Con sentenza del 23 aprile 2014 il Tribunale di Reggio Emilia ha affrontato diverse questioni, di seguito singolarmente analizzate, particolarmente diffuse nel contenzioso bancario relativo alla ripetizione di somme illegittimamente versate dal correntista alla banca.
Termine di prescrizione dell’azione di ripetizione
Per quanto concerne il termine di prescrizione del diritto a conseguire la ripetizione delle somme versate a titolo di anatocismo, pur richiamando i noti orientamenti di legittimità in materia (Cass. Sez. Un. n. 24418/2010, nonché Corte Cost. n. 78/2012), secondo cui, nel caso di rimesse solutorie, la prescrizione decorre dalla data di annotazione in conto della singola posta, non già dalla chiusura del conto come nel caso di rimesse ripristinatone della provvista, il Tribunale evidenzia tuttavia come, la presenza di affidamenti sui conti correnti ed il fatto che il correntista abbia operato nell’ambito di tali fidi e nell’ordinario svolgimento del rapporto, impone di ritenere le rimesse meramente ripristinatorie della provvista e non già solutorie, con la conseguenza che la prescrizione decennale decorre dalla chiusura del conto e non già dalle singole annotazioni.
Peraltro, il Tribunale evidenzia che non si è in presenza di una vera e propria estinzione del conto, ma piuttosto un mero mutamento del numero identificativo di un medesimo rapporto contrattuale che prosegue, nel caso in cui il conto sia stato estinto solo formalmente e non sostanzialmente, atteso che il correntista non ha mai ritirato le somme di denaro, in quanto contestualmente ed immediatamente girate su un diverso conto corrente della stessa banca e della stessa filiale e proseguendo con le linee di credito già concesse.
Onere probatorio: il c.d. “saldo zero”
A seguito della statuizione di illegittima corresponsione di interessi anatocistici, e nel caso di mancata disponibilità di tutti gli estratti conto relativi al rapporto in contestazione, si pone il problema di capire quale sia il dato numerico di partenza dal quale ricostruire il rapporto dare/avere, e cioè se il primo degli estratti conti disponibili ovvero il cosiddetto saldo zero.
Secondo il Tribunale, sulla base dell’applicazione del riparto dell’onere della prova previsto dall’articolo 2697 c.c., occorra distinguere le due situazioni possibili.
Laddove sia la banca ad agire per il pagamento, la stessa non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione ex artt. 2220 c.c. e 119 TUB, in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore: pertanto, spettando all’attore dar prova della fondatezza delle proprie ragioni, la ricostruzione dell’andamento del rapporto deve essere effettuata partendo dal saldo del primo estratto conto disponibile se a credito per il cliente; nel caso invece il primo estratto conto disponibile sia a debito per il cliente, occorrere ripartire dal saldo zero; nel caso in cui, dopo il primo estratto conto disponibile, manchino estratti conto successivi, la ricostruzione dell’andamento del conto corrente deve essere effettuata soltanto sulla base degli estratti conto effettivamente disponibili.
Laddove sia invece il correntista ad agire in ripetizione, l’applicazione dei sopra indicati principi generali sul riparto dell’onere della prova deve condurre a ritenere che la ricostruzione dei rapporti di dare/avere sia circoscritta al periodo in relazione al quale risultano prodotti gli estratti conto, senza potere muovere dal saldo zero in caso di un primo estratto conto a debito per il cliente.
Commissione di massimo scoperto
Nel regime anteriore alle modifiche normative del 2009 (art. 2 bis DL n. 185/2008 conv. in L. n, 2/2009 e DL n. 78/2009 conv. in L. n. 102/2009) e del 2012 (DL n. 201/2011 conv. in L. n. 214/2011, DL n. 1/2012 conv. in L. n. 27/2012, DL n. 29/2012 conv. in L. n. 62/2012), la clausola che prevede le commissione di massimo scoperto, per essere valida, deve rivestire i requisiti della determinatezza o determinabilità dell’onere aggiuntivo che viene ad imporsi al cliente, indicando quindi sia il tasso della commissione, sia i criteri di calcolo, sia la periodicità di tale calcolo.
Secondo il Tribunale, l’onere di determinatezza della previsione contrattuale relative alla commissione di massimo scoperto deve essere valutato con particolare rigore, posto che a tale termine non è affatto riconducibile ad un’unica fattispecie giuridica (a volte individuata nel corrispettivo per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma, a prescindere dal suo concreto utilizzo, altre volte nella remunerazione per il rischio cui la banca è sottoposta nel concedere al correntista affidato l’utilizzo di una determinata somma, anche oltre il limite dello stesso affidamento).
In tal senso deve esigere, se non una sua definizione contrattuale, per lo meno la specifica indicazione di tutti gli elementi che concorrono a determinarla (percentuale, base di calcolo, criteri e periodicità di addebito), in assenza dei quali non può nemmeno ravvisarsi un vero e proprio accordo delle parti su tale pattuizione accessoria, non potendosi ritenere che il cliente abbia potuto prestare un consenso consapevole, rendendosi conto dell’effettivo contenuto giuridico della clausola e, soprattutto, del suo ‘peso’ economico: in mancanza di ciò, l’addebito delle commissioni di massimo scoperto si traduce in una imposizione unilaterale della banca che non trova legittimazione in una valida pattuizione consensuale.
Ne consegue che non può ritenersi sufficientemente determinata (a differenza, ad esempio, di quanto avviene per la pattuizione del tasso di interessi ultralegali), la mera indicazione di un tasso percentuale accompagnato dalla dizione ‘commissione di massimo scoperto’, senza ulteriori indicazioni sulla periodicità dell’applicazione, sui criteri di calcolo e sulla base di computo.
Tale clausola deve ritenersi nulla per indeterminatezza dell’oggetto, non essendo possibile in nessun modo, in base a questi elementi, cogliere i tratti essenziali dell’onere imposto dalla banca.