Affinché il contratto concluso dall’amministratore di s.r.l. sia annullabile, ai sensi dell’art. 2475-ter, comma 1°, c.c., quest’ultimo deve essere portatore, per conto proprio o di terzi, di un interesse la cui soddisfazione produca necessariamente il sacrificio dell’interesse della società stessa. Tale conflitto di interessi deve, poi, sussistere in concreto, non essendo sufficiente la coincidenza nella persona dell’amministratore del ruolo di rappresentante di entrambe le parti contrattuali.
Nel giudizio relativo all’annullamento del contratto, l’amministratore è privo di legittimazione passiva, salvo che non sia richiesto il risarcimento del danno arrecato alla società dall’abuso dei suoi poteri di rappresentanza.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Torino una s.r.l. conviene in giudizio un suo ex amministratore ed una seconda società al fine di ottenere l’annullamento di alcuni contratti intercorsi con quest’ultima, a causa della situazione di conflitto di interesse, in cui si sarebbe trovato l’amministratore al momento della loro sottoscrizione, ai sensi dell’art. 2475-ter, comma 1°,c.c. Sul punto viene illustrato come le parti convenute avrebbero tramato contro l’attore ed in suo danno, risolvendo e stipulando una serie di contratti di locazione di beni strumentali di proprietà della controparte, danneggiando l’ente rappresentato. In merito a tale profilo, i Giudici, richiamando una serie di precedenti di merito (Trib. Potenza, 16 novembre 2016, n. 1390; Trib. Bolzano, 6 settembre 2019, n.802) e di legittimità (Cass., 30 maggio 2008, n. 14481), sottolineano come il conflitto di cui al citato art. 2475-ter c.c. presupponga che l’amministratore, in proprio o per conto terzi, risulti titolare, nell’ambito del contratto impugnato, di un interesse assolutamente inconciliabile con quello della società. Non è, invece, sufficiente una condizione di potenziale conflittualità. Rispetto ai fatti di causa viene, dunque, rilevato come manchino elementi probatori che dimostrino quell’insanabile contrasto di interesse che avrebbe potuto giustificare l’annullamento dei contratti in discussione. Le conclusioni del Collegio Giudicante vengono corroborate da una puntuale disamina delle operazioni contestate, che si conclude ritenendo la domanda infondata e l’azione giudiziaria promossa dalla società espressamente pretestuosa.
Altrettanto infondata viene, infine, considerata la pretesa risarcitoria per concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c. fatta valere contro la società controparte per un ipotizzato storno di clienti, in quanto supportata da un documento contenente un elenco di clienti di questa, che si asserisce, senza alcun riscontro contabile, fossero in comune con la società attrice.