[*] Ritorna all’attenzione della Cassazione il tema della compatibilità del modello claims made con la funzione e la causa del contratto di assicurazione contro la responsabilità civile.
In particolare, nella pronuncia n. 5259 del 25 febbraio 2021 (Pres. Armano, Rel. Olivieri), la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha esaminato una clausola recante la delimitazione della copertura alle richieste di risarcimento pervenute entro un anno dalla cessazione del contratto (c.d. extended reporting period o tail coverage): la Suprema Corte, in tempi molto recenti, è stata dell’avviso che siffatta previsione sarebbe illegittima, per contrasto con l’art. 2965 c.c., rendendo eccessivamente difficile per l’assicurato l’esercizio del proprio diritto all’indennizzo nei confronti dell’assicuratore (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2020, n. 8894; per una condivisibile critica a tale arresto, v. G. M. D’Aiello; N. de Luca, Termine dell’avviso, code assicurative (sunset clause) e decadenza contrattuale. Dal tramonto del contratto al crepuscolo del diritto, in Foro it., 2020). Nel caso di specie, dichiarato inammissibile il motivo di ricorso avverso analoga statuizione del giudice di appello, la Corte stigmatizza tuttavia la sostituzione automatica, ex art. 1419, co. 2, c.c., della clausola con lo schema legale di cui all’art. 1917 c.c.: siccome stabilito dalle Sezioni Unite, con la pronuncia n. 22437 del 2018, si dovrebbe, invece, integrare lo statuto negoziale attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l’equilibrio dell’assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa, che ha tipizzato il modello claims made (v. art. 11, L. 24/2017; art. 2, co. 1, d.m. 22 settembre 2016; art. 1, co. 26, L. 124/2017). Va, infatti, considerata la necessità di salvaguardare, per quanto possibile, una causa del contratto funzionale alla volontà di concordare una prestazione assicurativa chiaramente connessa a un meccanismo di attivazione della garanzia contraddistinto dal duplice elemento della verificazione del rischio e della richiesta risarcitoria pervenuta dal terzo danneggiato (c.d. “responsabilità reclamata”).
Rimane tuttavia qualche dubbio.
Anzitutto, preso atto che i modelli disciplinari delle clausole claims made previsti dalla normativa vigente non sono uniformi – in quanto le caratteristiche base delle polizze degli avvocati non sono uguali a quelle previste per le assicurazioni degli altri professionisti e a quelle, ancora diverse, degli enti sanitari – “A quale normativa bisogna attingere per ricavare le “regole di struttura” (secondo la terminologia della Cassazione) e dunque i principi da inserire nei contratti “inadeguati” mediante il meccanismo di sostituzione di clausole?”. Non solo: “(…) il giudice, nel modificare le condizioni assicurative per renderle più conformi alle esigenze dell’assicurato, provvederà anche ad adeguare il premio per salvaguardare l’interesse dell’assicuratore. Oppure, si limiterà ad aggiungere un decennio di ultrattività della copertura lasciando inalterato il prezzo della polizza?” (v. M. Campobasso, Evoluzioni e rivoluzioni nella giurisprudenza sulle clausole claims made, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, p. 152). Interrogativo, quest’ultimo, che richiama perplessità già insorte all’indomani del primo arresto a Sezioni Unite, n. 9140 del 2016, il quale – a valle dell’eventuale pronuncia di immeritevolezza della clausola – aveva proposto la sostituzione della clausola, convenzionalmente pattuita, con il modello codicistico: a ben vedere, infatti, la permanenza della garanzia per un arco temporale più ampio rispetto a quello cui è stato commisurato il premio (puro), siccome calcolato dall’impresa, finisce inevitabilmente per alterare l’equilibrio sinallagmatico del contratto (amplius, v. M. Mazzola, La copertura assicurativa su base claims made: origine, circolazione del modello e sviluppi normativi, in Eur. dir. priv., 2016, p. 1054).
[*] Il contenuto del presente scritto rappresenta il personale pensiero dell’Autore e non impegna in alcun modo l’Istituto di appartenenza