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Attualità

Anti-delocalizzazioni: dai tempi della procedura ai criteri di computo 

23 Gennaio 2024

Davide Maria Testa, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la procedura c.d. anti-delocalizzazioni introdotta in occasione della Legge di Bilancio 2022 alla luce della recente sentenza del Tribunale di Firenze del 26 dicembre 2023 che si è soffermata sul computo della soglia occupazionale delle imprese soggette alla particolare procedura e sul relativo metodo di calcolo.


È tornata al centro del dibattito la procedura c.d. anti-delocalizzazioni introdotta in occasione della Legge di Bilancio 2022 al fine di attenzionare talune scelte imprenditoriali, talvolta necessarie e/o imposte dalle dinamiche economiche, orientate alla delocalizzazione dei poli produttivi e/o alle ingenti riorganizzazioni/razionalizzazioni delle strutture aziendali.

L’introduzione di questa specifica procedura ha fatto molto discutere, non solo a causa della complessa portata delle regole ed obblighi ivi contenuti e la difficile attuazione degli stessi, ma anche per il considerevole lasso temporale necessario al fine di darvi attuazione.

Il dibattito si è recentemente riacceso grazie a una sentenza del Tribunale di Firenze il quale, con sentenza del 26 dicembre 2023, ha proposto la propria interpretazione sul computo della soglia occupazionale delle imprese soggette alla particolare procedura (250 dipendenti) e sul relativo metodo di calcolo. Ma procediamo con ordine.

1. Cosa prevede la normativa?

L’art. 1, commi 224, L n. 234/2021 recitano che, “al fine di garantire la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo”, le imprese che intendano procedere alla “chiusura di una sede, di uno stabilimento, di una filiale, o di un ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale, con cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50”, devono darne comunicazione per iscritto a:

  • rappresentanze sindacali aziendali (o rappresentanza sindacale unitaria);
  • sedi territoriali delle associazioni sindacali di categoria comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • regioni interessate;
  • al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
  • Ministero dello sviluppo economico;
  • Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL).

Chiaramente, la comunicazione può essere effettuata tramite l’associazione dei datori di lavoro alla quale l’impresa aderisce o conferisce mandato

2. A chi è rivolto tale obbligo?

Il successivo comma 225 (art. 1, L. n. 234/2021) stabilisce che tale norma si applica ai datori di lavoro che, nell’anno precedente, abbiano occupato con contratto di lavoro subordinato (inclusi apprendisti e dirigenti), mediamente almeno 250 dipendenti.

È tuttavia prevista un’esclusione dall’ambito di applicazione di tale procedura in favore di imprese che si trovano “in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e che possono accedere alla procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa” (D.L. n. 118/2021).

3. Come si articola la procedura e quali sono i termini da rispettare?

La comunicazione di apertura della procedura deve essere effettuata almeno 180 giorni prima dell’avvio della procedura di licenziamento collettivo (L. n. 223/1991) e deve indicarele ragioni economiche, finanziarie, tecniche o organizzative della chiusura, il numero e i profili professionali del personale occupato e il termine entro cui è prevista la chiusura”.

Dunque, la presente procedura è ulteriore ed anticipa la procedura di licenziamento collettivo di cui alla L. n. 223/1991 e, dettaglio importante, eventuali licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e/o i licenziamenti collettivi intimati in mancanza della comunicazione o prima dello scadere del suddetto termine di 180 giorni sono nulli.

Entro 60 giorni dall’invio della comunicazione, l’impresa deve elaborare un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche derivanti dalla chiusura e lo presenta ai soggetti coinvolti (di cui all’elenco puntato sopra). Il piano non può avere una durata superiore a 12 mesi e indica:

  1. le azioni programmate per la salvaguardia dei livelli occupazionali e gli interventi per la gestione non traumatica dei possibili esuberi (es. ammortizzatori sociali, ricollocazione presso altre sedi etc.);
  2. le azioni finalizzate alla rioccupazione (es. formazione e riqualificazione professionale etc.);
  3. eventuali prospettive di cessione dell’azienda o di rami d’azienda con finalità di continuazione dell’attività;
  4. eventuali progetti di riconversione del sito produttivo;
  5. i tempi e le modalità di attuazione delle azioni previste.

I lavoratori interessati dal piano possono beneficiare del trattamento straordinario di integrazione salariale di cui all’art. 22-ter del d.lgs. n. 148/2015.

Entro 120 giorni dalla sua presentazione, il piano di cui sopra deve essere discusso con i soggetti coinvolti nella procedura (ut sopra cit.) e, in caso di accordo sindacale, si procede alla sottoscrizione del piano, a seguito del quale il datore di lavoro assume l’impegno di realizzare le azioni in esso contenute nei tempi e con le modalità programmate. Inoltre, sempre e solo in caso di accordo sindacale, qualora il datore di lavoro avvii, al termine del piano, la procedura di licenziamento collettivo, non si applicherebbe l’obbligo del ticket Aspi moltiplicato per tre.

Resta fermo che prima della conclusione dell’esame del piano e della sua eventuale sottoscrizione, l’impresa non può né avviare procedure di licenziamento collettivo né intimare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.

4. La sentenza del Tribunale di Firenze ed il computo dei 250 dipendenti.

Il Tribunale di Firenze, in occasione di un procedimento per condotta antisindacale ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, si è recentemente pronunciato su una vicenda avente ad oggetto la tematica anti-delocalizzazione.

Nel caso di specie, l’impresa ha avviato direttamente una procedura di licenziamento collettivo senza, tra le altre, previamente attivare la procedura c.d. anti-delocalizzazioni.

Le OO.SS hanno adito il Tribunale per veder “revocare annullare e dichiarare illegittima invalida e nulla la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo ex L. 223/1991” e l’impresa si è costituita in giudizio asserendo di aver agito nel rispetto degli obblighi imposti dalla legge e che non fosse obbligata alla procedura anti-delocalizzazioni.

Nel valutare la sussistenza della condotta antisindacale, i Giudici hanno dovuto rilevare la sussistenza o meno di tutti i requisiti previsto dalla legge e, sul computo della soglia dimensionale, hanno affermato che lo “andamento occupazionale, riguardando un arco temporale di 12 mesi antecedenti la data dell’avvio della procedura di licenziamento, deve necessariamente comprendere i 365 giorni” e che “per calcolare con precisione la media occupazionale relativa all’anno in questione occorre sommare il numero di giorni in cui ogni singolo dipendente risulta presente nell’organico dell’azienda e dividere il risultato per 365”.

Non v’è alcun riferimento a distinzioni tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato, né tra lavoratori full-time e part-time, ma, come detto, il dato necessario è la sommatoria di tutte le giornate in cui “ogni singolo dipendente risulta presente nell’organico dell’azienda”.

Il Giudice pare molto chiaro nel non citare esclusioni e dunque nell’interpretare le disposizioni normative nel senso per cui tutti debbano essere inclusi tutti i lavoratori ai fini del computo occupazionale.

Potrebbe utilizzarsi, dunque, l’ormai famosa espressione “uno vale uno” e nessuna peculiarità di calcolo deve essere operata in relazione ai part-time, ossia, non devono essere rapportati al tempo pieno e considerati ai fini della loro inclusione, né sono necessari conteggi sulla durata del rapporto a termine al fine di comprendere se valido o meno ai fini del computo.

Tutti i dubbi interpretativi che erano stati sollevati dall’emanazione della legge parrebbero dunque risolti o quantomeno indirizzati dall’orientamento solcato dai Giudici fiorentini.

Il Tribunale di Firenze ha colto l’occasione per offrire altresì la propria interpretazione rispetto alla norma d’esenzione dalla procedura anti-delocalizzazioni (il comma 226 della L. n. 234/2021).

A parer dei Giudici, “la norma dunque prevede che siano esentati dalla comunicazione i soggetti che non solo si trovino in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico finanziario, ma abbiano anche le caratteristiche per accedere alla procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa. Inducono a tale interpretazione sia la lettera (in particolare l’utilizzo della congiunzione “e”), che la ratio della norma: la composizione negoziata contempla al proprio interno un momento di confronto sindacale, in relazione alle ricadute occupazionali e sull’organizzazione del lavoro del piano volto alla soluzione della crisi (cfr art. 4, comma 3 CCII), confronto che finirebbe con il sovrapporsi a quello previsto dalla comunicazione di cui oggi si discute. La procedura di composizione negoziata (attualmente disciplinata dagli artt. 12 e ss del CCII per come modificati dall’art. 6 Dlvo 83 del 17 giugno 2022) presuppone l’esistenza di una concreta prospettiva di risanamento, intesa come ragionevole (cfr. art. 12, comma 1 nonché art 17 comma 5), ovvero basata su dati attendibili e ipotesi realistiche, implicante quindi una possibilità di superamento degli squilibri finanziari, patrimoniali ed economici dell’impresa (cfr. Tribunale Salerno sez. III, 13/02/2023 in US Societario 21 aprile 2023)”.

Nel caso di specie, l’impresa non ha allegato l’esistenza di tali concrete prospettive di risanamento e, sempre a parer dei Giudici, essendo tale dato un elemento costitutivo della esenzione invocata, non può essere presunto.

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