La Cassazione Civile, Sez. Un., in data 02 dicembre 2010, ha statuito come debba essere individuato il dies a quo del termine di prescrizione decennale applicabile alla condictio indebiti.
Come ricorderemo la giurisprudenza aveva dichiarato la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in una apertura di credito in conto corrente, per il contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall'art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista avrebbero dovuto essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 osterebbe anche ad una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale e perché nemmeno potrebbe essere ipotizzato come esistente, un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza.
Tale principio ripreso anche recentemente dalla Cassazione civile, sez. un., 02/12/2010, n. 24418 ha richiamato la necessità di individuare il dies a quo del termine di prescrizione decennale applicabile alla condictio indebiti.
A questo riguardo la pregressa giurisprudenza della Corte di Cassazione aveva già in passato avuto occasione di affermare che il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che da luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262; e Cass. 14 maggio 2005, n. 10127).
Tale orientamento, condiviso anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, veniva poi ripreso dal legislatore nel decreto c.d. mille proroghe laddove è stata introdotta una norma che stabilisce che "la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa".
Il Milleproroghe, ora, parrebbe azzerare la sentenza della Cassazione, in base alla quale il diritto del correntista alla restituzione delle somme percepite dalle banche mediante l’illegittimo sistema di calcolo degli interessi passivi, decorreva dalla data di chiusura del rapporto contrattuale, mentre con l’applicazione dell’art. 2 comma 61, consegue che i correntisti non potranno esercitare il diritto a recuperare quelle somme indebitamente percepite dagli istituti bancari richieste dopo dieci anni dalla singola annotazione effettuata sul conto corrente.
Al riguardo, però, è bene ricordare che la problematica dell’annotazione e del pagamento, la Cassazione se le era già posto.
Cosa in sostanza i giudici di cassazione hanno chiarito.
Operando una distinzione tra annotazione e pagamenti e chiarendo come una cosa sono gli atti ripristinatori della provvista e altra cosa invece sono gli atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca tanto che i pagamenti effettuati per ripristinare, ad esempio, il limite dell’affidamento non possono essere considerati tali.
Sulla base di queste argomentazioni e richiamando così l’orientamento della Suprema Corte a Sezioni Unite, la Corte d’Appello di Ancona con un recente provvedimento del 03 marzo 2011 ha ritenuto non soggetto al termine prescrizionale l’annotazione, mera operazione contabile, che di per se non fa sorgere alcun indebito e quindi alcun diritto di ripetizione in capo al correntista.