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Giurisprudenza

Anatocismo, fra nullità e requisiti di forma dei contratti bancari

13 Settembre 2024

Fabrizia De Nigris, Avvocato

Corte d’Appello di Napoli, Sez. III, 09 settembre 2024, n. 3494 – Pres. Casaregola, Rel. Morrone

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 3494/2024 del 9 settembre 2024, la Corte d’Appello di Napoli, in tema di anatocismo bancario, fa il punto sulla corretta applicazione dei principi emanati dalla giurisprudenza di legittimità.

Più nel dettaglio, la Corte ha riformato per buona parte la decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Avellino, ed ha condannato in particolare una banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite per interessi, commissione massimo scoperto, spese ed interessi in misura illegittima, siccome determinati e capitalizzati in violazione del divieto dell’anatocismo.

Ha quindi affermato, sul punto, che non può ritenersi insussistente una apertura di credito per il solo fatto che il correntista non abbia fornito la prova della stipulazione del contratto in forma scritta” e che, anzi, l’esistenza del contratto di affidamento può ben desumersi da “elementi di natura documentale” di altro tipo.

La vicenda trae origine dall’azione promossa da una società correntista nei confronti di un istituto di credito, azione finalizzata ad ottenere, oltre all’accertamento della nullità delle clausole contrattuali e la rideterminazione del rapporto dare/avere tra le parti, la condanna della banca alla restituzione di quanto illegittimamente percepito.

In primo grado, la domanda della correntista in tema di anatocismo trovava accoglimento soltanto per la parte diretta ad ottenere l’accertamento e la declaratoria del saldo finale (cioè una pronuncia di mero accertamento), ma non per la parte volta ad ottenere la restituzione dell’importo ricalcolato (cioè una pronuncia di condanna): ciò perché, ad avviso del Tribunale, il conto corrente interessato risultava ancora aperto al momento della proposizione della domanda.

Avverso la sentenza di primo grado, l’istituto bancario proponeva appello principale e la correntista appello incidentale.

Nella sentenza in commento, la Corte di Appello di Napoli ha avuto quindi l’occasione di pronunciarsi, oltre che sulla preminente domanda di ripetizione di indebito, anche su ulteriori rilevanti aspetti in tema di contenzioso bancario che meritano specifica trattazione.

Infatti, la banca appellante e la società appellante incidentale, per mezzo dei rispettivi atti, hanno realizzato una devoluzione integrale di tutto l’oggetto del giudizio di primo grado.

In primo luogo, accogliendo i motivi di appello incidentale della società correntista, la Corte adita ha ribaltato la decisione del giudice di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile la domanda di ripetizione delle somme sull’erroneo presupposto che, al momento della proposizione della domanda in primo grado, il conto corrente della società fosse ancora aperto.

Nel riformare tale capo della sentenza, la Corte napoletana ha ritenuto dimostrata la chiusura del conto corrente dal momento che l’istituto bancario “aveva provveduto alla revoca da ogni facilitazione creditizia precedentemente concessa e ad attivare la decadenza dal beneficio del termine, ex art. 1189 c.c.” e che tale circostanza rimuoveva “l’ostacolo all’ammissibilità e, quindi, all’accoglimento della domanda di ripetizione proposta dalla correntista nei confronti della banca”.

Sul punto, la Corte adita ha ragionato nel senso che, anche ove il conto corrente fosse stato ancora aperto al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado, la correntista avrebbe comunque avuto un interesse giuridicamente apprezzabile all’accertamento della nullità delle clausole contrattuali illegittime ed alla rideterminazione del saldo ricalcolato al netto delle appostazione illegittime, richiamando il costante orientamento di legittimità in tal senso (Cass. n. 21646/2018, Cass. n. 3310/2024 e Cass. 13586/2024).

In secondo luogo, la Corte si è espressa sull’annoso tema della prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito ed ha ritenuto che l’esistenza di un contratto di apertura di credito tra le parti, sebbene non in forma scritta, potesse desumersi da elementi di natura documentale” precisamente individuati.

Con ciò accogliendo la tesi difensiva secondo cui non può ritenersi insussistente una apertura di credito per il solo fatto che il correntista non abbia fornito la prova della stipulazione del contratto in forma scritta.

In particolare, la Corte d’Appello ha attribuito valore di prova ad una serie di elementi documentali diversi dal contratto consistenti in una comunicazione della Banca con la quale quest’ultima riduceva l’affidamento concesso al correntista, come anche all’“esistenza, nelle movimentazioni contabili del conto corrente […] di costanti scoperti di conto corrente […] con emissione di assegni, addebiti di rid […] l’applicazione costante della commissione di massimo scoperto […] le mancate richieste di rientri da parte della banca […] le risultanze della visura storica della Centrale Rischi, dove si evidenziano “Rischi a revoca” (ossia aperture di credito) per tutta la durata del rapporto […] la previsione nel contratto di conto corrente (art. 6) della misura del “tasso apertura di credito scop. c/c nella misura del prime rate abi +2”.

Sulla base di tutti i citati elementi documentali, dunque, è possibile dare prova dell’esistenza di contratto di apertura di credito pur in assenza del documento in forma scritta.

Detta interpretazione ha avuto come conseguente corollario quello di considerare ripetibili dalla correntista, perché ripristinatorie, anche le rimesse annotate in epoca anteriore al decennio da calcolare a ritroso dalla notifica dell’atto di citazione unitamente a quelle relative al conto anticipi e tanto a prescindere da ogni questione sul se le rimesse ripristinatorie siano configurabili in relazione al conto anticipi.

In conclusione, deve rilevarsi come la Corte d’Appello abbia fatto corretta applicazione dei principi emanati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di anatocismo e, in particolare, dei requisiti di forma dei contratti bancari.

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