Il presente contributo analizza l’intervento della Legge di bilancio 2025 con cui è stato disposto il differimento dei termini di deducibilità di talune componenti negative di reddito di banche e altri intermediari finanziari correlate all’iscrizione della fiscalità differita attiva (Deferred Tax Asset o DTA).
1. Premessa
Con la Legge di bilancio 2025[1], il legislatore interviene nuovamente sui termini di deducibilità, ai fini IRES e IRAP, di talune componenti negative di reddito tipiche del settore bancario e finanziario correlate all’iscrizione della fiscalità differita attiva (Deferred Tax Asset o DTA), prevedendone un (ulteriore) rinvio. Lo scopo della misura è ben chiaro: ottenere dalle banche e dagli altri intermediari finanziari un certo immediato contributo (2,5 miliardi di euro per il 2025 e 1,5 miliardi di euro per il 2026 da recuperare nei 3 o 4 anni successivi[2]).
Il differimento riguarda, in particolar modo, la deduzione (i) delle quote di svalutazioni e perdite su crediti, (ii) dell’avviamento e delle altre attività immateriali, nonché (iii) delle quote riferibili a componenti negativi emersi in sede di prima adozione dell’IFRS 9. In termini generali, la misura proposta dall’art. 3 del disegno della Legge di bilancio 2025 non presenta carattere innovativo, ponendosi in linea di continuità con analoghi rinvii disposti – sempre per esigenze di gettito erariale – da precedenti interventi normativi. Rispetto alle scorse edizioni, tuttavia, l’attuale versione della norma rafforza il concorso degli enti creditizi e finanziari alla spesa pubblica attraverso la previsione di ulteriori limitazioni, sia in merito all’utilizzo di perdite fiscali pregresse e di eccedenze ACE che alla possibilità di ricorrere all’istituto della compensazione per gli acconti dovuti nei prossimi quattro periodi d’imposta.
Per meglio comprendere l’impatto della proposta legislativa è necessario ripercorrere la disciplina applicabile alle singole componenti negative di reddito interessate dal differimento dei relativi termini di deducibilità.
2. La deduzione delle svalutazioni e delle perdite su crediti degli intermediari finanziari
Il regime attualmente in vigore, riformato dall’art. 16 del DL n. 83/2015, prevede per gli intermediari finanziari la deduzione integrale, ai fini IRES e IRAP[3], nell’anno stesso di rilevazione contabile (i) delle svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo, assunte al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio; e (ii) delle perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso. La riforma del 2015 ha avuto il merito di sancire la piena e immediata deducibilità, a partire dall’esercizio 2016, di tutte le rettifiche (sia di tipo valutativo, che di tipo realizzativo) relative a tali componenti negative di reddito[4], prevedendo, al contempo, un articolato piano decennale di recupero delle svalutazioni e delle perdite su crediti iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2015 e non ancora dedotte a quella data, scaglionato secondo le seguenti percentuali: (i) 5% nel 2016; (ii) 8% nel 2017; (iii) 10% nel 2018; (iv) 12% dal 2019 al 2024; e (v) 5% nel 2025.
Negli anni successivi, tuttavia, per finalità di salvaguardia del gettito erariale, sono stati previsti numerosi slittamenti in avanti, che hanno comportato il prolungamento nelle tempistiche di deduzione delle quote di svalutazione previste dal piano originario (che, come indicato, si sarebbe dovuto concludere nel 2025). In particolare:
- dapprima, la Legge di bilancio 2019[5] ha differito la quota di deduzione pari al 10% prevista per il 2018 al 2026;
- successivamente, la Legge di bilancio 2020[6] ha differito la quota di deduzione pari al 12% prevista per il 2019 al quadriennio 2022-2025, ripartendola in quattro quote costanti annuali (3%);
- poi, l’art. 42 del DL n. 17/2022 ha disposto il differimento della quota pari al 12% prevista per il 2022 al quadriennio 2023-2026, ripartendola in quattro quote costanti annuali (3%). La norma ha, inoltre, rimodulato la deduzione della quota del 10% originariamente prevista per il 2018 e già oggetto di rinvio al 2026 ad opera della Legge di bilancio 2019, anticipandone parzialmente (in misura pari al 53% del relativo ammontare) la deduzione al 2022. La restante quota del 47% è rimasta, invece, deducibile nel 2026;
- da ultimo, la Legge di bilancio 2024[7] ha stabilito i seguenti ulteriori differimenti: (i) il rinvio al 2027 e al 2028, in quote costanti, dell’1% della quota prevista per il 2024 (passata, quindi, dal 18% al 17%) e (ii) il rinvio sempre al 2027 e al 2028, in quote costanti, del 3% della quota prevista per il 2026 (passata, quindi, dal 7,7% al 4,7%).
Per effetto delle modifiche normative sopra rappresentate, il piano di recupero delle componenti negative non ancora dedotte attualmente risulta articolato come segue: (i) 17% nel 2024; (ii) 11% nel 2025; (iii) 4,7% nel 2026; (iv) 2% nel 2027; e (v) 2% nel 2028.
L’art. 3 del disegno della Legge di bilancio 2025 si inserisce in tale scenario, proponendo un ulteriore rinvio temporale. In particolare, la quota prevista per il 2025 sarà recuperata nel quadriennio 2026-2029, in quote costanti annuali del 2,75%, mentre la quota prevista per il 2026 sarà recuperata nel triennio 2027-2030, in quote costanti annuali dell’1,57%.
In applicazione del nuovo regime previsto dal disegno della Legge di bilancio 2025, pertanto, la deduzione delle svalutazioni e delle perdite su crediti non ancora dedotte si articolerà nei prossimi periodi d’imposta secondo il seguente schema:
Periodo d’imposta | 2024 | 2025 | 2026 | 2027 | 2028 | 2029 |
Quota deducibile | 17% | 0% | 2,75% | 6,32% | 6,32% | 4,31% |
Si osservi, tuttavia, che la deduzione delle svalutazioni e delle perdite secondo l’illustrato piano di riparto è meramente teorica, in quanto l’eventuale conversione delle DTA relative a tali componenti di reddito in crediti d’imposta, al ricorrere dei relativi presupposti[8], potrebbe condurre all’annullamento, totale o parziale, delle predette quote di deducibilità.
3. Deduzione delle quote di ammortamento dell’avviamento e altre attività immateriali
In termini generali, gli intermediari finanziari hanno l’obbligo, al ricorrere di determinate condizioni[9], di trasformare in crediti d’imposta le DTA iscritte in bilancio relative all’avviamento e alle altre attività immateriali, i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta[10]. La portata applicativa di tale regime è stata tuttavia ristretta, ad opera dell’art. 17 del DL n. 83/2015, alle sole DTA iscritte in bilancio per la prima volta in esercizi precedenti al 2015.
Per esigenze di gettito erariale, la Legge di bilancio 2019[11] ha previsto, in deroga al regime ordinario di deducibilità di tali voci[12], il differimento delle quote di ammortamento relative al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali che hanno comportato l’iscrizione di DTA suscettibili di essere convertite in crediti di imposta, non ancora dedotte fino al 2017. In particolare, la deduzione delle quote di ammortamento residue è stata rimodulata e differita lungo un arco temporale di 11 anni (dal 2019 al 2029) secondo le seguenti percentuali: (i) 5% nel 2019; (ii) 3% nel 2020; (iii) 10% nel 2021; (iv) 12% dal 2022 al 2027; e (v) 5% nel 2028 e nel 2029. La disposizione ha, inoltre, stabilito che qualora la quota di ammortamento originario risulti inferiore rispetto a quella derivante dall’applicazione delle percentuali anzidette, si deve assumere il minore importo e recuperare la differenza nel 2029 (cd. clausola di salvaguardia). Successivamente, la Legge di bilancio 2020[13] ha ulteriormente differito la quota prevista per il 2019 al quinquennio 2025-2028, in quote annuali costanti (1%). In seguito a quest’ultima modifica, il piano di rientro appare articolato come segue: (i) 12% nel 2024; (ii) 13% dal 2025 al 2027; (iii) 6% nel 2028 e nel 2029.
L’art. 3 del disegno della Legge di bilancio 2025 prevede un ulteriore rinvio rispetto al piano di deducibilità per le quote relative al 2025 e al 2026. In particolare, la quota deducibile nel 2025 (13%) è differita al quadriennio 2026-2029, in quote annuali costanti (3,25%), mentre la quota deducibile nel 2026 è differita al triennio 2027-2030, in quote annuali costanti (4,33%). In virtù delle modifiche proposte, il recupero delle quote pregresse avverrà secondo il seguente schema:
Periodo d’imposta | 2024 | 2025 | 2026 | 2027 | 2028 | 2029 |
Quota deducibile | 12% | 0% | 3,25% | 20,583% | 13,583% | 13,583% |
L’applicazione in concreto delle nuove percentuali di deduzione sarà, tuttavia, da valutare caso per caso, in virtù dell’operatività della clausola di salvaguardia introdotta dalla Legge di bilancio 2019. Laddove le quote di ammortamento determinate in base al regime ordinario risultino di ammontare inferiore rispetto a quelle previste dal piano di rientro, continueranno, infatti, a valere le prime.
4. Deduzione dei componenti negativi di reddito emersi in sede di prima adozione dell’IFRS 9
A partire dal 1° gennaio 2018, la rilevazione delle perdite su crediti avviene sulla base del cd. “expected loss model” (modello della perdita attesa) introdotto dall’IFRS 9. Tale modello – a differenza del previgente basato sul concetto di “incurred loss” (perdita subita), che richiedeva la contabilizzazione delle perdite alla data di chiusura del bilancio – consente di registrare con maggiore tempestività le perdite future su crediti. La valutazione delle perdite “attese” avviene proiettando la stima sull’intera durata del credito. Esse sono, pertanto, rilevate in contropartita di un fondo a copertura perdite soggetto a revisioni periodiche, dalle quali possono derivare rettifiche o riprese di valore.
In tale contesto, la Legge di bilancio 2019[14] ha stabilito che i componenti negativi di reddito derivanti esclusivamente dall’adozione dell’expected loss model, riferibili ai crediti verso la clientela, iscritti in sede di prima adozione dell’IFRS 9 dagli intermediari finanziari sono deducibili per il 10% del loro ammontare nel 2018 e per il restante 90%, in quote costanti, nei successivi nove periodi d’imposta[15].
Con l’art. 3 del disegno della Legge di bilancio 2025, il legislatore interviene per la prima volta anche su questa misura, prevedendo il differimento (i) della quota deducibile del 10% prevista per il 2025 al quadriennio 2026-2029, in quote annuali costanti (2,5%); e (ii) della quota deducibile del 10% prevista per il 2026 al triennio 2027-2030, in quote annuali costanti (3,33%). In applicazione delle modifiche previste, il piano di deduzione dei componenti negativi di reddito derivanti dalla prima applicazione dell’IFRS 9 sarà, quindi, articolato come segue:
Periodo d’imposta | 2024 | 2025 | 2026 | 2027 | 2028 | 2029 |
Quota deducibile | 10% | 0% | 2,5% | 15,83% | 15,83% | 5,83% |
5. Le ulteriori misure di salvaguardia del gettito erariale
In aggiunta al differimento dei termini di deduzione delle componenti negative di reddito, l’art. 3 della Legge di bilancio 2025 propone ulteriori misure volte ad incrementare il gettito erariale.
In particolare, viene previsto che il maggiore reddito imponibile formatosi in conseguenza del differimento temporale delle predette deduzioni possa essere compensato con le perdite pregresse e con le eccedenze ACE solo nel limite massimo del 65%. Tale limitazione è posta in deroga al regime ordinario[16], che diversamente consente di compensare il maggior reddito con le perdite pregresse fino all’80% del relativo ammontare e, per la parte residua, con le eccedenze relative all’ACE.
Sono, inoltre, fissati specifici criteri di determinazione degli acconti dovuti per gli anni dal 2025 al 2029 dagli intermediari finanziari, che dovranno essere computati senza tener conto del differimento dei termini di deducibilità delle componenti negative di reddito in questione. Per il versamento di tali maggiori acconti, per il 2025 e il 2026, non sarà inoltre possibile ricorrere all’istituto della compensazione.
[1] Atto Camera n. 2112-bis, presentato il 23 ottobre 2024.
[2] Cfr. relazione tecnica all’art. 3 del disegno della Legge di bilancio 2025.
[3] Rispettivamente prevista, ai fini IRES e IRAP, dall’art. 106, comma 3, del TUIR e dall’art. 6, comma 1, lett. c-bis) del D.Lgs. n. 446/1997 (Decreto IRAP).
[4] Diversamente, in vigenza della disciplina precedente, le perdite da cessione erano interamente deducibili nell’esercizio della cessione, mentre le rettifiche su crediti erano deducibili in quote costanti in cinque esercizi, indipendentemente dalla loro natura.
[5] Art. 1, comma 1056, della L. n. 145/2018.
[6] Art. 1, comma 712, della L. n. 160/2019.
[7] Art. 1, commi 49-51, della L. n. 213/2023.
[8] Ai sensi dell’art. 2, commi 55 e ss., del DL n. 225/2010 la conversione avviene: (i) in presenza di perdite civilistiche (comma 55 e 56); (ii) in presenza di perdite fiscali (comma 56-bis); (iii) nell’ipotesi di un valore della produzione IRAP negativo (comma 56 bis 1); e (iv) in caso di liquidazione volontaria (comma 56-ter).
[9] Cfr. nota precedente.
[10] In caso di conversione, i maggiori ammortamenti futuri corrispondenti alle DTA convertite non possono più dar luogo a successive deduzioni.
[11] Art. 1, comma 1079, della L. n. 145/2018.
[12] Previsto per l’avviamento e le altre attività immateriali dall’art. 103 del TUIR.
[13] Art. 1, comma 714, della L. n. 160/2019.
[14] Art. 1, comma 1067, della L. n. 145/2018.
[15] La modulazione della deducibilità dei componenti negativi in questione si applica ai soggetti, quali gli intermediari finanziari, per i quali le svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela iscritte in bilancio a tale titolo e le perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso sono integralmente deducibili ex art. 106, comma 3, del TUIR.
[16] Art. 84 del TUIR.