Nella disciplina delle invalidità delle deliberazioni assembleari di società di capitali, applicabile anche alle società cooperative, si assiste ad un’inversione dei criteri previsti nel diritto comune, là dove la regola in caso di vizio delle decisioni sociali, anche se consistente nella violazione di norme imperative, è quella della loro annullabilità. Quindi, la delibera assembleare dovrà considerarsi nulla solo se in contrasto con interessi generali ed in grado di deviare lo scopo economico-pratico del rapporto di società, non anche quando assunta in spregio a norme previste a tutela di soci o gruppi di soci. Pertanto, può essere ritenuta annullabile e non nulla, la delibera di società cooperativa che violi le prerogative di equa remunerazione, imposte dalla legge, in favore dei soci lavoratori.
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza in oggetto, si trova a statuire della legittimità di una decisione assunta dalla Corte d’Appello di Genova, con cui era stata decretata la nullità per illiceità dell’oggetto di una delibera di società cooperativa volta a prorogare, senza limiti temporali certi, la decurtazione delle retribuzioni dei soci, nell’ambito di un piano di crisi aziendale. Sul punto, la Suprema Corte accoglie le conclusioni del Giudice d’Appello in ordine alla violazione, da parte della delibera impugnata, delle disposizioni dell’art. 6, comma 1°, lett. d) ed e) della l. n. 142/2001, secondo cui la società può ridurre la remunerazione dei soci lavoratori per superare le difficoltà economiche in cui versa l’impresa, in contrasto con il principio che sancisce l’inderogabilità in pejus del trattamento economico complessivo spettante ai soci lavoratori rispetto a quello previsto per prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva, purché tale riduzione sia imposta per un tempo limitato. L’aspetto che vede, invece, in disaccordo la Cassazione e la Corte d’Appello genovese investe la conseguenza di una simile violazione, là dove la stessa non viene reputata tanto grave da determinare la nullità della delibera. Infatti, in un’ottica di bilanciamento tra l’interesse del socio lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente e quello della società alla stabilità delle proprie decisioni, più appropriato appare, a parere della Suprema Corte, il ricorso alla categoria dell’annullabilità.