, salvo indicare molti decimali, ma comunque con effetti monetari concretamente insignificanti o addirittura – nella maggior parte dei casi – del tutto inesistenti.
Se è certamente vero che la coincidenza numerica di TAN e TAE non rendeva agevolmente percepibili al Correntista gli effetti in suo favore di una – pur effettuata – capitalizzazione infrannuale degli interessi creditori, tuttavia, in un eventuale contenzioso con il Correntista, dovrebbe pur sempre essere possibile dimostrare – da una parte – che, entro certi limiti, TAN e TAE possono essere numericamente coincidenti, salvo differenziarsi per millesimi o decimillesimi di punto; dall’altra dimostrando che – al di là del TAE indicato nel contratto – la Banca aveva “effettivamente” applicato la capitalizzazione degli interessi creditori a favore del Correntista con la “stessa periodicità” della capitalizzazione degli interessi debitori comunque dando seguito al precetto “sostanziale” della norma, ove non anche a quello “formale”.
[1] In epoca successiva all’entrata in vigore del Codice Civile, i contratti bancari di conto corrente e di apertura di credito in conto corrente redatti sulla base delle Norme Bancarie Uniformi del 1952, prevedevano normalmente che i conti a debito fossero chiusi contabilmente alla fine di ogni trimestre e che i relativi saldi (debitori) avrebbero conseguentemente prodotto interessi. Mario Porzio, in Rilievi critici sulle recenti sentenze della Cassazione in materia di anatocismo, in Banca borsa tit. cred., 6, 1999, aveva però evidenziato che: “[…], in realtà, la regola dell’anatocismo trimestrale nei conti correnti bancari è certamente di molto anteriore al 1952. Ed in particolare essa risulta sancita già nelle Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza approvate dalla Confederazione generale bancaria fascista nel gennaio 1929”.
[2] Si citano, in tal senso: Cass. 15 dicembre 1981, n. 6631; Cass. 5 giugno 1987, n. 4920, per la quale: “Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, nel campo delle relazioni fra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare e avere l’anatocismo trova generale applicazione. Si è, pertanto, in presenza di un uso normativo, richiamato dall’art. 1283 c.c., come tale legittimo (sent. n. 6631 del 15 dicembre 1981). Sia le banche, sia i clienti chiedono e riconoscono come legittima la pretesa di calcolo di nuovi interessi sugli interessi scaduti, indipendentemente dai presupposti richiesti dal citato art. 1283 cod. civile. Questi usi, cioè, si identificano in comportamenti tenuti dalla generalità degli interessati con il convincimento di adempiere ad un precetto di diritto” (sent. citata e sent. n. 5409 del 19 agosto 1983). Presentano, invero, i caratteri obiettivi di costanza, generalità, durata e il carattere subiettivo della “opinio iuris”, che contrassegnano la norma giuridica consuetudinaria, vincolante gli interessati, salvo contraria disposizione contrattuale, […]”; Cass. 6 giugno 1988, n. 3804, secondo la quale: “Il problema è stato già risolto da questa Corte (sent. n. 6631 del 1981) che ha così statuito: gli usi che consentono l’anatocismo, richiamati dall’art. 1283 Cod. Civ., sono usi normativi, in quanto operano sullo stesso piano di tale norma (secundum legem) come espressa eccezione al principio generale ivi affermato, onde essi hanno l’identica natura delle regole dettate dal legislatore ed il giudice può applicarli […]”; Cass. 20 giugno 1992, n. 7571, secondo la quale: “[…] la clausola sulla capitalizzazione di tali interessi non si pone in contrasto con l’art. 1283 cod. civ., il quale fissa i limiti ben precisi agli interessi anatocistici solo “in mancanza di usi contrari”, laddove invece nei rapporti di conto corrente bancario esiste un uso normativo, che è perfettamente legittimo. Questa motivazione va condivisa, dato che nello specifico campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti l’anatocismo trova generale applicazione in tutte le operazioni di dare e di avere, e pertanto, si è in presenza di un uso normativo che corrisponde a quegli usi contrari richiamati dell’art. 1283 cod. civ. e, come tale, costituisce espressa eccezione al principio generale affermato da tale norma, che consente agli interessi scaduto di produrre interessi solamente dal giorno della domanda o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. (cfr. Cass. 15.12.1981 n. 6631)”; Cass. 1° settembre 1995, n. 9227; Cass. 17 aprile 1997 n. 3296; Cass. 18 dicembre 1998, n. 12.675, secondo cui: “È noto che secondo un orientamento tradizionale, che trova riscontro in giurisprudenza, nell’ambito delle operazioni fra i predetti istituti ed i clienti l’anatocismo trova generale applicazione attraverso comportamenti delle generalità degli interessati, con il convincimento di adempiere ad un precetto di diritto, presentando i caratteri obiettivi di costanza, generalità e durata ed il carattere della “opinio juris” che contrassegnano la norma giuridica consuetudinaria vincolante gli interessati (Cass. 5 giugno 1987, N. 4920)”.
[3] Con due sentenze emesse a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, la n. 2374 del 19 marzo e la n. 3096 del 30 marzo 1999.
[4] Nella consapevolezza della gravità della situazione, il Governo intervenne con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342; l’art. 25, di tale decreto – per quel che qui rileva – integrando con l’aggiunta di un secondo comma il preesistente articolo 120, del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (TUB), demandava al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) di stabilire con una propria Deliberazione le modalità e i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente fosse assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.
[5] Con il 9° aggiornamento del 25 luglio 2003, il Titolo X, Capitolo 1, della Circolare della Banca d’Italia n. 229, del 21 aprile 1999, “Istruzioni di Vigilanza per le banche”, Sez. III “Contratti”, Par. 3 “Contenuto dei contratti”, venne integrato, per quel che qui rileva, come segue: “Con particolare riferimento ai tassi di interesse, ai sensi della delibera CICR del 9 febbraio 2000 (cfr. Allegato B), i contratti indicano la periodicità di capitalizzazione e, nei casi in cui sia prevista una capitalizzazione infrannuale, il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione […]. Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto. In ogni caso, nelle operazioni in conto corrente è assicurata nei confronti dei clienti la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori […]”.
[6] Incidentalmente, si osserva che a tutt’oggi, potrebbe dirsi non definitivamente chiarito il termine finale di vigenza della Delibera CICR, in considerazione dell’inadeguatezza delle previsioni normative che, a partire dal dissennato intervento operato dall’articolo 1, comma 629, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, si sono succedute sull’articolo 120, comma 2, TUB, e delle contrapposte posizioni emerse sul punto nella Giurisprudenza di merito.
[7] E’ la sentenza n. 464, del 28 maggio 2020, inedita, che non è stato possibile esaminare.
[8] Il primo conteggio di interessi al 31 marzo si avrebbe sul saldo di 100.000,00 con la prima capitalizzazione; la seconda su 100.002,47; la terza su 100.004,96; la quarta su 100.007,48
[9] Sempre il Tribunale di Benevento, con Sentenza del 28 gennaio 2021, n. 118: “ […]ed invero il T.A.N. creditore è così basso (0,010%) da non determinare una variazione del T.A.E. entro la terza cifra decimale (come peraltro riscontrato dal C.T.U., cfr. infra), motivo per cui anche il T.A.E. creditore è fissato nello 0,010% pur essendo calcolato secondo le medesime modalità del tasso debitore. Ne consegue che la clausola, nonostante determini una disciplina di favore per l’istituto di credito, è comunque legittima quando sia pattuita in conformità con le disposizioni del T.U.B. e della delibera C.I.C.R. del 09.02.2000, come nel caso di specie […]”.