Il 18 dicembre 2013 la Commissione Europea aveva emanato importanti chiarimenti circa l’ambito di applicazione dell’EMIR nei confronti degli enti locali. In quell’occasione la Commissione Europea aveva precisato che gli enti locali (municipalities) possono ben essere controparti non finanziarie, come tali soggette all’EMIR. Questo perché la nozione di municipalities è ben compatibile con il concetto di undertaking, che l’EMIR utilizza per individuare qualunque altro soggetto (diverso da banche, intermediari, assicurazioni, fondi pensione) cui l’EMIR si applica. Sul punto si veda la disamina condotta nell’articolo apparso precedentemente su questa rivista nel gennaio 2014.
Con una nota interna destinata a rispondere ad una richiesta di chiarimento formulata dalla Conferenza Stato Regioni, il MEF ha finalmente fornito la sua interpretazione, stabilendo che gli enti locali italiani sono esenti dall’EMIR perché essi godono della esenzione che spetta a tutti gli “enti pubblici dell’Unione incaricati della gestione del debito pubblico”.
La presa di posizione è netta ed inequivoca e questo all’apparenza sembra un punto di chiarezza.
A bene vedere la nota in questione è più foriera di dubbi, però, al punto da aggiungere ulteriori incertezze circa l’applicazione dell’EMIR nei confronti degli locali.
Vediamo in dettaglio tutti i motivi di perplessità.
Innanzitutto, suscita perplessità la forma impiegata dal MEF per esprimere la sua posizione circa l’applicazione dell’EMIR agli enti locali. Palesemente, come è dato cogliere dalla lettura del testo, si tratta di un chiarimento occasionale, informale, che non rientra tra nessuno degli strumenti tipici previsti dal legislatore a disposizione dei ministeri per imporre linee guida ed indirizzi operativi agli enti sottoposti. Ed infatti, non può certo dirsi che la nota sia la posizione ufficiale del MEF in tema di EMIR ed enti locali italiani, né tanto meno una nota interna può avere alcuna valenza generale ed astratta al punto da imporsi alla generalità degli enti locali e territoriali. La nota, infatti, non è né un circolare né tantomeno un decreto ministeriale. Per quanto autorevole, la nota è in ultima analisi inidonea a fissare linee guida o indirizzi cui gli enti locali e territoriali siano tenuti a conformarsi.
In secondo luogo, desta perplessità il ragionamento sotteso alla nota stessa. Il MEF ritiene che il problema sia presto risolto perché tutti gli enti locali e territoriali italiani sono “enti pubblici dell’Unione incaricati della gestione del debito pubblico”. Conclusione per niente scontata, se si pensa al fatto che la stessa definizione di enti pubblici dell’Unione incaricati della gestione del debito pubblico era contenuta anche nella direttiva MiFID, ma in quel caso lo stesso MEF aveva escluso che gli enti locali e territoriali fossero enti che concorrevano alla gestione del debito pubblico!
Basti pensare che, dopo una lunga gestazione, il MEF aveva infine emanato il D.M. 236/2011, con cui aveva appositamente configurato tutti gli enti locali e territoriali italiani come clientiretail, laddove la direttiva MiFID prevedeva (e prevede) che gli enti pubblici dell’Unione incaricati della gestione del debito pubblico sono clienti professionali.
Insomma, rispetto alla stessa definizione di enti pubblici dell’Unione incaricati della gestione del debito pubblico, il MEF ha assunto due atteggiamenti interpretativi del tuto contraddittori.
Nel caso della MiFID, però, il MEF aveva utilizzato uno strumento adeguato: aveva appunto emanato il decreto ministeriale 236/2011 per chiarire le modalità di attuazione della MiFID. Nel caso dell’EMIR, avendo impiegato una nota, è lo stesso MEF che non può confidare minimamente nella attitudine della nota ad influenzare in maniera vincolante la condotta degli enti locali e territoriali al riguardo dell’EMIR. Certo, si potrà obiettare che nel caso della MiFID il MEF ben poteva esercitare il potere regolamentare con il decreto ministeriale perché la direttiva MiFID rimetteva agli stati membri la disciplina attuativa, mentre nel caso dell’EMIR si tratta di un regolamento comunitario self-executing, come tale direttamente applicabile agli stati membri. Se questo è vero e l’EMIR è immodificabile, a fortiori la diffusione di note interpretative poco aiuta salvo che dette note non provengano dai soggetti che abbiano prodotto la normativa di cui si fornisce l’interpretazione. E questo non è il caso della nota del MEF.
Sullo sfondo vi è, però, un ulteriore motivo di perplessità. La finalità dell’EMIR è quella di assicurare un effettivo e costante monitoraggio del mercato dei derivati OTC ,favorendo la piena ricognizione dei rischi sistemici ed imponendo adeguati meccanismi di protezione reciproca alle parti dei contratti per una tempestiva prevenzione o gestione di detti rischi.
Se si considera la vicenda degli enti locali e territoriali italiani, è indubbio che sono ancora numerosi i contratti derivati sottoscritti dagli stessi che rientrano nel campo di applicazione dell’EMIR (ovvero tutti quelli stipulati prima del 16 agosto 2012 ed ancora in corso alla data del 15 settembre in cui è entrato in vigore l’EMIR nonché tutti quelli stipulati dopo il 16 agosto 2012) e che potrebbero solo trarre beneficio dalla soggezione ai presidi della normativa EMIR.
Orbene, laddove l’attività di vigilanza e monitoraggio del mercato dei contratti derivati OTC coinvolga l’operatività in derivati degli enti locali, l’obiettivo principale delle autorità italiane dovrebbe essere quello di ricondurre il più possibile gli enti locali e territoriali nell’alveo dell’EMIR, e non certo quello di addivenire alla individuazione di esenzioni malcerte ed incomplete.