Con sentenza del 29 maggio 2012 il Tribunale di Cremona ha affrontato, fra le diverse questioni, il tema della prescrizione dell’azione di ripetizione degli interessi anatocistici.
La sentenza assume particolare interesse perché emessa a breve distanza dalla pronuncia della Consulta (cfr. sentenza n. 78 del 05 aprile 2012) in ordine all’illegittimità costituzionale dell’art. 2 co. LXI della L. 10/2011 (c.d. “salva banche”), il quale prevedeva che “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione d’importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
In particolare, a fronte del mutato quadro normativo, il Tribunale di Cremona si interroga sull’applicabilità – ai fini della prescrizione del diritto di ripetizione in favore del cliente delle somme indebitamente percepite dalla banca a titolo di interessi da anatocismo – dell’orientamento delle Sezioni Unite della corte di Cassazione formatosi antecedentemente all’introduzione della succitata norma (cfr. sentenza 02 dicembre 2010, n. 24418).
In tale occasione le Sezioni Unite avevano infatti affermato il principio secondo cui la prescrizione del diritto del cliente alla ripetizione delle somme illecitamente riscosse dalla banca decorrere dalla chiusura del conto.
Secondo il Tribunale detto orientamento non deve essere seguito nel caso di specie, dovendosi ritenere che il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione decorra dalla data dei singoli addebiti e non da quella della chiusura del conto.
Nell’adottare tale linea interpretativa il Tribunale di Cremona evidenzia come la sentenza delle SS.UU. richiami la distinzione tra atti ripristinatori ed atti solutori allo scopo di distinguere le rimesse non revocabili, perché volte solo a riespandere il fido, da quelle revocabili, perché effettuate su di un conto scoperto e, quindi, volte ad estinguere un debito effettivo verso la banca.
Diversamente, sottolinea il Tribunale, l’addebito degli interessi da parte della banca non ha mai l’effetto, tipico di ogni rimessa, di riespandere il fido, bensì, e all’opposto, quello di aumentare l’indebitamento del cliente e di ridurre la disponibilità di denaro in suo favore.
Se poi si volesse sostenere che l’addebito degli interessi, periodicamente effettuato dalla banca, non costituisca pagamento, tale assunto, prosegue il Tribunale, cozza irrimediabilmente col disposto dell’art. 1852 c.c., a mente del quale, nelle operazioni regolate in conto corrente, il cliente può sempre disporre del saldo risultante in proprio favore.
Quel saldo però discende dalla somma delle operazioni attive e di quelle passive, tra le quali rientra anche l’addebito periodico degli interessi, in un gioco di continue compensazioni, le quali costituiscono l’essenza del rapporto regolato in conto corrente e, come noto, costituiscono una forma di pagamento o, meglio, una delle forme di estinzione satisfattiva di un’obbligazione.
Nessun cenno, conclude il Tribunale, si rinviene nella sentenza delle Sezioni Unite circa il problema dell’art. 1852 c.c.; il fatto dunque che la motivazione delle SS.UU. 24418/2010 si rifaccia a teorie afferenti alla diversa problematica della revocatoria e non affronti uno dei punti più forti, sollevati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, in favore della decorrenza della prescrizione da ciascun saldo, autorizza a non seguirne l’insegnamento.